L’importanza delle lingue minoritarie e dei popoli autoctoni
Nel silenzio di media spesso disattenti, l’Onu e l’Unesco hanno voluto richiamare la necessità di valorizzare e rivalutare le oltre 4000 lingue parlate dai popoli autoctoni in tutto il pianeta designando il 2019 come l’Anno internazionale delle lingue autoctone.
Secondo quanto si legge nella decisione – raccontatelo poi ai fautori del “hodgepodge” anglosassone – le lingue minoritarie sono un fattore importante per lo sviluppo durevole, per il consolidamento della pace e per la riconciliazione dei popoli.
La situazione delle lingue a rischio estinzione si rivela allarmante perché se non si riuscisse ad invertire il trend, molte di esse – il 95% – potrebbero sparire entro la fine del secolo, creando certamente un danno se si pensa che l’estinzione di una lingua parlata, rappresenta una perdita inestimabile, grave al pari della distruzione di un monumento o di un’opera d’arte. Così, se diventiamo tutti filo-regionalisti perché ci perdiamo nelle rocce marine di “terras do fogu”, nei vicoli di Taormina o nelle spiagge nere di Filicudi, appena ritorniamo in città perdiamo ogni entusiasmo per la specificità, relegandolo solo nelle foto la breve parentesi vacanziera.
In Europa nessuno parla più di quella famosa carta europea delle lingue minoritarie che molti paesi non hanno neanche ratificato, anzi, gli schieramenti politici – senza differenziazioni tra destra, centro e progressisti – si sono trovati tutti d’accordo per opporsi alla legalizzazione delle lingue regionali, ostacolandole e ritenendo che nelle rivendicazioni indipendentiste, la lingua assurge a strumento identitario primario.
Con la forte fobia anti-sovranista, la tutela della lingua viene declassata e considerata una macchina da guerra anti-universale e addirittura un dispositivo tribale. Accuse gravissime che non tengono in considerazione lo stretto legame esistente tra lingua e popolo. Quando una lingua autoctona è minacciata di estinzione, come ricorda l’Unesco, sono in pericolo anche i popoli, l’esistenza del loro patrimonio culturale, il collegamento spirituale agli antenati, ai padri e alle madri, agli amici, alla terra d’origine, ai nomi specifici di paesi, di spiagge, di montagne che raccontano la loro storia e ci permettono così di identificare anche la nostra.
Ma rimangano tranquilli i fautori del linguismo unitario, soppiantato però in molte sue estrinsecazioni dall’imperversare sospetto dell’accozzaglia anglosassone (hodgepodge), la Carta delle lingue minoritarie, così come la celebrazione onusiana dell’anno delle lingue autoctone, non vuole rimettere in discussione la supremazia dell’idioma nazionale, vuole semplicemente poter prevedere un minimo vitale di protezione giuridica, di riconoscimento e di sostegno alle lingue e alle culture regionali, che alcuni popoli fieri delle loro identità (purtroppo non ci sono i siciliani tra questi), difendono con forza e riescono ancora a reclamare a gran voce.
Eugenio Preta