Il politicamente corretto: da dibattito a dogma
L’attualità quotidiana ci dimostra una realtà politica di difficile comprensione e profondamente ingarbugliata a causa degli effetti del “ politicamente corretto” assurto ormai a dogma societario, una verità che non si può più eludere con un valore coercitivo che cresce continuamente.
Il secolo dei Lumi ci consegnò una visione della cosa pubblica incentrata sui valori universalmente riconosciuti dalla ragione e aperta al confronto libero delle idee. Nonostante un progressismo ancora nascente nel cuore della società contemporanea, nessuno si sarebbe sognato di negare il diritto di parola ad un avversario, nè avrebbe permesso ad un giornalista di omettere informazioni giudicate stigmatizzanti del potere vigente.
Oggi invece è consuetudine che giornalisti, apprezzati commentatori (sempre legati al sistema) e uomini politici, rifiutano a priori il dibattito con gli avversari colpevoli – a dir loro – di non essere allineati al dogma corrente ed anzi si collocano agli antipodi dei valori perseguiti dalla maggioranza. Sembra il ritorno dei tempi bui dell’inquisizione. Guardiani zelanti del dogma corrente, bollano l’avversario come reazionario ed eversivo, come in quel tempo avrebbero perseguitato un eretico. Le sfide a cui è confrontata la società contemporanea non vengono più analizzate attraverso argomentazioni pur contraddittorie ma razionali, ma vengono passate esclusivamente sotto la lente deformante di una presupposta morale onnipotente, che riduce la politica ad un conflitto di valori e impedisce la possibilità collettiva del dibattito.
Il dogmatismo si è così è insinuato nelle società occidentali, che pur da tanto tempo erano state secolarizzate. Il ricorso al politicamente corretto, sempre più seguito e molto più pratico, non riesce a giustificare questa lunga marcia che vede vacillare le nostre società dal dibattito al dogma, dalla ragione alla verità, dal politico al religioso.
Stiamo precipitando verso un totalitarismo edulcorato. Un termine che apparentemente potrebbe sembrare azzardato specialmente quando riferito ad un‘epoca in cui le libertà individuali sembrano essere illimitate. Un termine che non deve farci pensare al tradizionale tiranno sanguinario ed onnipotente, archetipo di quel fascista che scopriamo ormai ad ogni angolo della strada, ma serve ad indicare piuttosto una massa di individui vocati all’imitazione bieca più subdola perché potrebbe originare una tirannia molto pericolosa, a questo punto consentita da una maggioranza che si è costituita in dittatura. Quella dittatura della maggioranza, già indicata da Alexis de Tocqueville, a cavallo tra il XVIII nel XIX secolo, come la principale patologia della moderna democrazia.
Eugenio Preta