Il voto democratico e i pericoli dei referendum popolari
Una domanda agita gli spiriti democratici di questo continente : in democrazia è ancora opportuno dare la parola al popolo? La risposta è raccapricciante: non sarebbe proprio necessario.
Fulgide menti progressiste hanno iniziato ad agitare i fantasmi del populismo contro i pericoli dei volgari referendum di iniziativa popolare, accampando la scusa che i testi giuridici complessi sono difficili da leggere, poco accessibili al popolo e si prestano sempre alle interpretazioni più disparate, tanto sono lunghi, scientifici e facilmente manipolabili.
Ma, ad esempio, le leggi sull’aborto in Irlanda, sulla Brexit in Gran Bretagna, sulla costituzione europea in Francia, Olanda e Danimarca, hanno bocciato questa tesi dei “democratici complicati”, sul fatto che i popoli non abbiano ancora imparato a votare, incartati, semmai, in questo complicato apprendimento nel quale sono più confusi che coadiuvati da media e tivù, inadatti a spiegare dettagliatamente complicate questioni giuridiche.
A questo punto il vero problema sarebbe questa “deriva” democratica che riesce a modificare le leggi con un voto popolare a cui si deve ottemperare.
Finora certe evoluzioni istituzionali, economiche, sociali, scientifiche erano state ritenute veri progressi che, una volta accettate, nessuno poteva osare rimettere in discussione, neanche con un voto popolare, termine astruso specialmente per il proletariato che si intestardiva a voler votare.
È un dato scontato che in democrazia il popolo possa decidere tutto, ma secondo la nostra concezione occidentale del diritto, esistono fasi evolutive che non si possono rimettere in discussione, come ad esempio: la libertà di culto, la democrazia, il divieto del lavoro minorile, l’abolizione della pena di morte, principi democratici che nessun voto può cancellare. Ammettere di conseguenza che si possano rimettere in discussione dei principi acquisiti, equivarrebbe a negare la stessa nozione di progresso. Da qui l’imperiosa necessità di non lasciarsi affascinare da una decisione politica che esuli dal cerchio del ragionevole.
Non si tratta più di un auspicio solo sussurrato, ma di una vera e propria confessione. Così se da una parte ritroviamo una democrazia che procede a sghimbescio, dall’altra registriamo un progresso che funziona come un circolo chiuso e che, questi Soloni, ritengono sarebbe più conveniente dissociare urgentemente da questa democrazia penalizzata.
Eugenio Preta