Le problematiche che affliggono la società contemporanea
Il contrasto più diffuso è quello che oppone progressismo a conservatorismo, localismo a mondializzazione. Un contesto in cui dobbiamo inserire la nozione di decentralizzazione e non definirla vicina alla destra, ma un’idea espressamente di destra.
Spesso riteniamo che il nostro mondo sia organizzato in maniera tale da non poter essere cambiato, perché lo consideriamo mondializzato come un labirinto inestricabile, dove i percorsi sono così numerosi da portarci a credere che se non imbocchiamo quello giusto saremo costretti a ripercorrerne indefinitamente la strada per ritrovare l’uscita.
Il mondo, ormai, assomiglia un pò a questo labirinto e per ritrovarne la giusta via d’uscita, sarebbe più giudizioso osservarlo dettagliatamente con una lente d’ingrandimento, piuttosto che osservarlo nel suo insieme dietro ad una barriera di vetro e specchi. Osservarlo con una lente di ingrandimento significa anche occuparci di quello che ci riguarda più direttamente e coinvolgere nelle nostre preoccupazioni chi ci sta più vicino. Sarebbe un vero e proprio senso di carità che comincia da noi stessi, perché si parla di una carità che a qualcuno piace definire umanità.
Questa carità prescrive che ci si occupi del nostro prossimo, che non è colui che si trova dall’altro lato dell’emisfero ma il più vicino a noi, quello a fianco a noi, il nostro fratello, il commerciante dell’angolo della via, il vagabondo che vive nella strada. Occuparsi del prossimo vuol dire permettere uno scambio sociale ed economico, permettere lo svolgersi del quotidiano della città. Occuparsi del prossimo significa poter rivolgersi al particolare, occuparsi del vicino perché conosciamo meglio i bisogni e le esigenze di chi ci è vicino piuttosto che di chi è lontano.
In un’Europa dove si è operata la centralizzazione giacobina, Bruxelles ha divorato le province, gli Stati e le piccole patrie e lo ha fatto ignorando gli interessi dei cittadini. Come una macchina centralizzatrice, l’unione di Bruxelles è riuscita ad annientare in un “assoluto“ giuridico e normativo le realtà concrete di ciascuno e lo ha fatto così scientemente che oggi nessuna istituzione nazionale riesce più a difendere gli interessi del cittadino perché questi è solo un individuo isolato, soffocato dall’insieme delle regole imposte allo Stato dalla mondializzazione selvaggia.
Quindi, per alleggerire il peso che ci impongono i “costruttori” di questo villaggio globale, dobbiamo riuscire a ritrovare ciò che la società può offrirci in maniera più diretta: l’attitudine naturale del vivere in comunità, in seno ad una famiglia, in un quartiere, riuniti in un’associazione professionale, in una regione, in un paese. L’individuo, in questo modo, non verrebbe più considerato nella sua singolarità ma come appartenente ad un gruppo ben definito, riuscirebbe a difendersi di fronte ad uno Stato centralizzatore che ci offre come garanzie solo semplici costruzioni intellettuali come la divisione dei poteri, ad esempio, il potere giudiziario separato da quello esecutivo e da quello legislativo.
Il ritorno al particolare, al locale, permetterebbe di passare da questa separazione di poteri orizzontale e intellettuale ad una separazione verticale e fisica e lo Stato diventerebbe soltanto una macchina depotenziata e lontana. Al contrario della mondializzazione, la decentralizzazione quindi tiene conto di due aspetti ben definiti: il sociale e l’identità. Senza il sociale il più debole soffrirebbe di fronte al più forte e senza l’identità si sarebbe portati a credere che – ad esempio – un cittadino pugliese possa avere gli stessi bisogni di un portoghese o di un lituano.
La decentralizzazione è il modello da vicino a vicino, che si contrappone fatalmente al modello mondiale livellante, dove tutto diventa uguale dappertutto. La decentralizzazione crea perciò appartenenza, ed aggiungiamoci pure la carità, perché siamo noi tutti il nostro prossimo che di questa carità oggi ha bisogno. Decentralizzazione verticale, carità e umanità costituirebbero le basi di una dottrina politica seria e adattata ai bisogni del tempo che viviamo.
Eugenio Preta