Brexit: Il discorso del Trono. I “remain” rosicano duro, la Regina ha parlato
Il discorso dal trono è la cerimonia in cui la Regina d’Inghilterra legge il discorso preparato dal Primo ministro ai membri del Parlamento riunito in occasione di una sessione solenne, delineando l’agenda del governo.
Una cerimonia iscritta nei canoni delle narrazioni del Regno, folkloristica e multisecolare, figlia di una normalità che in Gran Bretagna è prassi, ma che oggi riveste un carattere particolare.
“Scarrozzata” in pompa magna da Buckingham Palace, scortata da uno squadrone di guardie reali a cavallo con i tradizionali kepi di pelo, fino al palazzo di Westminster, la regina Elisabetta ha letto il discorso del re (Regina). La cerimonia è sempre seducente, mutuata dalle memorie imperiali e si iscrive nei canoni dell’affabulazione reale. Preceduta dal gran ciambellano e dal Lord usciere con la sciabola dorata che esorta: “Via il cappello, stranieri” (Hats off, Strangers!), la Regina fa il suo ingresso nella Camera dei Lord, la camera alta, i cui membri sono vestiti di rosso e indossano una parrucca e a cui si sono aggiunti i membri della camera bassa, la camera dei comuni, chiamati dalla regina a partecipare alla cerimonia.
Boris Johnson ha vissuto così il suo momento di gloria: il programma governativo da lui scritto è stato letto in pubblico dalla più prestigiosa delle sue lettrici, la Regina d’Inghilterra.
“La priorità del mio governo è stata sempre quella di assicurare il ritiro del Regno Unito dall’Unione europea il prossimo 31 ottobre”, dichiara solennemente la Regina che aggiunge: “Il mio governo prevede di elaborare un nuovo partenariato con l’Ue sulla base del libero scambio e di una cooperazione amichevole”.
Johnson così ha svelato il suo programma, ricco di riforme e forte di ventisei progetti di legge. Soprattutto un piano d’urgenza contro la criminalità, un programma per la sanità, l’educazione, le infrastrutture, la riduzione del costo della vita, il miglioramento dei salari e della produttività in tutto il paese. Intelligentemente, certo per rassicurare i consumatori britannici, Johnson non ha previsto alcuna tassa per i prodotti provenienti dall’Europa, una volta attuata la procedura Brexit.
I “remain” rosicano, loro che abitano i quartieri chic di Londra, che lavorano nella City, mentre esulta il 52% dei votanti Brexit, metalmeccanici di Bristol, portuali di Liverpool, cassaintegrati di Manchester e tutti i democratici che temevano che il loro voto non fosse servito a nulla.
L’Inghilterra e, il discorso del trono lo hanno confermato, abbandonerà prossimamente l’Unione europea. Il Regno Unito verrà così a mancare agli europei che cercano di lottare contro le spinte federatrici Franco-tedesche già al trattato di Maastricht e lascerà Bruxelles orfana della seconda economia europea, cosa che potrebbe risultare fatale sul cammino federale dell’Unione tanto da provocarne il fallimento e, finalmente, il ritorno ad un’Europa delle Nazioni e delle piccole patrie.
Per tornare alla cronaca, il Parlamento britannico si riunirà dopo il Consiglio europeo del prossimo 17-18 ottobre. In mancanza di un accordo, tuttavia, una legge adottata a settembre imporrebbe a Boris Johnson di rinviare la Brexit di tre mesi. Un rinvio che pur se richiesto dal parlamento britannico, necessita dell’approvazione degli altri Stati membri, secondo la procedura dell’unanimità, il che significa che la defezione di un solo Stato membro servirebbe a bocciare ogni speranza di rinvio. Intanto, il ministro britannico dell’economia ha deciso di iscrivere nell’agenda dei lavori parlamentari la presentazione del prossimo bilancio britannico, il primo post-Brexit per il prossimo 6 novembre.
Eugenio Preta