Il “califfo” Erdogan e le contraddizioni dell’Europa
Ci sono Paesi dimenticati da Dio, si dice comunemente quando si indicano strade impervie o lunghi tragitti per raggiungere una destinazione difficilmente accessibile e ci sono popoli che nel corso di tutta la loro esistenza sono trattati da reietti, rifiutati e combattuti. I curdi, quasi 40 milioni di anime che errano tra Turchia, Siria, Iran ed Iraq, ne costituiscono una grande parte e ne popolano proprio uno di questi.
Evitando l’excursus storico, oggi ci scontriamo con la cronaca che attesta il disegno della Turchia che li combatte per ridurli in un sempre più ridotto e precario lembo di terra siriana nell’ignavia degli occidentali che fingono solo di minacciare il “califfo” Erdogan.
Eppure nel 1920, in seguito agli accordi di Sevres, il popolo curdo aveva accarezzato la speranza di una specie di indipendenza politica e territoriale, speranza naufragata in una disperata illusione solo dopo tre anni per opera del padre della Turchia moderna, Mustafa Kemal Atatürk.
Una volta i potentati di un tempo, gli imperi ottomani o austro-ungarici nella fattispecie, erano diventati abili nell’arte di fare coabitare comunità e minoranze etniche differenti, ricomponendole in un insieme comune: un’attitudine però che ha costituito da sempre il problema principale.
I curdi sono all’80% di religione sunnita, ma il 20% si divide nella complessità delle religioni orientali con piccole rappresentanze di ebrei e di cristiani. Una diversità che oggi soltanto l’Iran, sembra in grado di poter assimilare grazie alla sua tradizione millenaria di coabitazioni che gli dà una certa conoscenza dei problemi afferenti.
In Turchia, Erdogan si crede erede degli antichi visir, combatte le minoranze e favorisce solo i turchi “turcofoni” e gli islamisti più duri, come una rivisitazione di Solimano il conquistatore, mentre in Europa gioca il ruolo del moderato costretto, molto spesso però, ad alzare la voce. Oggi lo ha fatto minacciando addirittura di invasione migratoria l’imbelle Europa, se soltanto essa dovesse prendere la parte dei curdi.
Nella sua contraddizione ontologica Erdogan stenta a ritrovarsi, del resto è ancora vicepresidente dell’Internazionale democristiana che fa capo al PPE e fedele a quella tradizione, dopo aver cercato di riconciliarsi con i curdi appena arrivato al potere, oggi ha intrapreso un’inversione di rotta, convinto di avere nelle sue ancestrali comunità locali i veri nemici dello Stato centrale.
Una convinzione che lo sta portando alla campagna militare contro i curdi di Siria che ritiene legittima in nome della lotta contro un terrorismo islamico di cui è egli stesso maestro e padrone.
Di fronte al “sultano” c’è l’Europa, a braccia conserte, che gli chiede, senza vera convinzione, di arrestare questa pericolosa follia militare avallata dagli USA, che va a combattere i curdi locali nei villaggi della frontiera turco-siriana, con il rischio effettivo di aver già creato la situazione umanitaria che potrebbe portare ad una nuova ondata di flussi migratori.
Ankara, infatti, si dice pronta a riversare in Europa più di tre milioni di immigrati clandestini, spaventando il Continente. Purtroppo, oggi l’Europa non è più protagonista nello scacchiere geopolitico del mondo; continua a vendere armi e nascondere la mano, non rassicura più alcuno anzi, aspettando non si sa bene chi, semina zizzania tra gli orientali che però ne approfittano per chiedere il conto… oggi soltanto ai curdi.
Eugenio Preta