Contro sperperi e rivendicazioni politiche la scelta della sede unica del Parlamento europeo
Come un elefante che si agita tra porcellane e cristalli preziosi, l’infinita battaglia per una sede unica del parlamento europeo ritorna d’attualità ed agita la quiete piatta pre-elettorale europea. Per la storia, il nascente Parlamento europeo, costituito allora dai delegati inviati dai parlamenti nazionali degli originari 6 Paesi fondatori, si riuniva ogni mese, alternativamente in Lussemburgo ed a Strasburgo, lasciando a Bruxelles la sede in cui si riunivano le commissioni parlamentari, convocate settimanalmente.
Le elezioni del Parlamento Europeo a suffragio universale diretto, diedero nuovo spessore alla costruzione europea che da quel momento cominciò la politica degli allargamenti, accogliendo i Paesi del continente europeo dalle economie equivalenti, che si mettevano insieme per rispondere solidalmente alle sfide economiche che Usa, Cina e “i 4 Giapponi”, avevano lanciato al mondo intero lasciando poco spazio alle iniziative singole, fatalmente limitate.
Conseguentemente nacque la necessità di scegliere un’unica sede per riunire i membri dell’Assemblea parlamentare europea. Una scelta dettata solo dal buon senso ma che si scontrò subito con gli egoismi di Lussemburgo e Francia, sedi abituali delle sessioni parlamentari, poco disponibili a perdere quella prerogativa importante dal punto di vista politico e, ovviamente, da quello economico: due città che per una settimana al mese accoglievano i deputati del PE, giornalisti, tv e visitatori abituali in alberghi, ristoranti ed attività economiche collaterali che certamente portavano un interessante indotto economico.
Per risolvere il problema, l’Ufficio di Presidenza del Parlamento europeo – formato dai presidenti dei gruppi politici e dal segretario generale dell’istituzione, a cui spettava la scelta – decise “salomonicamente” lo statu quo, immediatamente contestato però dai paesi nordici impregnati dal mito calvinista delle economie di bilancio e dal Regno Unito poco disposto ad abbandonare il seggio di Bruxelles, dove aveva trovato innanzitutto una vicinanza geografica, ma soprattutto un’ organizzazione urbanistica e sociale molto simile a quella della Madre patria. La decisione finale venne infine demandata, come prevedeva il Trattato, ai Capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo che, ovviamente non riuscirono a decidere.
Lasciando da parte oggi la consolidata motivazione della scelta di Strasburgo come luogo simbolo della avvenuta riappacificazione europea, la questione divenne politica e difficile da risolversi, per l’oggettiva necessità di far lavorare il Parlamento in un unica sede (immaginiamo le spese ancor oggi necessarie allo spostamento mensile di personale, di documenti e di attrezzature a Strasburgo) e per l’intransigenza della Francia, assolutamente contraria ad abbandonare Strasburgo e l’Alsazia.
Il problema del seggio del Parlamento europeo, che rimane sempre in discussione, venne allora risolto concedendo a Bruxelles, oltre alla sede delle attività quotidiane delle commissioni parlamentari, anche il contentino di una mini-sessione mensile di tre giorni e lasciando la tradizionale settimana mensile di sessione plenaria a Strasburgo. Il Lussemburgo, da parte sua rinunciava al mantenimento della Plenaria in Gran Ducato dietro il compenso costituito dall’installazione degli uffici amministrativi del segretariato generale del PE, dall’assicurazione di accogliere le riunioni periodiche del Consiglio europeo e dalla certezza di radunare la sede delle altre istituzioni europee, forse meno conosciute dal cittadino ma sicuramente di grande importanza per il piccolo Granducato che vedeva crescere i suoi indotti economici rappresentati dall’insediamento di migliaia di impiegati internazionali e delle relative famiglie.
Oggi la tematica della sede unica che sembrava ulteriormente allontanarsi, depotenziata dalle conseguenze della Brexit che avrebbe annullato l’idiosincrasia britannica – da sempre ostile a Strasburgo – ritorna in discussione perché la Germania sembra aver cambiato tendenza con l’intenzione di voler ridiscutere la scelta.
Per voce della nuova presidente della CDU, Annegret Kramp-Karrenbauer, i tedeschi hanno annunciato di voler velocizzare l’iter decisionale europeo, oggi troppo dilatato nei suoi tempi di attuazione anche per l’obbligo di operare in tre luoghi differenti ed hanno sottolineato l’anacronismo del dover mantenere la sede di Strasburgo, ritenuta solo un ricordo da consegnare agli archivi storici dell’Unione. In pratica il pre-pensionamento del Parlamento europeo a Strasburgo, una volta sede simbolica della riconciliazione franco-tedesca, oggi è solo riferimento di un passato remoto.
Con la sua dichiarazione, la nuova musa (si fa per dire) dei Cristiano Democratici tedeschi riapre il dibattito che la stessa cancelliera Merkel aveva provocato nel corso di un congresso del PPE – l’internazionale democristiana – quando si era detta convinta di dover concentrare il lavoro del parlamento europeo in un unica sede, nonostante il probabile contenzioso che le sue parole avrebbero sicuramente aperto con le autorità francesi.
Nella lunga battaglia per la sede unica del Parlamento europeo, con i paesi nordici, il Regno unito, il Belgio evidentemente, e gli olandesi storicamente schierati contro Strasburgo – anche l’Italia con Salvini che lo scorso gennaio a Strasburgo ha dichiarato la sua ostilità al mantenimento del Parlamento in Alsazia – la cancelliera tedesca si allineava allo schieramento pro-Bruxelles, che diventava così maggioritario in seno al Consiglio dell’Unione, l’istituzione che è la sola abilitata a decidere il problema della sede, lasciando immaginare un voto definitivo già all’inizio della prossima legislatura europea.
Il dibattito risale alla prima metà degli anni ’80 e si è sempre sviluppato con il preoccupante silenzio delle autorità francesi, gli stessi Giscard d’Estaing e Mitterand si erano dimostrati molto tiepidi nel difendere le ragioni storiche di Strasburgo, forse per i milioni di euro che il governo francese era costretto a trasferire alla città alsaziana per mantenerne le attrattive europee.
Persino la “francesissima” Simone Veil, aveva messo in dubbio le capacità di Strasburgo di poter sostenere le tesi calviniste dei paesi nordici, più interessati alle battaglie contro gli sperperi che alle medagliette politiche, ed era stata costretta ad un duro scontro in seno all’Ufficio di Presidenza del PE per il mantenimento delle prerogative di Strasburgo. La questione fu risolta grazie al pragmatismo del Segretario generale del parlamento europeo, il messinese Enrico Vinci che, per impedire il voto del Consiglio immaginò un “divide et impera” che concesse una mini sessione di tre giorni del Parlamento europeo a Bruxelles, riuscì a far mantenere la Sessione mensile a Strasburgo e ottenne per il Lussemburgo, in cambio della rinuncia, a tenere le Plenarie nel Granducato, il mantenimento degli uffici del segretariato generale del Parlamento europeo, di quelli della BEI, delle sedi centrali della Corte di giustizia, della Corte dei Conti, di Eurocontrol e il trasferimento di alcune divisioni della Commissione esecutiva, tra le quali il costituendo Centro europeo di traduzione e interpretariato. Del resto, per bloccare le reiterate iniziative dei deputati anti-Strasburgo, l’allora sindaco della capitale alsaziana, l’ex ministro gollista Pierre Pfmilin, si era buttato in un’operazione immobiliare di grande ambizione, che aveva dotato la città di Strasburgo di una importante sede, adeguata ai crescenti bisogni dell’Istituzione.
Iniziava così la corsa all’edificazione selvaggia dei quartieri istituzionali europei: Bruxelles costruiva nuovi siti per raggruppare i lavori di commissione che fino ad allora non avevano una sede unica, ma erano itineranti e si tenevano al Palais d’Egmont, nella sede del Comitato economico e sociale, nei locali della Commissione esecutiva del boulevard de Berlaimont. Oggi esiste un intero quartiere con annessa Aula assembleare ed uffici destinati ai deputati ed ai loro assistenti che ottimizza i lavori parlamentari e costituisce un indiscutibile vantaggio.
Il Lussemburgo – che fino a metà degli anni 80 ospitava la Plenaria del Parlamento europeo – per non restare tagliato fuori, dava inizio alla costruzione di torri e edifici per una eventuale ridistribuzione delle sedi ed attualmente ospita le Istituzioni europee più importanti. Si continua ancora a costruire. Gli impiegati e i funzionari internazionali sono cresciuti in proporzione ai 27 Stati oggi membri dell’Unione europea, certamente aggiungendo un valore economico e commerciale ai paesi, sedi degli organismi istituzionali, ma la questione della sede unica del Parlamento europeo rimane ancora in sospeso, tanto che, con i venti elettorali poco favorevoli alla rotta tradizionale federalista ed unionista, non si può prevedere l’epilogo della vicenda.
Attualmente, da testimoni oculari, restiamo solo a fare informazione, costruendo letteratura, e anche patetica poesia quando ricordiamo che persino Jacques Brel, quando cantava Strasburgo tendeva a minimizzarne l’effettiva valenza: ”…pur se si attraversa col cuore, Strasburgo è solo più piccola di una piazzetta del mio quartiere”.
Ma Brel… era nato proprio a Bruxelles.
Eugenio Preta