Gli Stati sovrani e la vera essenza dell’europeismo
I vecchi testi di diritto costituzionale, quando parlano di Stato nazione indicano tre elementi costitutivi imprescindibili, al di là del tentativo odierno di riscrivere in chiave mondialista quei principi. Gli elementi necessari perché uno Stato possa essere chiamato Nazione è quando i suoi cittadini condividono una lingua, una cultura e i valori, tutto il resto, come direbbero cantori e romantici… “è solamente noia”.
Per troppo tempo l’euforia europeista, prospettando il miraggio di un radioso futuro comune a tutti i popoli del continente, ha cercato solo di cambiare la posta in gioco, la realtà degli Stati. Un sogno diventato l’incubo dei popoli e probabilmente solo ora si ha la sensazione che molte promesse sono state tradite dalle forzature operate e che i popoli, preferiscono oggi rientrare nell’alveo della loro “piccola Patria”, per ritrovare le solidarietà perdute e la possibilità di provvedere direttamente ai propri bisogni.
L’europeismo ha innanzitutto cercato di banalizzare l’importanza dei sentimenti che costituiscono la base delle fraternità e delle solidarietà nazionali e che permettono lo svolgersi della vita democratica; ha fallito nel tentativo di limitare le ineguaglianze, ha negato l’esercizio effettivo di libertà condivise nel vasto agglomerato umano che presenta caratteristiche e domande diverse da quelle delle piccole comunità umane tradizionali nelle quali vissero i nostri antenati per centinaia di anni.
Il suo problema principale è stato quello di non aver capito che non possono esserci democrazia né solidarietà economica uguale per tutti, come si evince sempre più chiaramente, innanzitutto perché non è mai esistito il sentimento nazionale europeo. La Germania, ad esempio, nega, tra l’altro, ogni idea di trasferimenti tra gli Stati e la Commissione esecutiva, pretende di legiferare anche contro la volontà popolare – sono parole del Presidente Juncker – convinta che ogni possibile costruzione europea non possa che essere una organizzazione politica inter-statale.
Nell’europeismo si crogiola quel liberalismo conseguente che ritiene che tutte le pulsioni nazionali appartengano al passato e che pertanto non ci sia alcun bisogno di questi stimoli – né di una cultura europea – per costruire un’Europa liberale aperta a tutto e a tutti. Ritorna quella famosa società aperta tanto cara ai multiculturalisti ed ai mondialisti, auspicata dalla superasse europea della tecnocrazia e della finanza, miseramente ridimensionata già nel 2018 da Obama, l’allora Presidente Usa, quando ebbe a confermare che “i popoli non vogliono vivere nelle società aperte”.
Da qui la necessità di un’identità nazionale e il ritorno dell’orgoglio dell’appartenenza, elementi costitutivi di uno Stato nazione, al pari della lingua – che riveste un ruolo essenziale perché crea uno spazio di comunicazione, di scambio e di trasmissione privilegiati; della religione – che diventa un elemento essenziale delle pulsioni nazionali; della Storia – che veicola la memoria collettiva del popolo, del territorio – come è stato voluto dai nostri padri, luogo di radicamento, ed infine della cultura, nel senso largo del termine: arte, letteratura, costumi, modi di vita ed istituzioni.
Affermare l’esistenza di una nazione europea quando a livello europeo non esistono gli elementi suddetti, è una perfetta illusione, addirittura un incubo. Per dimostrare l’inconsistenza del “messianismo europeista” bisogna tener ben presente che esistono tanti popoli e non un solo popolo europeo, che esistono numerose Nazioni sovrane e non soltanto una, ma soprattutto che aver creato un mercato unico non significa certamente aver formato una comunità politica e che una civiltà è tutt’altro che una comunità di cittadini. La democrazia presuppone l’esigenza di un demos comune ma, ricordiamo che non esiste un demos europeo per cui oggi l’Europa rimane soltanto uno spazio sociale, culturale ed economico nel quale gli Stati nazione cooperano liberamente.
Il federalismo imperante a livello degli attuali “insiemi” istituzionali e la dottrina radicata del political correct elevata a dogma, hanno sempre impedito ogni critica e tagliato ogni possibile dibattito. Parlare di Patria, di sovranità nazionale e di Stato nazione è considerato, sempre e comunque, inopportuno e “scorretto” mentre servirebbe perlomeno a definire i limiti del dibattito per impedire di uscire dal tema in discussione: la costruzione di un avvenire comune.
Il popolo europeo resta un mito strumentale e questa nostra Europa che oggi si avvia sulla strada del post-nazionale potrebbe essere anche un’Europa che si ritrova fatalmente post democratica. Alla chimera di un’Europa dei senza patria, melting pot di storia, cultura lingua e tradizioni non si può più contrapporre lo scetticismo paralizzante ma può soltanto avere senso un’Europa realista, capace di grandi progetti comuni di avvenire. Un’Europa che non sia più il regno senza confini di tecnocrazia, banche e finanza, ma un’Europa dei popoli, degli Stati nazione e delle “piccole patrie”.
Eugenio Preta