Il ruolo degli ” insiemi” istituzionali nelle crisi internazionali
Da tempo il cittadino europeo medio si chiede a cosa servano i grandi insieme istituzionali mondiali – a cui, oltre al benessere dei cittadini, è demandata anche la sicurezza e la pace – se poi non riescono ad arginare le crisi economiche e se i momenti di tensione rimangono senza risposte adeguate.
In questo contesto, l’Europa sembra aver finalmente preso una decisione importante che potrebbe servire a concretizzare il suo effettivo peso internazionale nell’esercizio della democrazia.
Una nuova lega di sette paesi membri dell’Unione europea con Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna in testa – e con l’Italia preoccupantemente assente, sempre altalenante tra ragione di stato e ragione… elettorale ha lanciato al presidente in esercizio del Venezuela, Nicolás Maduro, un ultimatum perché riconosca senza più tergiversare, Juan Guaidó, presidente dell’assemblea parlamentare venezuelana, come presidente ad interim del Paese.
Una presa di posizione forte, che sa tanto di un ultimatum. Ma un ‘ultimatum’ è pur sempre un fatto grave, sia perché ricorda memorie cupe e contrastate della nostra Storia più recente, sia perché lascia immaginare, in caso di non osservanza, un’azione di rappresaglia immediata e senza appello, che non sembra però rientrare attualmente nelle facoltà dell’Unione europea.
Un nuovo diritto di ingerenza, inaugurato dalla ‘Trimurti’ europea, Mogherini con Tusk e Juncker, che tuttavia non è nuovo nella storia recente dell’UE e non serve certamente a convincere il cittadino medio europeo e nazionale.
In effetti, lo stato attuale del Venezuela, superbo esempio di “riuscita” sociale ed economica dell’Alleanza boliviana per le Americhe – un progetto di cooperazione politica e commerciale promosso da Venezuela e Cuba nel 2004 grazie al ridimensionamento americano nei confronti dei paesi mito no-global – oltre a determinare il definitivo tramonto delle dottrine socialiste nell’America latina, ha rappresentato una situazione nuova per gli “insiemi” internazionali di controllo, anche se finora non ha dimostrato di essere in grado di determinare le reazioni di congiunte di Bruxelles e di New York.
Certo la situazione del Venezuela è preoccupante dal punto di vista della tenuta della democrazia, però lascia sorgere spontanei alcuni dubbi sul perché gli stessi forbiti esperti occidentali del diritto democratico non si siano dimostrati preoccupati e non si siano addirittura federati nella protesta proprio nel 2018, al momento della rielezione del presidente ‘barbudos’, e sul perché, in questa azione di riprovazione generale c’entri ancora la Gran Bretagna, nel momento che essa stessa non presenta una situazione democratica abbastanza chiara proprio in relazione alle vicenda del suo abbandono dell’UE.
Dall’altra parte dell’Atlantico, Donald Trump, a onor del vero, si è da tempo impegnato a condannare l’erede di Chávez, atteggiamento che certamente ha lasciato immaginare che i nuovi Savonarola europei possano essersi ispirati alle iniziative del presidente americano, spesso detestato.
Suona strano, però, che gli stessi censori tanto solerti nei confronti della situazione venezuelana non si preoccupino dell’inquietante rottura unilaterale da parte dello stesso Trump, il “big tweet addict”, ovvero il protagonista della recente proposta di ritiro dagli accordi oggetto del trattato sulle armi nucleari di portata intermediaria FNI, concluso nel 1978. Denunzia che invece è stata immediatamente e simmetricamente pronunciata dall’Europa contro Putin, la controparte direttamente interessata.
Silenzio anche da parte dell’Europa su questa tematica molto più preoccupante per la sicurezza mondiale della futura destinazione del petrolio venezuelano: niente per l’istante. Silenzio prudente, aspettativa speculativa, o attesa di una dichiarazione comune della nuova coppia capofila franco-tedesca?
L’ONU, poi, questo marchingegno che siede a 365 chilometri da Washington è totalmente assente in materia, come il suo Consiglio di Sicurezza che non è stato ancora capace di convocare neanche una riunione urgente.
Tutto lascia presagire che l’avvenire del Venezuela possa pesare quindi sullo scacchiere internazionale molto più che le relazioni tra Mosca e Washington.
Eppure, nella concitazione del momento, potrebbe essere giunto finalmente il momento topico dell’Europa: quello di dimostrare la sua capacità di arbitrio e, meglio ancora, di ascoltato pacificatore nello scacchiere geopolitico mondiale.
Eugenio Preta