Il dramma della Grecia svenduta “all’oncia”
“Selling England by the Pound” – che in italiano potrebbe tradursi in “vendesi Inghilterra un tanto al chilo” – è stata una fiaba cantata dai Genesis, suggerita da un manifesto del partito laburista che denunziava la svendita del Paese a meri interessi finanziari ed economici. Nessun incipit poteva adattarsi meglio di questo, per descrivere le problematiche dell’euro e l’inquietudine che pesa sulla minaccia di privatizzazione dei tesori archeologici greci avanzata da Alexis Tsipras, problematiche che fanno da sfondo all’articolo del quotidiano greco “To Ethnos” (La Nazione), che pubblica la notizia che un fondo di privatizzazioni si interessa di nuovo a tutti i monumenti ellenici, dalla Torre Bianca di Salonicco al Tempio di Knossos a Creta, al paradiso naturale dell’Isola di Elafonisos.
Lo stesso giornale ricorda che nell’estate scorsa più di 10.000 siti archeologici, oasi ambientaliste e musei erano stati affiliati al TAIPED, Fondo per la Valorizzazione del Patrimonio Privato dello Stato, incaricato di privatizzare i beni pubblici greci, imposto e reso operativo dagli istituti bancari ellenici, nell’ambito di quel piano di salvataggio del Paese che impone la vendita all’asta di tutti gli attivi pubblici.
Chi si oppone a questa palese minaccia di privatizzazione, vale a dire i sindaci dei siti coinvolti, non può far altro che ricorrere al Consiglio di Stato per tentare di fare annullare la decisione. In attesa del verdetto, c’è la certezza quasi matematica che il fondo TAIPED farà di tutto per impedire una sentenza di annullamento per poter continuare a mantenere i siti archeologici più importanti, nella lista delle privatizzazioni proposte.
Per uno strano capriccio della Storia, proprio questa sinistra radicale si è distinta per grandi privatizzazioni proposte e decise. Ancora un piccolo sforzo di benevolenza verso i tedeschi, le banche e l’Europa e ben presto la Grecia non avrà più niente a che vedere con il paese che molti accomunano all’Italia nella definizione popolare della “stessa faccia e stessa razza”, perché così facendo, sta perdendo la sua stessa anima.
Del resto Tsipras, campione della sinistra radicale, sta accumulando tutta una serie di vere e proprie “farse”, con la benedizione del suo pigmalione, la signora Merkel, andata recentemente in visita in Grecia per riconoscergli ufficialmente, ad esempio, la forte pressione esercitata in favore del cambiamento di nome della Antica Repubblica Iugoslava di Macedonia che ben presto, se il voto del parlamento ellenico ratificherà l’accordo, cambierà la sua denominazione in quella di Macedonia del Nord. Una forzatura problematica per la forte opposizione della maggior parte dei greci, da sempre contrari a qualsiasi concessione che riguardi quella regione settentrionale.
Riflettendo attentamente, è la storia che si oppone a questa decisione: il nome Macedonia appartiene strettamente al patrimonio storico greco insieme a tutta quella provincia settentrionale, la cui capitale è Salonicco, corrispondente all’antico Tessalonica, nome della figlia di Filippo il Macedone quivi seppellito, e sorella di Alessandro il Grande, re di Macedonia dal 336 al 323 avanti Cristo.
La decisione di Tsipras ha dato avvio ad un grande movimento di lotta per rivendicare la “grecità” della Macedonia, una protesta di popolo che ha spinto, domenica scorsa, 100.000 persone, provenienti da tutto il Paese a scendere in piazza Syntagma ad Atene, per manifestare la loro opposizione e la loro rabbia. Lo stesso ministro della difesa, Pános Kamménos, esponente della corrente sovranista nel governo di coalizione di Tsipras, ha annunciato le sue dimissioni prima del voto del parlamento ellenico, chiamato a ratificare il nuovo nome di Macedonia. Kamménos ha fatto da cassa di risonanza a tutti quei greci che rimangono convinti che esista una sola Macedonia e che questa sia quella greca quindi, sottolineando l’incostituzionalità del voto richiesto al parlamento, ha manifestato l’intenzione di promuovere un referendum da tenersi parallelamente alle elezioni europee di maggio. Una minaccia che, possiamo immaginare, risuoni nei palazzi di Bruxelles come un preoccupante “assist” a favore della campagna elettorale dei pericolosi populisti e sovranisti anti-europei
In queste ultime ore, al clima surriscaldato per il problema della Macedonia e al coro delle proteste contro le privatizzazioni si è aggiunto l’appello dell’Associazione nazionale archeologi greci, che ha diramato un appello internazionale per protestare contro le minacce che attentano oggi il patrimonio culturale ellenico.
La Grecia sta pagando a caro prezzo l’orgia dell’eccessivo consumismo e l’incapacità della classe dirigente che l’ha ridotta al fallimento, consentendo alla Troika europea di installarsi ad Atene per dettare la stessa agenda governativa anche allo scopo di recuperare i crediti concessi dalle Banche europee e che la Grecia non è in grado di onorare.
La Grecia della dracma e del sirtaki, della scuola di Atene, dei grandi filosofi e dei letterati più eruditi, faro di civiltà nei secoli, aggiunge purtroppo al suo fallimento economico, finanziario e sociale anche la minaccia di quell’azzeramento culturale che impedirebbe ai Greci di conservare la memoria e le tracce materiali del loro passato. Ma questo non è un problema solo greco, ma è un interesse che accomuna tutta la civiltà europea, perché un popolo senza più memoria è condannato a ripetere sempre e per sempre gli errori del passato.
Eugenio Preta