I Commissari europei cercano di spiegare l’immigrazione
Un ruolo che potrebbe sfuggire alle cronache spicciole delle celebrità mediatiche ma che certamente è il fulcro dell’esuberanza di quei nominati senza consenso popolare che reggono le sorti dei superministeri dell’esecutivo europeo – ormai il supergoverno degli Stati nazione depotenziati delle loro sovranità – è quello di Dimitris Avramopoulos, il commissario responsabile delle migrazioni, degli affari interni e della cittadinanza europea.
Avramopoulos può presentare sicuramente un curriculum vitae di tutto rispetto, rapportato pur sempre al tempo delle vacche grasse. E’ stato membro di Nuova Democrazia, il partito di centro destra, meglio la democrazia cristiana ellenica; è stato sindaco di Atene, deputato, ministro del turismo e della sanità poi ministro degli affari esteri prima di farsi spedire al sole della Commissione europea appena la crisi finanziaria ha toccato il paese della dracma e del sirtaki.
Europeista convinto, oggi a capo di un dicastero importante come quello che dovrebbe regolare i flussi migratori, il commissario ha esordito sulla scena mediatica della televisione francese, con la diffusione costruita a sua immagine di un discorso degno di Pericle, non rivolto agli ateniesi questa volta, ma agli europei, invocando il momento di costruire una politica europea d’immigrazione e d’asilo per il futuro. Perfettamente in linea con il recente dogma codificato dall’ONU e benedetto dal Vaticano, al Global Compact della scorsa settimana.
Il commissario greco ha snocciolato un vero e proprio inno all’immigrazione, con l’introduzione a un richiamo a quella disinformazione che sembra essere diventata una vera ossessione, là, nelle alte sfere della tecnocrazia di Bruxelles.
Se vuoi parlare, prima fissa i limiti del tuo discorso, dicevano i sofisti ateniesi e il commissario, tanto sofista non è, se è partito dalla constatazione che i cittadini dimostrano preoccupazioni reali per l’impatto che le migrazioni hanno sul loro ambiente sociale e sulle loro relazioni di vicinato e se ha ricordato a se stesso che i responsabili devono saper ascoltare e spiegare per poter agire. Ascoltare, spiegare ed agire e qui, direbbero le nostre nonne, è caduto l’asino, perchè Avramopoulos ha tenuto a sottolineare che i populisti e i nazionalisti sfruttano la questione migratoria per fomentare paure e spargere disinformazione. Grazie al commissario europeo abbiamo finalmente capito che la questione migratoria non è un “non problema” e che il problema vero, di fondo, sono i populisti.
Una specie di autodifesa che dimostra la paura che serpeggia nei palazzi di Bruxelles, tanto che tutti sono ormai mobilitati a impedire che forze complottiste esterne, possano influenzare il dibattito europeo attraverso falsi messaggi e tweets fraudolenti. Naturalmente poi è compito dei più competenti assicurare un dibattito di qualità e spiegare chiaramente la differenza tra realtà e finzione. Ma spiegare ai bravi cittadini, di certi quartieri degradati delle città di questa nostra bella Europa, la differenza tra realtà e finzione, incarta il buon commissario in un gioco, come ricordare ai nostalgici del muro di Berlino, la necessità di edificare un muro per difendersi dalle forze populiste che cercano di isolare e dividere.
Entrando poi nel vivo dei problemi migratori, il commissario snocciola il catechismo corrente delle migrazioni, riconosciute come un aspetto della mobilità umana, quindi parte della nostra storia e del nostro avvenire. Così la summa teologica di questa costruzione europea, è diventata quella che la rappresenta, come un mito da abbattere da parte di nazionalisti e populisti e come la ricerca delle porte spalancate all’immigrazione, recepita come un incredibile vantaggio per le nostre economie e per le nostre società umane da parte degli esperti europeisti.. Da sottolineare, en passant, che per questi ultimi, l’economia prevale sempre sulla società: evidentemente, solo una questione di priorità.
E’ stata certamente singolare la trasformazione del cittadino greco diventato il cantore di quell’immigrazione extra-europea, che ha portato il suo stesso paese al fallimento ed i suoi giovani laureati e diplomati – 427 mila giovani ellenici in un paese di meno di 11 milioni di abitanti- ad abbandonare il loro paese, una nuova diaspora dopo le misure draconiane imposte dall’Unione al bilancio dello stato.
E’ stato sicuramente grottesco, in quasi due ore di trasmissione, notare che questo alto responsabile europeo, figlio del Paese che era stato patria della filosofia, del diritto e della legge non abbia sentito l’obbligo di richiamare nel suo discorso, almeno per una sola volta, la parola “civiltà”, rimasta del tutto estranea e inappropriata a questa tribuna auto-celebrativa.
Eugenio Preta