Una nuova guerra di Crimea
Venti di guerra soffiano sul mare di Azov – piccola rientranza a nord del Mar Nero, tra l’Ucraina e la Russia dove tre navi da guerra ucraine sono state sequestrate dalla Marina russa per presunti sconfinamenti frontalieri e la responsabilità dell’accaduto – come succede in questo casi – è rimpallata tra le due parti in causa.
Per capire una realtà politica bisogna innanzitutto osservare attentamente la carta geografica della regione per stabilire le frontiere che delimitano i grandi insiemi etnici, culturali, religiosi, studiandone l’olografia, le montagne, i fiumi e i mari.
La geografia è la guida più fedele per comprendere un dato avvenimento – anche se deve essere adattata al tempo ed è certamente l’elemento determinante per spiegare il passato ma anche per capire il presente.
La culla storica della Russia si posiziona da secoli in Ucraina, una regione sempre blandita dalle grandi potenze mondiali ed una delle nazioni sempre in bilico tra Europa ed Eurasia, tra cattolicesimo ed ortodossia, tra cristianesimo ed islam, destinata a guardare un giorno ad est ed uno ad ovest, come del resto la Russia, la cui estensione geografica va da San Pietroburgo a Vladivostok, un passo in Europa ed uno in oriente,
Non è senza ragione che la Crimea, regalata poi imprudentemente nel 1954 da Krusciov all’Ucraina, sia stata un tempo la causa della guerra, detta appunto di Crimea, che nel 1853 aveva visto opposta la Russia alla Francia ed al suo alleato ottomano. Oggi sembra che nulla sia cambiato.
Gli Usa, subentrati come nuova superpotenza, tentano senza ritegno di strappare Kiev all’influenza di Mosca sia attraverso le rivoluzioni colorate e teleguidate dall’esterno, sia attraverso la richiesta di adesioni più o meno forzate alla sedicente alleanza atlantica, il tutto sostenuto da campagne stampa internazionali per screditare i dirigenti locali filo-russi accusati, al di là della loro corruzione vera o presunta, di non rispettare i diritti dell’uomo, soprattutto quello degli omosessuali e dei giornalisti.
A questo proposito, la personalità dell’attuale presidente ucraino, Porochenko, idolo dei media occidentali, si rivela alla perfezione. Questo oligarca, divenuto uno degli uomini più ricchi del paese grazie alla liberalizzazione economica selvaggia – con l’opera del solito Soros – dopo essere stato uno dei principali finanziatori della rivoluzione arancione del 2004, è diventato dal 2014 Presidente della repubblica.
L’incidente del presunto sconfinamento ucraino sarà ben presto risolto dalla diplomazia, anche se attualmente ognuna delle parti cerca di alzare i toni, come succede generalmente in queste occasioni. Rimane la constatazione che, nel momento in cui sembra essere di gran moda chiedere l’abolizione delle frontiere per motivi economici o ideologici, il problema delle frontiere torna prepotentemente alla ribalta e non sembra essere mai stato così importante proprio perché le frontiere rappresentano il luogo, mai ben definito, più debole dove nascono gli attriti tra gli Stati (Israele e Palestina ne sono l’esempio più lampante).
E’ sempre più evidente che, spingendo Stati tradizionalmente sotto l’influenza moscovita verso l’adesione alla Nato, l’Occidente non fa altro che confermare al Cremlino l’impressione di essere posto in stato di perenne assedio da parte di quel mondo multiplo che Mosca ormai non sa se temere o se dover finalmente riavvicinare.
Eugenio Preta