Nelle scuole catalane l’arabo sostituisce la lingua spagnola
La ‘Generalitat’, il governo autonomo di Catalogna che cerca in tutti i modi di secedere dalla Spagna e invoca quella multiculturalità della società catalana che persegue con vigore, ha approvato un decreto legislativo che prescrive l’insegnamento dell‘arabo in tutte le scuole della regione introducendone una implicita parità con la lingua spagnola.
Il catalano è stata sempre la lingua base dell’insegnamento scolastico, con l’eccezione di qualche spazio orario riservato alle lingue straniere come l’inglese, il francese o lo spagnolo, elenco a cui oggi si deve aggiungere l’arabo. Il vero problema consisterebbe non nell’aggiungere l’arabo ma nella constatazione che il sistema scolastico di Barcellona appare discriminatorio nei confronti di chiunque non sia nazionalista catalano e nella conseguente e necessaria rivisitazione dei programmi che sono scritti e orientati dal castigliano.
Quattro grossi centri d’insegnamento della ‘nazione catalana’, così come viene chiamata dai secessionisti la Catalogna, hanno già recepito il decreto ed introdotto nella loro programmazione la parità di insegnamento tra l’arabo e lo spagnolo. I più accaniti assertori di questa disgregazione linguistica a favore dei ‘fratelli arabi’, fortunatamente ancora non strutturata, sono i gesuiti di Barcellona, nel loro istituto nel quartiere di El Clot.
Impegnati in tutte le vicende di inclusione multiculturale, i gesuiti costituiscono una vera e propria avanguardia pedagogica che obbedisce agli orientamenti indicati dal loro Superiore generale che oggi siede in Vaticano.
In Europa si ignora – ma da tempo si sa in Spagna – che gli indipendentisti catalani si distinguono per uno strano fervore identitario che suona però parziale dal momento che la metà spagnola dell’identità catalana viene scientemente ignorata. Questo grande fervore identitario si estrinseca nelle più discutibili espressioni dello spirito anti-identitario: il mondialismo, il multiculturalismo e l’individualismo.
L’eccesso nichilista e l’angoscia che caratterizza il nostro tempo postmoderno costituiscono la loro bandiera. Così in Catalogna trova spazio tutto quelle che sembra eccessivo e sopra le righe: il femminismo esacerbato, il sinistrismo oltranzista, l’ideologia transcender, l’animalismo trans-umanista, la sostituzione immigrazionista. Tutto questo trova dignità nelle regole indipendentiste.
All’opposto, la classe borghese di sempre, quella che ha cercato di contrastare la secessione e che oggi rischia – com’è avvenuto per i loro antenati che si fecero massacrare e annientare dal terrore rosso scatenatosi durante la guerra civile – di soccombere di fronte alle orde sinistrorse, ma indipendentiste.
Tuttavia sorge una domanda: tra le angosce libero-libertarie e lo scopo finale di un’indipendentismo he distruggerebbe la vecchia e una volta grande nazione spagnola, c’è effettivamente una contraddizione insormontabile o piuttosto sono facce di una stessa bandiera?
Esiste effettivamente una connivenza implicita, come quella che si instaura tra chi vuole dissolvere ogni legame e ogni contatto e chi vorrebbe solo parcellizzare l’esistente; siamo pertanto di fronte al tentativo di disintegrare le basi del nostro stesso vivere civile: dopo la famiglia e dopo lo Stato nazione si cerca oggi di sconvolgere i concetti antropologici più semplici. Il semplice fatto, ad esempio, i essere uomo o donna.
Il più grande finanziatore dell’indipendentismo è George Soros, che opera nelle vicende catalane attraverso le diramazioni della sua fondazione umanitaria ‘Open society’. La longa manus del miliardario è apparsa da tempo in Catalogna, e lo ha fatto con la sua arma migliore, quella della borsa. Così il piano di sostituzione mondialista si sta gradualmente ma inesorabilmente realizzando, grazie alla complicità degli stessi governanti, tanto che Soros oggi può sorridere, firmare e persistere.
Eugenio Preta