Manifestazione anti-Brexit di Londra
Non riescono ancora a rassegnarsi. Certo la buona volontà c’è tutta, anche a dispetto delle leggi, della costituzione e del risultato del voto popolare. Sono trascorsi 5 mesi da quando il Regno Unito di Gran Bretagna e l’Irlanda sono usciti dall’Unione Europea e 570.000 i britannici delusi, provenienti da tutto il paese, con in testa il sindaco islamico di Londra, il pachistano Sadiq Khan, hanno manifestato per reclamare un nuovo referendum motivando la loro richiesta con argomenti generici, labili alla fine anche faziosi.
La marcia di Londra dimostra che il progressismo tecnocratico della City e l’intelligenza radical chic di Chelsea e Mayfair, non riescono ad accettare il responso popolare e si aggrappano a mille pretesti: dalle difficoltà che sta incontrando Theresa May nella definizione dei negoziati della Brexit con l’UE, alla difficile questione della gestione delle frontiere comuni con l’Irlanda.
In verità al di là dell’esigenza di sollecitare precise misure economiche, c’è la grande preoccupazione della presunta perdita di prosperità economica o di un possibile incremento del razzismo, improbabile proprio oggi che l’elemento allogeno è arrivato addirittura ad occupare la City Hall della capitale. Evidentemente i manifestanti erano – inutile dirlo – i sempreverdi adepti della mondializzazione, gli artisti radicali, gli insegnanti socialmente impegnati, tutti di età diversa e di origine sociale ben posizionata nella media borghesia. Non c’erano – inutile dirlo – i non bianchi, gli artigiani manifatturieri, la classe operaia, il vero popolo, quello di cui i soloni dell’organizzazione, potevano farne a meno.
Una manifestazione certamente di effetto che ha fatto buona propaganda, ma che non potrà cambiare la volontà dei cittadini e quella del primo ministro britannico alla vigilia delle elezioni europee, che è servita come campagna pre-elettorale del voto europeo che farà leva sulla paura del futuro e sulla forza della disperazione.
Il Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda rischia di accrescere la delusione degli anti-Brexit, che temono di tornare indietro nel tempo, ai circoli Pickwick di Charles Dickens o ai tuguri di Oliver Twist, lanciando un messaggio di allarme a chi ha voluto la Brexit, sperando di intimorire quei paesi continentali che stanno cominciando a valutare e forse anche a sognare gli exit. Speranza e paura: la paura di fallire negli allarmi e la speranza di bloccare il buon popolo dell’altro lato del canale.
Ma paura di cosa, della democrazia? E’ la democrazia che si è espressa col voto del 23 giugno del 2016 quando quasi il 52% dei britannici si è impegnato a votare per decidere l’exit dall’Unione. Un referendum certamente non inventato che non è stato né un biglietto vincente della lotteria e nemmeno un colpo di mano.
Nel 2015, Cameron allora primo ministro, si era impegnato in campagna elettorale, a convocare il referendum che avrebbe stabilito se il Regno Unito doveva restare o abbandonare l’Unione europea.
I conservatori vinsero quelle elezioni e, cosa inaudita per le democrazie del gratta e vinci, quella italiana in primis, i leader dei partiti che avevano fatto propaganda contro la brexit e che avevano perso le elezioni: Ed Miliband per i socialisti, Nick Clegg per i liberali e naturalmente Cameron, si dimisero “ipse facto” dalla direzione del loro partito. Cameron poi – anche questa cosa inaudita per quelli di cui sopra- convocò il referendum che aveva promesso il 23 giugno del 2016, presentando un quesito referendario senza fronzoli, chiaro come sa essere la lingua di Albione, che chiedeva semplicemente se Il Regno unito dovesse restare membro dell’Unione europea o la dovesse abbandonare, così papale papale senza formule arzigogolate.
Naturalmente Cameron fece campagna anti brexit, finché sconfessato dal voto dei suoi compatrioti presentò le sue dimissioni alla Regina e due mesi dopo abbandonò la Camera dei Comuni. Il resto è attualità.
Noi col brutto vizio di dare lezioni di democrazia a tutti, eravamo invece riusciti in un miracolo tutto “napoletano”: evitare per tre volte il dovuto responso dei cittadini per poi ripresentare consecutivamente tre governi in pesante deficit democratico perché nominati e mai eletti dal popolo.
Eugenio Preta