Il racconto della morale e delle migrazioni
La pressione esercitata oggi dai media di contro-informazione, sempre più condivisa dai popoli di questa Europa, ha finalmente costretto gli organi della propaganda ufficiale a modificare le loro linee editoriali ed a presentare un resoconto veritiero sull’esatta portata del flusso di migranti che si riversa sul vecchio continente.
La favola della fuga di fronte ai pericoli legati a situazioni di guerre e rivoluzioni, spesso sostenute da immagini a forte impatto mediatico e psicologico è stata oggi depotenziata e viene utilizzata ormai solo da qualche mediocre “filtraggio a pagamento“, una vera illusione, come quella dei prodotti unici delle grandi marche impagabili nelle vetrine dei magazzini del centro città, ma reperibili in quantità e a prezzi stracciati, nei discount di periferia.
La persecuzione religiosa, utilizzata in un primo momento, ha toppato quando si è manifestata la vera origine dell’intolleranza e delle violenze, e sono stati indicati gli aggressori e le vere vittime: i cristiani. Una tesi subito accantonata, perché sarebbe stato impensabile convincere l’opinione pubblica, dal momento che sono le armi occidentali a munire gli assassini con la vocazione della strage.
Internet, che ormai denuncia le numerose sceneggiate e le varie manipolazioni, ha evidenziato che fra i migranti, sono tanti i giovanotti palestrati ed ha smontato anche il significato di quelle immagini “spezzacuore”, rendendo le coscienze occidentali svezzate e restie alla compassione. Soltanto nei miti irenici della socialdemocrazia la povertà è solidale alla miseria.
La tendenza odierna, quella che Salvini riesce a mettere a fuoco, consiste quindi nel riconoscere la realtà effettiva del fenomeno, cercando in tutti i modi di trovare una giustificazione alla politica suicidaria condotta fin qui. La giustificazione più condivisa è la motivazione climatica. L’Africa è un continente vastissimo, ricco di potenzialità agricole e solo il condizionamento mentale operato da secoli, ha portato gli occidentali a riconoscerla come zona arida. La riserva delle terre coltivabili è considerevole così come la riserva di risorse idriche (del resto i Cinesi si sono già da tempo impegnati a recuperarne milioni di km quadrati). Sicuramente la demografia musulmana è enorme, ma immaginando una popolazione africana di due miliardi di persone che abitano i due terzi non aridi del continente abbiamo una proporzione di soli 100 abitanti per kmq, la metà di quella dell’Italia e undici volte meno di quella del Bangladesh.
L’Africa è ricchissima di minerali, legno e idrocarburi. Sicuramente il colonialismo occidentale, ma anche l’incuria e la predominanza di gruppi al potere, sono la causa delle difficoltà di questo continente, non certamente la mera fatalità. L’errore maggiore compiuto dagli occidentali è stato quello di averla consegnata negli anni ‘60 a quei dirigenti formati alla scuola di Mosca e averla catapultata nella mondializzazione più selvaggia senza riuscire a proteggerla dall’islamizzazione conquistatrice. L’errore più grande non è quindi quello di aver colonizzato l’Africa, ma quello di averla decolonizzata troppo presto e molto male. Alla nevrosi della colpevolizzazione dell’uomo bianco, non restava altro che far leva sulla morale, valore fino a poco tempo fa ignorato dai progressisti, che oggi, invece, torna in auge con forti richiami al cristianesimo.
La nostra coscienza civile e cristiana ci prescrive l’obbligo morale superiore di accogliere i nostri fratelli neri e i nostri cugini maghrébine in nome della carità. Ma carità, oggi è il contrario di giustizia; quale giustizia infatti nel continuare a sottrarre all’Africa una parte della sua gioventù, senza dubbio la più attiva? Quale giustizia e quale morale nella distruzione della cultura occidentale, nella disparità dei popoli che hanno inventato il mondo?
L’integrazione, poi, può rappresentare l’esilio per un padre ma certamente è un’opportunità per il figlio, che può ritrovare così una patria. Ma arrivare in massa, senza la volontà di condividere i valori e le leggi, vuol dire voler riprodurre “altrove” ciò da cui si vuol fuggire. Sovvertendo il racconto comune, oggi il vero esilio non è più quello di venir separato dal proprio paese, ma quello di continuare a viverci senza trovare più nulla di ciò che ce lo faceva amare.
Eugenio Preta