L’impotenza dell’Europa
L’attuale crisi dei migranti evidenzia sempre di più le tare congenite di questa Unione europea. Svuotata dai suoi significati originari e praticamente impotente di fronte alle crisi mondiali, la Commissione – che si vuole l’esecutivo del governo europeo – sta dimostrando l’incapacità di gestire situazioni che dovrebbero certificarne la valenza politica.
Non ci soffermiamo soltanto all’attuale crisi dei migranti, ma per esempio anche della questione ucraina, all’ambiguità in Siria, ai problemi irrisolti di economia e moneta, ai rapporti con gli Usa e per finire oggi con il braccio di ferro esistente con il nuovo governo italiano.
I profeti del pensiero unico avevano già dato per scontato l’impossibilità di formare un governo in Italia, ma… distratti, non si erano resi conto né dei programmi né della professione di lealtà dei due partiti oggi in coalizione di governo. In realtà, questi sapientoni sono gli stessi che avventatamente e accecati per la perdita del consenso, avevano profetizzato il fallimento di Trump sul piano economico e invece di fare ammenda, si sono impegnati a costruire falsi teoremi sulla possibile implosione del governo italiano.
Di fronte alle evidenti incapacità della “macchina” di Bruxelles, non è più Salvini a radicalizzare le sue posizioni ma addirittura il vicepresidente del consiglio Di Maio che, coerente alla politica sociale auspicata dal suo programma di governo e a fronte del tabù del 3% del deficit di bilancio previsto da Lisbona, ha candidamente dichiarato che non sarebbe rimasto supinamente soggetto al diktat comunitario. Tacciato di “iconoclastia” assoluta e ricondotto alla vicenda greca, Di Maio, ha invece preso esempio proprio dalla situazione economica e sociale di quel paese, per mettere a nudo la tragica impotenza europea.
I soloni dell’informazione, spesso al soldo dei poteri europei, avevano persino preconizzato che la situazione dei migranti avrebbe diviso in due i partiti di governo, invece è stato proprio Di Maio a intervenire al posto di Salvini per chiedere all’UE di trovare una soluzione accettabile, per la ripartizione verso gli altri Stati membri dei 170 migranti della Diciotti, finalmente presi in carica da Albania, per evidenti ragioni di opportunismo diplomatico alla vigilia di un’adesione ancora complicata, dall’ Irlanda e dalla Chiesa, lo Stato vaticano, non la Repubblica italiana.
Ben deciso a sollecitare la solidarietà europea Di Maio ha persino minacciato di non pagare la quota di 20 miliardi come contributo annuale dell’Italia al bilancio comunitario.
Si è giunti al paradosso che la Commissione – messa alle strette – invece di rispondere tecnicamente, ha ritenuto di dover controbattere alle dichiarazioni del vicepresidente Di Maio, intervenendo con un oscuro porta-parola, un tecnico amministrativo che si è addirittura permesso di minacciare il nostro paese e, con il solito linguaggio stereotipato istituzionale, ha ripreso il triste e ben conosciuto refrain della Commissione che “ha lavorato e continua a lavorare alacremente per risolvere la situazione.”
In verità sembra che “l’officina” di Bruxelles rifiuti di immaginare che, dopo l’esempio britannico della Brexit, possa essere insorto anche in altri paesi il rischio reale di una possibile uscita dal consesso europeo.
Pretendere di dare lezioni ai popoli oltre che un disdicevole errore diplomatico, è sicuramente sinonimo di stupida vanità e di insigne protervia.
Dopo il fallimento della riunione del Consiglio europeo di venerdì scorso e l’inerzia dimostrata dalle istituzioni europee, Di Maio ha insistito con determinazione, di voler sospendere il contributo italiano, riducendo drasticamente i fondi destinati all’UE, in contrasto con la Commissione che ha ricordato che mai, nella storia dell’Unione europea alcuno Stato membro si sia mai rifiutato di versare il contributo, essendo questo un obbligo iscritto nei trattati. L’Esecutivo ha però dimenticato di constatare, che mai come oggi, gli Stati sovrani si stanno dimostrando sempre meno disposti ad accettare supinamente e senza discussioni, tutte quelle misure che possono ledere gli interessi legittimi degli Stati Sovrani.