La festa del “futbol”
Il mondiale di calcio, la scenografia mediatica che accompagna l’avvenimento è stata sempre una grande festa delle Nazioni. Abbiamo sempre tutti un bel dire su questioni di dottrina, confini, valori o politica, ma quando due squadre entrano in un terreno di gioco, quando suona un inno nazionale, è sufficiente che 22 ragazzotti si rincorrano in mutande per prendere a calci un pallone perché i cuori di tutti battano all’unisono e si gioisca o ci si danni per una vittoria o per una sconfitta.
Siamo anormali se dichiariamo di essere contrari a questo sport e alla festa “spendereccia” che l’accompagna? Siamo fuori tempo se dichiariamo di preferire un campetto di tennis o un percorso di golf ad uno stadio di questo “mondiale” di calcio? Ma veramente bisogna essere allineati alla moda degli adepti di tivvù, poltrona, pizza e birra per sentirsi adeguati alle migliori intelligenze del tempo? “Panem et circenses” raccomandavano i saggi romani; pane però sempre di meno e sempre più divertimento e tivvù.
In verità è una società incomprensibile, schizofrenica. Siamo diventati tutti “intelligenze” che mettono magliette rosse e scendono in piazza per protestare in silenzio ma anche sempre pronti ad accorrere con trombette, rossetti colorati e ghirlande, per applaudire questi atleti in mutande che prendono a calci un pallone e frequentemente stramazzano a terra se sfiorati anche solo da un “cattivo” pensiero, per indecenti stipendi di milioni di euro che niente hanno a che vedere con magliette, origini e orgoglio di appartenenza. Vedere giocatori dai nomi impronunciabili sussurrare i versi della “Marsigliese” o il “Dio salvi la regina” non per orgoglioso ma solo per “esigenze” di copione, mi fa odiare tutta la scenografia che fa da contesto a questo futbol.
Se amare il calcio significa poi devozione senza alcun senso per questi commedianti in mutande assurti ad eroi, …be’ non ci siamo proprio. Sono tutti tifosi quelli che protestano con le magliette rosse o quelli che gridano davanti allo schermo della tivvù; provengono da differenti classi sociali, hanno interessi diversi, ideologie più svariate, ma momentaneamente uniti nella stessa battaglia per vincere la guerra per questa Coppa Rimet. Ma poi… non è la stessa cosa della Coppa Davis?
Alla domanda ci sentiamo di rispondere con un semplice constatazione: gli amanti del tennis o di altri sport “minori” non sono stati mai motivo di preoccupazione sociale, non hanno mai originato movimenti di folle eccitate, mobilitazione di ingenti forze di polizia né le relative guerriglie urbane di hooligans, è solo gente irregimentata certo, meno numerosa degli adepti del futbol, ma socialmente molto meno pericolosa per il potere.
Nelle salette dei bar una parte di operai, dirigenti, borghesi e intellettuali si riunisce con lo stesso spirito patriottico attorno ad un pallone di cuoio (o altro materiale più sofisticato) quasi in una santa alleanza di tifoseria nazionale. Un paese riunificato finalmente dallo sport, come hanno sognato gli utopisti. Solo momentaneamente però; addormentate le folle dal sogno di vittoria, nutrite dal pane e dal gioco, si sveglieranno solo quando dopo aver tanto gridato vittoria avranno smaltito gli effetti del sonnifero prodotto esclusivamente dai laboratori tentacolari della politica
Questa pratica dell’attendere la generosità ad oltranza avvilisce i cittadini, impedisce loro di pensare e di riflettere autonomamente e storna l’attenzione dall’essenziale. E’ un sottile strumento elaborato dalla strategia propria dei regimi totalitari per annichilire silenziosamente ogni tendenza popolare che va contro corrente e contesta la Dottrina.
I giochi olimpici del ’36 sono stati un bell’esempio di quella fase che poi ha fatto Storia. A questo punto è necessario rimettere la realtà ed i valori che difendiamo, al loro giusto posto. Dostojevski, nei “Fratelli Karamazov”, scrisse: “il popolo ha bisogno di marciare verso la felicità come un gregge diretto da una guida, la sola capace di giudicare esattamente le cose” attenzione però a non confondere questa Guida e trovarla nascosta sotto le spoglie di un abile goleador straniero.
Eugenio Preta