La chiave del successo di Putin e dei leaders dell’ Europa orientale
Le trionfali rielezioni di Putin e dei leader dei Paesi dell’est-Europa hanno fulminato l’occidente.
Non sono certo mancati commentatori che abbiano evocato brogli elettorali o gridato al trionfo delle dittature, eppure i risultati dimostrano esattamente la popolarità autentica degli eletti.
I risultati hanno scatenato le reazioni di quei politici che faticano per farsi eleggere e poi, una volta eletti, vedono precipitare vertiginosamente il loro indice di gradimento tant’è vero, che molti Paesi dell’Europa hanno governanti che il loro stesso popolo rifiuta.
La chiave che ha determinato il consenso di Putin e degli altri leader come Orban, sta nell’impegno sui temi nazionali; diciamo nazionali, non nazionalisti e meno ancora populisti, come sembrano insinuare oggi i media internazionali ed europei.
Recepire il patriottismo e la difesa degli interessi del proprio paese ed essere tacciati di populismo, peggio di totalitarismo, è un’assurdità storica e morale.
Patriottismo non è totalitarismo. Pensarla così, è illogico e strumentale innanzitutto perché il vero patriottismo non esclude affatto la presa in considerazione degli altri popoli, e poi non dimentichiamo che il totalitarismo è un progetto ideologico mondialista a carattere patologico, che prende in considerazione solo un popolo.
Un’assimilazione che è anche un’assurdità morale perché il dovere principale di ogni uomo politico dovrebbe essere quello di difendere gli interessi del proprio Paese. Un’esigenza osservata già presso le tribù della preistoria e rimasta sempre d’attualità, al di là di ogni ideologia.
I candidati sindaco di una città, per esempio, dovrebbero capire d’istinto che hanno il dovere di difendere gli interessi del proprio territorio e che lo debbano fare alleandosi alle entità superiori che sono la Regione o lo Stato.
In Europa, quando si parla di centralismo dello Stato, il sentimento nazionale derivante si trova fuori gioco, anzi, invocare nei gabinetti ministeriali proprio l’interesse nazionale suona obsoleto e ridicolo.
Nell’Antichità lo zelo perseguito per servire la propria Patria veniva sempre onorato, oggi invece, non comporta nessun riconoscimento.
Chi rifiuta di essere “patriota” e rimane subordinato ad entità sopranazionali come la UE o la Nato – i cui interessi particolari prevalgono su quelli nazionali – a differenza di chi dimostra di essere sottomesso ad un’ideologia internazionalista e universalista – che gli toglie la disponibilità a servire il popolo che lo ha eletto, rendendolo semplice esecutore – viene osteggiato.
Assoggettamento ed ideologia in genere vanno di pari passo, chi finge di non capire è in mala fede. Lo stesso Trump, probabilmente senza volerlo, quando dichiarò di essere candidato alla presidenza degli USA, al contrario di Hilary Clinton che credeva fosse candidata a quella del mondo, prese un vantaggio decisivo sul risultato del voto finale degli americani.
Le ragioni della perdita di legittimità della classe politica occidentale sta proprio in questo: non più classe dirigente ma pronta a servire principalmente interessi ideologici e sopranazionali, quindi soggetta allo straniero e di conseguenza messa in minoranza.
Perchè meravigliarsi delle difficoltà che devono affrontare gli occidentali quando debbono costituire un governo legittimo? Lo abbiamo visto in Germania, in Belgio e in questo momento in Italia. Perchè sbalordirsi delle conseguenti criticità che vive la democrazia in questi paesi?
Appare sempre più chiaro: tutto ciò è il risultato dei 50 anni di una costruzione europea forzata e la conseguenza della perdita di legittimità dei partiti e della classe politica che hanno perseguito come loro priorità quella di servire interessi sopranazionali.
La trasposizione nel diritto nazionale di norme decise dai burocrati e divenute primarie insieme alla promozione di un’Europa sopranazionale assoggettata ai grandi organismi internazionalisti come ONU , Nato, potrà servire veramente a difendere gli interessi e le esigenze di uno Stato nazione e del suo popolo?
Eugenio Preta