La guerra in Siria è la celebrazione della disinformazione
Condanniamo la strage di Goutha e puntiamo l’indice contro i ribelli islamici che martirizzano la popolazione civile. Condanniamo Assad che, nel tentativo di combattere i ribelli, bombarda indiscriminatamente obiettivi sensibili come ospedali e scuole, facendo il gioco dei terroristi e dei loro alleati, aggiungendo ulteriori sofferenze alla sua stessa popolazione, soprattutto colpendo i bambini, vittime innocenti.
Dal 18 febbraio l’aviazione siriana bombarda Goutha, la grande area periferica che circonda Damasco, controllata dal 2013 dalle truppe “ribelli”, in realtà combattenti islamici arrivati da tutto il medio-oriente. Si tratta di migliaia di chilometri quadrati di un territorio dove le zone urbane si alternano a terreni incolti ed abbandonati. Da questa zona i terroristi islamici bombardano ininterrottamente con i mortai la capitale, con particolare cura nella ricerca degli obiettivi cristiani.
Se l’esercito regolare sta riconquistando il terreno perduto, continuano però a resistere due “enclave” islamiche: una meno estesa a sud, controllata da Daech; ed una più importante ad est, 110 chilometri quadrati popolati da oltre 400.000 siriani. In questa zona, da parecchi mesi l’esercito siriano ha riconquistato decine di villaggi e ora sta cercando di negoziare con le forze islamiche una resa iniziale che consenta poi il ripiegamento dei combattenti verso la località di Idleb, come del resto era già avvenuto alla fine dell’assedio di Aleppo. Ma se l’Esercito dell’Islam, sostenuto dai sauditi, si è dichiarato pronto a negoziare, i suoi due alleati, Fatah al Cham vicino ad Al Qaeda e Faylaq al Rahaman, affiliati ai fratelli musulmani e appoggiati dal Qatar, hanno risposto di non voler cedere le armi.
Questi gruppi stanno utilizzando la stessa tattica operata ad Aleppo: presa in ostaggio di tutta la popolazione civile (con l’esecuzione sommaria di chiunque voglia abbandonare la zona); posizionamento di armi pesanti e mortai proprio negli ospedali e nelle scuole per obbligare l’aviazione a bombardare e poi discreditare il regime; sequestro degli ormai rari convogli umanitari che cercano di raggiungere la zona per portare medicine e aiuti ai civili.
L’impatto mediatico è diventato determinante in questa guerra e viene utilizzato abilmente dai terroristi che stanno ostacolando le operazioni umanitarie internazionali, informazione mai citata nelle notizie della stampa occidentale.
Se i combattenti anti-Assad fossero dei veri patrioti, come li dipinge l’occidente, e non bande di spietati assassini, avrebbero abbandonato la zona ormai perduta e non avrebbero utilizzato i civili come veri e propri scudi umani. Ma in Siria la disinformazione è vincente: i famosi “caschi bianchi”, tanto celebrati in Europa, ritratti quando evacuano morti e feriti, in effetti sono tutti militanti o combattenti islamici. Le scene di guerra, poi, vengono riprese solo da reporter scelti dai terroristi ed autorizzati ad operare nella zona.
Del resto anche il bilancio delle operazioni militari sul terreno proviene dall’Osservatorio siriano dei diritti umani (OSDH), basato a Londra e affiliato ai “fratelli musulmani“ che fornisce, dall’inizio del conflitto, le uniche cifre di morti e di feriti, dati che non permettono alcuna possibilità di verifica.
Ma niente è chiaro in questa guerra, e forse la verità verrà a galla, ma molto più tardi. Per ora le alleanze dubbie e strane abbondano. Se i terroristi non avessero ricevuto armi e aiuti dai loro sponsor occidentali, la guerra sarebbe stata molto breve e molti civili sarebbero sfuggiti alle sofferenze e ai lutti, inevitabili quando si combatte nelle zone urbane.
I terroristi sono al centro del problema ma possono operare solo se qualcuno li sostiene (i comandanti di Al Nusra hanno confermato l’informazione per cui gli Stati Uniti armano le organizzazioni terroristiche in Siria). Se fossero effettivamente privati del sostegno occidentale sarebbero costretti a cedere. Ma l’occidente cerca di proteggerli e sposta la colpa delle atrocità su Assad, sulla Russia ed i suoi alleati.
E intanto i terroristi islamici continuano a combattere.
Lo scorsa settimana, il 24 febbraio, grazie alla Russia che ha chiesto una riunione urgente, il consiglio di sicurezza dell’ONU ha votato una risoluzione che dovrebbe permettere di soccorrere la popolazione civile prigioniera nell’enclave di Goutha.
Una piccola sosta di una guerra che potrà finire solo dopo il rinsavimento dell’occidente, di Assad e la sconfitta del terrorismo islamico.
Eugenio Preta