Accordo nucleare con l’Iran
Il ritiro Usa dal Joint Comprehensive Plan of Action fa ripartire la dottrina delle primavere arabe.
La dottrina americana delle primavere arabe ritrova nuova linfa nelle manifeste intenzioni di Donald Trump di voler annullare l’accordo raggiunto in materia nucleare fra Iran, Stati Uniti, Europa, Cina e Russia. La scorsa settimana, infatti, l’eclettico presidente sembrava avesse rinunciato definitivamente all’accordo, tranne poi fare marcia indietro e sospendere la decisione per quattro mesi in attesa di… non si sa cosa.
Il Joint Comprehensive Plan of Action, era stato siglato il 14 luglio del 2015 a Vienna; sottoscritto da Teheran e dai Paesi del cosiddetto P5+1 ovvero i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con potere di veto: Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina più Germania. Interpretato da molti come un’opportunità storica di riavvicinamento tra la Repubblica Islamica e gli Stati Uniti, l’accordo sul nucleare iraniano è un documento formato da 100 pagine e 5 allegati. Il punto principale dell’intesa è la rimozione delle sanzioni internazionali imposte all’Iran. L’accordo prevede che le sanzioni vengano “eliminate e non solo sospese” in cambio di una serie di restrizioni al programma nucleare iraniano, verificate dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) nel rispetto degli accordi sottoscritti da Teheran a Vienna.
Uno dei punti chiave dell’elezione di Trump alla presidenza Usa era stato quello di voler difendere gli interessi americani, ma così facendo Trump difende veramente questi interessi americani? Sembrerebbe proprio di no perché, per il momento, i soli interessi che vuole salvaguardare sono quelli di Riyad e di Israele, entrambi molti preoccupati, a vario titolo dell’aumento dell’influenza di Teheran nello scacchiere geopolitico medio-orientale.
La posizione dei sauditi sembra certo più comprensibile, anche se in definitiva non è la sua integrità territoriale che viene messa in pericolo, ma solo la sua leadership regionale. Quella di Tel Aviv invece lo è di meno. Nonostante gli artifizi oratori di Netanyahu, nessuno dei responsabili dello Shin Bet, del Mossad o dello stato maggiore crede veramente che se un giorno l’Iran dovesse effettivamente detenere l’arma nucleare si rivolgerebbe contro Israele: sarebbe un’operazione suicida che cancellerebbe il paese in un solo minuto dalla faccia della terra.
Le primavere arabe inventate dagli americani – lo abbiamo verificato in Tunisia, Egitto, Libia, Iraq ed Afghanistan (fortunatamente evitato a Damasco) – insistono nel loro errore e si ostinano a ritenere che l’Iran sia il principale fattore destabilizzante del Medioriente che offre il maggiore sostegno al terrorismo mondiale, ribadendo le convinzioni radicate nella società americana, repubblicana, democratica o neoconservatrice che sia, avallata recentemente dall’amministrazione Obama
Il “messianismo” è un sentimento profondamente radicato nella psiche americana e, quando non si ammanta di follia, potrebbe servire a mantenere il buon senso ed impedire una visione del mondo altamente allucinogena. Infatti, se c’é uno Stato che da diversi decenni destabilizza il Medio-Oriente, è proprio l’America, basta ricordare le due guerre in Iraq dal 1990, scatenate peraltro in seguito alle informazioni costruite ad arte per giustificarne l’attacco. Per quanto riguarda il sostegno al terrorismo, ci permettiamo di ricordare che furono proprio gli americani a favorire sin dalla guerra in Afghanistan del ’79, la nebulosa islamista, da Al Qaeda a Daech, passando dal Fronte al Nusra.
E’ un vecchio trucco semantico quello di accusare gli avversari delle proprie scelleratezze, ma l’unico coinvolgimento iraniano nel terrorismo è stato quello di combatterlo con i nuovi alleati siriani, russi e libanesi fino ad arrivare alla liberazione del territorio siriano. Ora in risposta alla pretesa salvaguardia degli interessi americani, Trump, vuol sospendere l’accordo con l’Iran, in effetti danneggiando piuttosto quelli delle mille imprese americane che stanno cercando finalmente di penetrare il mercato iraniano.
Siamo convinti che Trump stia mettendo in atto tutte le misure che si era riproposto in campagna elettorale che gli avevano determinato il consenso, ma la diplomazia – se effettivamente vuole avere parte determinante nella risoluzione delle numerose crisi mondiali – ha bisogno di misura e conoscenza approfondita delle criticità esistenti, non di dichiarazioni altisonanti solo “pour épater le bourgeois”, (meravigliare i borghesi… suoi amici).
Infine, a proposito delle dichiarazioni del presidente Usa sulle “Shit countries” ci piace ricordare solo qualche frase, del “Caos e la Notte” uno scritto di Henry de Montherlant del 1963, su un anarchico – Don Chisciotte dei tempi moderni – che accusa “la sola nazione che riesce ad abbassare l’intelligenza, la moralità e la qualità umana su tutta la superficie del mondo: gli Stati Uniti d’America”.
Eugenio Preta