Grani antichi siciliani sotto scacco: Mario Di Mauro di TerraeLiberAzione si rivolge all’Antitrust
Il battagliero presidente di TerraeLiberazione, Mario Di Mauro, cofondatore del movimento contadino Simenza si è rivolto all’Antitrust (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), sollecitando l’avvio di “una indagine conoscitiva a fronte di un ‘evidente impedimento alla concorrenza sui mercati”. I nostri dubbi non sono campati in aria: la società veronese chiede il pagamento di royalties per l’utilizzo delle suddette storiche denominazioni dei grani antichi della Sicilia.
Il ‘caso’ Tumminìa o Timilia – il nome di una nota varietà di grano duro antico della Sicilia registrata come marchio assieme ad altre varietà di grani antichi dell’Isola – continua a far discutere. Le ultime notizie arrivano da Mario Di Mauro, presidente dell’Istituto Mediterraneo per la Democrazia Diretta TerraeLiberAzione e cofondatore del movimento contadino Simenza – che ha presentato all’Antitrust (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) la richiesta di avvio di “una indagine conoscitiva a fronte di un ‘evidente impedimento alla concorrenza sui mercati” (art. 12, c. 2 della legge n. 287/1990) determinato peraltro dall’utilizzo privatistico ed esclusivista delle storiche denominazioni degli ‘ANTICHI GRANI SICILIANI’ (Timilia, Maiorca, Russello…) e della stessa definizione generale di ‘ANTICHI GRANI SICILIANI’, tutti ‘marchi registrati’ – fin dal 2013 – da parte della società ‘Terre e Tradizioni’, srl con sede legale in Via IV Novembre, 24 – 37126 Verona (VR), Italia”.
Si parte dalla “lettera ingiuntiva inviata dalla suddetta società veronese ‘Terre e Tradizioni – nel maggio 2017 – a una moltitudine di agricoltori siciliani, nella quale viene rivendicato anche il pagamento di royalties per l’utilizzo delle suddette storiche denominazioni”.
“La stessa srl veronese – leggiamo sempre nella richiesta di mario Di Mauro – ‘Terre e Tradizioni’ dichiara, correttamente, sul suo sito commerciale, che, ad esempio: ‘La Timilìa è una varietà di grano duro in via di estinzione, tipica del centro della Sicilia. Rappresenta la biodiversità Siculo-Mediterranea ed è il frutto di selezioni naturali millenarie’. Lo dicono anche loro! Il movimento siciliano TerraeLiberAzione -di cui lo scrivente Istituto è organo – è impegnato dal 1984 nella difesa e valorizzazione della biodiversità siciliana, è radicato nei territori e sente il dovere di raccogliere e sintetizzare civilmente lo smarrimento e l’indignazione di migliaia di Siciliani, in forma primaria di ‘segnalazione’, sottoponendo la questione al vaglio della A.G.C.M. – l’Antitrust – e sollecitando l’avvio di una URGENTE indagine conoscitiva a fronte di un più che ipotizzabile evidente impedimento alla concorrenza sui mercati” (art. 12, c. 2 della legge n. 287/1990)”.
“Ci teniamo infine a chiarire – prosegue Di Mauro – che non v’è alcuna ‘Guerra Sicilia-Veneto’, come perfino deputati in ‘delirio elettoralistico’ sostengono: c’è un problema, determinato dall’arretratezza culturale e strutturale ‘interna’ e da un ‘sistema ostile’ globale, che – nella nostra Analisi – caratterizzano in termini neocoloniali la Realtà siciliana. A prescindere, è un Dovere del nostro ‘Cammino organizzato nella CoScienza’ chiarire i Problemi e proporre Soluzioni razionali. Punto. Siamo fiduciosi che l’A.G.C.M. prenderà in urgente considerazione la presente segnalazione”.
Intanto Giuseppe Li Rosi, protagonista di Simenza (in questo articolo potete leggere approfondire il lavoro fatto in questi anni da Li Rosi) interviene sulla vicenda con un post su facebook per spiegare come stanno le cose.
“Cari amici e conoscenti di Facebook – scrive Li Rosi – non pensavo di utilizzare questo social per difendermi da alcuni attacchi subdoli verso la mia persona fatti da poveri inetti che pensano di elevarsi a paladini di Sicilia. Ma le continue segnalazioni fattemi da amici, che stanno difendendo la mia persona, circa alcune insinuazioni fatte su Facebook sulla mia attività, mi spingono a fare alcune precisazioni circa la questione delle diffide fatte da Terre e Tradizioni alle aziende che utilizzano le denominazioni varietali Timilia, Maiorca e Strazzavisazzi”.
“Le registrazioni dei marchi – prosegue Li Rosi – furono fatte dalla società TeT nel 2013 mentre io ero il presidente della stessa. Ma su quella decisione i miei soci mi trovarono CONTRARIO. La registrazione fu fatta comunque perché in democrazia vince la maggioranza. Nel 2014, poi, consegnai una dichiarazione a Rete Semi Rurali dove dichiaravo che da parte di TeT nessuna pretesa e nessuna richiesta di diritti o royalties è stata, né sarà fatta a coloro che utilizzeranno le denominazioni varietali”.
“Nel 2015 rassegnai – prosegue il post – le mie dimissioni da TeT per ‘dissapori insorti in merito agli indirizzi di gestione della società e, da ultimo, la paventata volontà di spostare la sede legale al di fuori del territorio siciliano, decisione contraria alle origini ed agli scopi sin qui perseguiti dalla nostra società’. Nel luglio 2017 recedo definitivamente da TeT. Le diffide, quindi, non sono partite dalla mia persona e non vengono e mai verranno da me condivise. Devo dare atto, però, che l’attività di Terre e Tradizioni ha portato alla ribalta Nazionale il patrimonio dei ‘Grani Antichi’ siciliani. Ed oggi molti godono di questo. Perfino i miei detrattori”.
“Devo anche segnalare – prosegue Li Rosi – la campagna mediatica sui social gestita da alcuni ‘galantuomini’, che hanno accusato la mia persona di essere coinvolta in queste diffide: essa è strumentale ad interessi suoi personali e ad alcuni suoi colleghi associati. Infine, segnalo anche il comportamento incomprensibile di chi ha iniziato a calunniarmi sul fatto che egli, avendo chiesto, addirittura, aiuto alla mia persona tramite terzi e dopo aver avuto informazioni importanti per poter procedere ad una bozza di difesa, sfruttò il fatto per insinuare ‘depistaggi’. Questo è un atteggiamento da ‘siculicani’ e la Sicilia non ha bisogno sicuramente di questo tipo di azioni che dividono le persone in più fronti, si crea solo confusione togliendo energie alla difesa del patrimonio nostro”.
“La questione Veneto-Sicilia – prosegue il post – è la solita barzelletta di coloro che non hanno argomenti per valorizzare la propria esistenza in un’Isola complessa come la Sicilia. Esiste, invece, e purtroppo, una richiesta di diritti da parte di una società non siciliana su denominazioni che appartengono alla nostra storia. Le denominazioni delle varietà siciliane verranno difese strenuamente e su tutti i fronti da me e dall’Associazione Simenza che in questo momento rappresento. Verranno difese nei modi e nelle sedi opportune senza creare polveroni populisti su social e su quotidiani”.
“Questi atteggiamenti possono solo creare divisioni e farci rischiare di perdere diritti millenari. E non pensavo che dovevo difenderli iniziando dalla stupidità di alcuni… Scrivere sui social, in risposte nido e bloccando le visualizzazioni e il più becero tra i sistemi di comunicazione.
Ad Maiora Sicilia!
Ai sensi dell’art. 13 del Codice della proprietà industriale, non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni privi di carattere distintivo. Nel caso di specie, la parola “timilia” è parola di uso comune nel linguaggio corrente, come nel linguaggio commerciale, ciò perché designa la specie di un grano antico siciliano. Quindi, “timilia”, comunque accentato o variato in relazione ai differenti dialetti siciliani, non assume alcun carattere distintivo di un prodotto commerciale, trattandosi di specie botanica del grano duro, secondo la tassonomia agricola.
Per il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di imprese, la registrazione di una parola di uso comune costituisce non solo la violazione della leale concorrenza, ma rende “suscettibili di appropriazione anche termini o simboli facenti parte della storia della lingua e della vita quotidiana e non risultato di ricerca di mercato, di studio o di un’originale intuizione commerciale”.
Giulio Ambrosetti
Fonte: www.inuovivespri.it