Cina, multinazionali e paesi emergenti i vincitori del libero scambio
Il mese di gennaio costituisce , ormai abitualmente, il momento in cui i ricchi , i potenti del mondo e i titolati capi di governo dei vari Stati si incontrano in un villaggio delle montagne svizzere per discutere i temi caldi dell’attualità e per rimettere il mondo sui binari della democrazia.
A Davos si riunisce il world economic Forum (WEF) sin dal 1970 quando, su iniziativa di un accademico elvetico, Klaus Schwab, si è avviata la consuetudine di questo appuntamento dei potenti della terra: piu’ di 3000 partecipanti , la metà dei quali è costituita da amministratori o presidenti delle maggiori multinazionali mondiali e dai rappresentanti politici piu’ importanti degli Stati. Ma a differenza del misterioso gruppo Bilderberg, attorno a Davos non si avverte alcuna atmosfera di complotto. Si viene a Davos solo per scambiarsi punti di vista sulla congiuntura internazionale in un’ipocrisia strettamente d’obbligo.
Si discute di economia in molteplici riunioni senza l’obbligo di rendere esecutive le conclusioni ed il Forum lascia anche spazio a tante occasioni mondane di incontro , cene e celebrazioni, offerte dalle multinazionali che pagano annualmente importanti cifre d’ iscrizione per trovare la loro consacrazione ufficiale nel mondo dei potenti ed poi attirare nuovi clienti.
Un palcoscenico quindi dove sfila il Gotha del capitalismo mondiale, e il globalismo mondializzante ne è il dogma condiviso. Non essere a Davos è imperdonabile per tutti gli astri nascenti della politica , dell’economia e della finanza, ma anche dei media che, per un attimo, si crogiolano anche nel politicamente scorretto, nei temi del libero scambio, del mercato aperto,della mondializzazione, di moneta e finanza ma anche nei paradossi che ci indicano che i tempi sono effettivamente cambiati .
In fondo tutti sono d’accordo quasi su tutto: i benefici dell’euro, del libero scambio, della mondializzazione e dei migranti , mentre Russia , populismo ed euroscetticismo in generale e oggi , fino al prossimo gennaio pero, ci possiamo aggiungere pure Trump, sono il pericolo individuato per la nostra democrazia e la nostra civilizzazione.
Anche l’argomento Cina crea base di discussione; ognuno ha una sua teoria , ma nessuno sembra capire veramente cosa succede.
Chi avrebbe potuto mai immaginare infatti che un giorno, un presidente comunista avrebbe inneggiato al capitalismo e sarebbe restato il solo a difendere le multinazionali, il libero scambio mondialista e l’economia di mercato al mondo, rinnegando anni di statalismo?
Estremo difensore dei soli interessi economici cinesi, Lui Xi Jinping il presidente della repubblica popolare cinese, a controsenso se vogliamo, considerata la sua radice comunista, si è scagliato contro chi cerca di arrestare gli scambi di capitali, di tecnologia e di prodotti , accusandolo di essere contro la Storia. E questo appare paradossale se osserviamo come nessun paese appaia oggi piu’ protezionista della stessa Cina nel difendere le sue imprese e il suo mercato interno, un protezionismo che anche i nuovi paesi industrializzati d’Asia perseguono come regola. Un protezionismo pero’ che, secondo diversi studi economici pubblicati ad esempio dall’università di Harvard , al pari del libero scambio, puo’ determinare una forte crescita economica. In barba al discorso dominante del giornalismo economico che proclama da oltre venti anni che il protezionismo è il male assoluto , i lavori scientifici pii’ recenti dimostrano il contrario, sottolineando una preoccupante discordanza tra il discorso mediatico economico e le tesi scientifiche.
A Davos, in questa fine gennaio la Cina ha trionfato: supportata dai paesi emergenti, ha difeso il mondialismo capitalista, tecnologico e mercantile, un affare che dura ormai da piu’ di 40 anni e si è prefissata di farlo continuare; alla fine , con le multinazionali e i paesi emergenti, ne è uscita la sola vincitrice, lasciando gli europei , inclusi i tedeschi, crisi e disoccupazione , da dividere insieme agli americani.
Eugenio Preta