Cari investitori indiani, ci spiace ma siamo colonizzati

Lettera aperta al Dott. Mahesh Panchavaktra, imprenditore che vuole realizzare un hub aeroportuale nella Valle del Mela
Sicilia, 07 gennaio 2017

Gentile Dott. Panchavaktra, lei è venuto sin dal suo lontano paese per sponsorizzare il suo progetto imprenditoriale, ma prima di partire, anzi appena si è fatto venire in mente l’idea di un hub transcontinentale in Sicilia, e in particolare nel messinese, avrebbe dovuto studiare un po’ di storia della Sicilia (non però dai libri italiani).

I due nostri paesi – il suo, l’India, e il mio, la Sicilia – hanno vissuto delle vicende per certi versi similari. Entrambi hanno una storia e una cultura plurimillenaria, ma negli ultimi secoli hanno subito la colonizzazione straniera: voi quella inglese, e noi – dopo una breve parentesi borbonica che però ha cancellato giuridicamente il nostro Stato – quella politico-economico-culturale italiana (in realtà non esiste una nazione italiana; mi sto riferendo, dunque, alla parte settentrionale dell’attuale Stato italiano).

Entrambi abbiamo lottato per liberarci da chi ci succhiava il sangue dalle vene, e lo abbiamo fatto anche nello stesso periodo, cioè durante la seconda guerra mondiale. Qui, però, le somiglianze storiche dei nostri due paesi terminano. Mentre voi siete riusciti ad ottenere l’indipendenza nel 1947, a noi, invece, è mancato il guizzo finale, riuscendo ad ottenere, nel 1946, solamente uno statuto di autonomia, concesso per giunta in malafede proprio per stroncare le spinte indipendentistiche che agitavano all’epoca, come tante altre volte in passato, l’intera Sicilia. Uno statuto nato con quelle premesse non poteva avere fortuna, e difatti si è rivelato deleterio per noi.

Se avesse studiato la storia si sarebbe risparmiato tempo e denaro perché avrebbe capito da sé che non è permesso investire in una colonia. Ma anche senza studiare, qualche dubbio che qualcosa non andava se lo sarebbe dovuto porre. Noi siamo la più grande isola del Mediterraneo – luogo di scambi per antonomasia – e siamo posti al suo centro geografico. Non le suona strano il fatto che fino ad oggi nessuno abbia realizzato quello che a lei è venuto in mente?

Anche i cinesi avevano avuto un’idea simile alla sua da realizzare però in provincia di Enna, ma in quel caso, a bloccare tutto, oltre ai nostri colonizzatori italiani, si sono aggiunti anche quelli statunitensi per questioni geopolitiche internazionali.

Se fossimo stati uno Stato indipendente, gentile Dott. Panchavaktra, l’hub transcontinentale ce lo saremmo costruiti da soli, tanti anni fa, e non solo per gli scambi con l’Oriente. E lo avremmo fatto pure con soldi pubblici perché le grandi infrastrutture, specie di questo tipo, sono strategiche per uno Stato. Invece, essendo la Sicilia una colonia dello Stato italiano (cioè del nord), deve sperare in un privato e anche straniero. Sia ben inteso, è il benvenuto chiunque possa e voglia aiutare questa nostra martoriata terra.

Mentre il presidente dell’Enac, Vito Riggio (anagraficamente siciliano ma che fa gli interessi italiani, un po’ come quegli indiani che lavoravano per gli inglesi), per la seconda volta, con fare stizzito, si è affrettato a bocciare il suo progetto – sostenendo che la Sicilia non ha bisogno di un altro aeroporto in quanto le nostre esigenze sono più che soddisfatte da quelli esistenti (affermazione che avrebbe fatto perdere la calma anche al suo illustre connazionale Gandhi), e che il territorio non sarebbe in grado di sostenerlo – i nostri colonizzatori, l’hub, con i soldi pubblici (e quindi anche quelli dei colonizzati siciliani), se lo sono fatti a Malpensa, in Lombardia. Hanno speso – e continuano a farlo – un sacco di soldi per fare un’opera che già in fase di concepimento si riteneva inutile e senza una logica economica, e infatti è attanagliata da continui problemi di sostenibilità finanziaria.

Nell’area dove lei, gentile Dott. Panchavaktra, vuole realizzare la sua infrastruttura, avrà sicuramente notato la presenza di una raffineria. Ecco, quello è uno dei tanti simboli della colonizzazione italiana in Sicilia, che va ad aggiungersi a ferrovie ad un solo binario e spesso non elettrificate, a strade di epoca ottocentesca e forse pure più antiche, autostrade pericolosissime, etc. etc.

Quella raffineria, così come le altre presenti in Sicilia, sono state realizzate dai nostri colonizzatori per poter usufruire di greggio gratuitamente. Per realizzare quella di Milazzo, con la scusa del progresso e dei posti di lavoro (qualche centinaio e spesso offerti a non siciliani), è stata distrutta l’agricoltura praticata nella piana milazzese e che esportava grandi quantità di ortaggi (e quella sì che creava economia locale!). Come se non bastasse quell’impianto ha creato non pochi problemi di salute agli abitanti della zona. Ma la cosa bella sa qual è? È che essa è stata realizzata preferendola alla costruzione di un aeroporto.

Credo di essermi dilungato troppo. Per concludere, gentile Dott. Panchavaktra, ci spiace ma siamo colonizzati e dunque costretti a declinare la sua offerta. Dovremmo dispiacerci maggiormente però per la nostra condizione, e quella in cui costringiamo i nostri figli, indotti, nella “migliore” delle ipotesi, ad emigrare. Le posso garantire, però, che non è solo colpa nostra. Ci si può ribellare ad una colonizzazione politica, ad una colonizzazione economica – e lo abbiamo fatto tanto volte nella nostra storia – ma di fronte ad una colonizzazione che è anche culturale non vi sono molte possibilità di salvezza.

Questo è quanto mi sentivo di dirle.

Con rispetto.
Voluntas Siculorum
(blog che diffonde il punto di vista siciliano)

Fonte: https://voluntassiculorum.wordpress.com/