Le primarie presidenziali in Francia
Le primarie della destra e del centro, che si sono svolte in Francia per scegliere il candidato di area per le prossime presidenziali del maggio 2017, hanno dato un primo ineluttabile responso: hanno messo fine alla carriera politica di Nicolas Sarkozy.
Domenica prossima, al secondo turno, gli elettori di parte avranno da scegliere tra i due ex-primi ministri: il più datato, Alain Juppé (28,3%) o il più recente, François Fillon, giunto in testa con il 44% dei voti.
Ma, anche questa volta, media e sondaggi hanno ancora fatto cilecca: i sondaggisti, perchè dopo le previsioni sbagliate relativamente al voto Brexit e a quello per le elezioni americane, sembravano non aver tenuto in considerazione la rimonta che stava registrando l’ex primo ministro di Sarkozy nelle intenzioni di voto; i media, perché dimostravano di aver già fatto la loro scelta schierandosi, come spettatori e pure attori, a fianco di Juppé. A questo punto, non rimane che trovare le ragioni del successo di François Fillon che, al momento, ha la strada spianata verso l’Eliseo.
La rimonta di Fillon ha del prodigioso, tanto da far nascere forte il dubbio che anche tanti elettori socialisti abbiano partecipato a queste primarie del campo avverso, con il solo intento di stroncare Sarkozy, indebolendo ogni tentativo di presentare un candidato di destra abbastanza forte e credibile. Resta così il sospetto che questa loro manovra possa essere riuscita perfettamente, se è vero che Juppé e Sarkozy vengono liquidati a favore di Fillon.
Eppure Fillon ha beneficiato innanzitutto degli errori e della debolezza degli altri concorrenti. Alain Juppé, che con la sua apertura a sinistra e al centro, si vedeva proiettato già al secondo turno delle presidenziali, non ha tenuto in considerazione di dover fare i conti con un invitato di pietra come l’elettorato della destra tradizionale; Nicolas Sarkozy, indirizzandosi soltanto a due gruppi ben identificabili, come i militanti del partito Les Republicains ed il popolo che non sarebbe andato a votare alle primarie, non aveva avuto neanche il minimo dubbio che questi astensionisti avessero già trovato un candidato più valido e più populista di lui nella persona di Marine Le Pen.
Fillon ha attirato a sé i segmenti di quella destra “indispensabile” dimenticata dai suoi avversari: il mondo dell’industria e quello degli affari, sedotti dal programma marcatamente liberale, e il variegato universo della destra cattolica e conservatrice che l’ha giudicato più credibile degli altri due, relativamente ai problemi societari, come la legge Toubira sulla regolamentazione dei matrimoni omosessuali, ad esempio.
Ma in fin dei conti, è stata la personalità e il percorso politico di Fillon che hanno giocato a suo favore, rassicurando gli elettori tradizionali di destra. Questa Francia cerca il candidato più adatto a mettere fine all’ideologia dominante di sinistra e alle sconfitte della destra. Scegliendo il candidato Fillon, questa Francia di centro-destra, ha sottolineato di voler rimettere la sua bandiera sotto le insegne del liberalismo in economia, e del conservatorismo relativamente ai problemi di società.
Ma è questa la vera destra che andrà al voto la prossima primavera? O non sarà piuttosto quella che pretende attenzione alle sue aspirazioni sociali, che chiede il rispetto della sua identità nazionale, che domanda più sicurezza e meno multiculturalismo, meno mercato e più centralismo statale, più popolo e meno politici?
Saprà il candidato delle destra ultra-liberale e cattolica-conservatrice, prestare attenzione a quel popolo “non iscritto” che non ha partecipato alle primarie, ma che avrà una ruolo determinante al momento del voto ufficiale?
La sinistra che oggi plaude a Fillon perché lo giudica un candidato più abbordabile rispetto a chi, nel campo di sinistra, dovrà sostituire Hollande, sbaglia i suoi conti, perché promuovere un programma economico impregnato ancora di forti segnali liberisti sul modello della Tatcher non può trovare un consenso generale né contribuire a renderlo, agli elettori di destra, alternativo a quello di Marine Le Pen, considerando altresì che contribuisce a identificarlo come il candidato del rinnovamento, soprattutto nel momento in cui sale forte la domanda dei cittadini che in Francia, come su scala mondiale, auspicano il ritorno di uno stato protettore, autoritario piuttosto che imbelle, il bisogno di frontiere e di sicurezza, piuttosto che di mercato e di libero scambio.
Il fantasma di Marine Le Pen comunque aleggia sulla scena politica francese nonostante l’ostracismo dei media e la pervicace ostinazione a ritenerla al di fuori dall’arco costituzionale (come si diceva ancora del MSI-DN di Giorgio Almirante negli anni 70), e l’altra sera, Marine Le Pen è apparsa a tutti come l’invitato di pietra: assente dagli schermi, ma onnipresente nei dibattiti e nelle discussioni.
Eugenio Preta