Lo spauracchio della 3° guerra mondiale
Un giornale dell’intellighenzia “progressista” parigina, ha riportato, alla fine dell’estate, un articolo che descriveva uno scenario catastrofico preannunciando, tra virgolette, l’eventualità di una III guerra mondiale.
L’autore, riferendo le gravi tensioni esistenti in Medio Oriente tra Arabia Saudita e Iran, insieme all’intervento militare russo in Siria, affermava che questi sarebbero i prodromi della futura distruzione, paragonandoli all’attentato di Sarajevo del giugno del ’14, episodio che determinò la 1ª Guerra Mondiale.
Non sembra che oggi esistano motivi sufficienti per affermare che si stia avvicinando la distruzione e che l’umanità si trovi alla vigilia di una guerra, e sembra veramente azzardato ogni possibile parallelismo tra gli avvenimenti contemporanei e la Storia passata, proprio perché la questione dei ribelli siriani di fronte ad Assad o le distruzioni commesse dallo Sato islamico, non possono essere paragonati alle cause che hanno scatenato il primo conflitto mondiale. Restano effetti collaterali, così come era avvenuto per le scaramucce austro-serbe del ’14. Nella eziologia di quel conflitto hanno rappresentato sicuramente due eventi minori, periferici rispetto alle vere cause della guerra.
In realtà oggi stiamo assistendo ad una doppia deflagrazione nel cuore stesso del mondo musulmano: il confronto tra sunniti e sciiti, già vecchio nel tempo, che però, non deve servire a nascondere motivazioni geopolitiche ben più complesse. Basta osservare una mappa della regione per accorgersi che i due antagonisti hanno forti opposizioni strategiche ed economiche interne e che, se l’Arabia saudita si trincerasse nel quadrato del suo medioevo islamico, senza petrolio, sarebbe veramente poca cosa nei confronti dell’Iran che, a dispetto della rivoluzione del ‘79, sembra riprendere la leadership economica e diplomatica della regione. Che conseguenze si preparano per noi occidentali da questo braccio di ferro? Che interesse potremmo avere a partecipare al confronto?
La conflagrazione in Iraq e Siria, con l’emergenza di uno stato islamico, condannato a trasformarsi in un secondo regime saudita, è direttamente pilotata contro il mondo cristiano-occidentale. È la lotta dell’Islam agli infedeli il tema a cui dobbiamo prestare attenzione, e questo non per quel che stanno facendo i musulmani, ma per quello che rappresentano.
Il confronto prende una dimensione escatologica: agli occhi dei nostri nemici, infatti, è una guerra di religione per affermare il regno islamico su tutto il pianeta.
Il dramma dell’occidente è quello di non aver compreso la dimensione spirituale del conflitto e di continuare a credere che tra Assad e i ribelli democratici, tra i quali non si vogliono contare i pazzi furiosi di Daesh, tutto debba considerarsi soltanto un conflitto locale, e perciò rimane alla finestra.
L’occidente de-cristianizzato non comprende che si trova di fronte ad una vera guerra religiosa: quella dei seguaci di Allah contro gli “infedeli”, che siamo noi. Paradossalmente lo Stato Islamico ha, contemporaneamente, torto e ragione. L’occidente infatti non è più cristiano e nello steso tempo si dimostra infedele: alle sue radici, alla sua storia alla sua cultura, alla sua fede.
Un mondo che vive solo nel culto del consumismo si presenta disarmato di fronte a tale minaccia. Putin, invece, alla testa di una Nazione che non ha rinnegato le sue radici, l’ha capito ed ha impegnato il suo Paese in questa guerra dimostrando di avere la capacità politica necessaria per affrontare la sfida.
Il presidente russo conosce bene l’islam, possiede una notevole potenza economica e militare, ha consapevolezza della sua storia e sa molto bene da dove proviene l’Europa, al contrario di Obama, di Merkel e di Hollande che ragionano solo come ideologi della vuota democrazia.
La guerra in atto è quella dell’islam contro tutto l’occidente. Una guerra che potremo combattere e vincere solo se ritorneremo ad essere cristiani.
Eugenio Preta