Durante la campagna elettorale che poi gli ha fruttato la seconda nomina come Primo Ministro, Cameron aveva promesso, dietro la pressione dell’ala conservatrice più intransigente del suo partito e degli euroscettici dell’Ukip di Farage, di organizzare un referendum sull’Europa.
Fedele alla promessa, pero’ senza entusiasmi, Cameron ha annunciato a Bruxelles che i cittadini della Gran Bretagna saranno chiamati a manifestare con un referendum la oro volontà di restare o uscire dall’unione europea.
La Gran Bretagna sembra essere ancora rimasta alla “nebbia sulla Manica,… il Continente è isolato”, la celebre apertura di radio Londra; non ha mai condiviso le scelte correnti e le caratteristiche di questa Unione, è rimasta pervicacemente fuori dalla zona euro e dallo spazio Schengen, ha sempre tenuto un ruolo a parte nella costruzione europea ed oggi minaccia di andarsene.
Eppure a ben rifletterci , nessuno gaudagna da un’eventuale abbandono britannico. Tutti ne usciremmo malconci: i britannici innanzitutto perché si troverebbero economicamente isolati, il resto dell’Europa perché ne risulterebbe molto fragilizzato
Abbandonando infatti l’Unione europea, in che modo Londra potrebbe pretendere di rimanerne la capitale finanziaria dell’Unione? E poi, sarebbe perlomeno incoerente vedere la seconda potenza economica europea abbandonare l’Unione proprio mentre si disegnano i nuovi allargamenti “balcanici” e viene rilanciato lo stesso processo di adesione della Turchia..
Si apre un dilemma. I super ministri europei, questo sono ormai i commissari dell’esecutivo di Bruxelles, che oggi ci spingono a scelte irreversibili, hanno effettivamente legittimità democratica? Possono decidere a loro giudizio esclusivo le politiche che poi avranno incidenze importanti nelle legislazioni interne dei Paesi membri? Non sarebbe più’ opportuno tenere un profilo più basso e questo per non riaprire la questione irrisolta della valenza delle funzioni a cui invece sono delegati e di cui portano responsabilità?
Immaginiamo un’inversione di rotta , immaginiamo un’attenzione più consapevole alla natura intrinseca del nostro stare insieme, oggi tanto problematico,in una casa comune; immaginiamoci la creazione di un commissario ad hoc che presieda alla civiltà europea per garantire la vocazione umanitaria dell’Unione ed assicurare i suoi popoli che gli Stati membri applichino un’accoglienza che non metta in pericolo le convergenze raggiunte nel continente, che prescrivano di praticare l’assimilazione piuttosto che il multiculturalismo e che le loro politiche culturali e di educazione facciano rivivere le storie nazionali piuttosto che svilirne i racconti.
Perché prefigurare la dimensione europea piuttosto che quella nazionale? Perché nessun popolo europeo dovrebbe accettare che il suo vicino acconsenta la formazione di settori d’origine extra europea, ostili potenzialmente al nostro continente. Come reagiremmo di fronte ad un nostro vicino che costruisse centrali nucleari approssimative e senza sicurezza?
Di fronte ad un dato contesto multiculturalista e lassista, una certa emigrazione costituisce lo stesso pericolo. Quando arriverà il momento in cui la maggioranza degli Stati membri avrà capito i pericoli delle migrazioni incontrollate e non avremo più alcuna reticenza a utilizzare la sovranità nazionale per fissare le nostre politiche?
Accettiamo i trasferimenti di sovranità solo se servono a proteggere i popoli europei, quindi ancor più della loro sovranità, la loro stessa esistenza. Nello scontro di civiltà in corso la sovranità nazionale è un’arma come le altre, un arma però più responsabile di quella della cooperazione volontaria tra le nazioni.
I territori europei costituiscono la nostra eredità comune, di fronte ai pericoli esterni essi devono essere difesi collettivamente.
Se infatti la volontà comune fosse quella di salvaguardare l’Europa, allora bisognerebbe approfittare del momento di crisi proprio per riformare il progetto europeo finora perseguito. Un nuovo Trattato ad esempio che comporti meno comunitarismo, meno competenze scippate agli Stati sovrani , un’ Europa dei cittadini finalmente, più vicina alle richieste dei popoli, un’Europa che difenda piuttosto che un’Europa che smobiliti la sua sicurezza , un’Europa politica piuttosto che una burocrazia tecnocratica.
Ma la tendenza dei britannici, ma anche di tanti altri popoli, non sembra favorire una riforma in questo senso, non appare pronta ad un’inversione di rotta a 360°, se consideriamo indicative proprio le tendenze emerse dall’università di Stanford.
Lo scorso aprile infatti, gli studenti di quella università, classificata come seconda migliore università nel mondo e ritenuta comunemente cittadella del marxismo culturale, la moderna ideologia di sinistra chiamata “decostruttivismo”, invitati ad esprimersi sul progetto di creare un corso accademico sull’insegnamento della civilizzazione occidentale hanno rigettato la proposta con un netto 80% dei votanti. Poi i giornali inglesi si sono impegnati a spiegare che quel progetto avrebbe significato voler imporre la supremazia occidentale, il capitalismo, il colonialismo, e tutti i sistemi oppressivi che hanno caratterizzato proprio l’occidente.
A differenza del marxismo economico che tutti conosciamo, il marxismo culturale sfrutta il risentimento delle minoranze. Ciononostante non si riesce a spiegare il risentimento di certa sinistra verso la civilizzazione occidentale se non si tiene conto che questa sinistra combatte le regole, specialmente se sono norme morali, artistiche o culturali, in definitiva quei campi dove l’occidente ha sempre eccelso creando valori universali.
Con le norme amministrative si accetta che qualcuno venga trattato in maniera differente rispetto agli altri. La sinistra non accetta queste norme perché creano le gerarchie e invece del tutti uguali. Rispetto alle norma del mondo della creazione artistica poi, mettere sullo stesso piano, ad esempio, Hieronymus Bosch e l’artista pittore del vostro quartiere dicendo che non è un artista geniale come Bosch, significa esprimere un giudizio normativo discriminante, per cui bisogna abolire la norma e stabilire finalmente che tutti gli artisti sono uguali.
Per le norme morali succede la stessa cosa. E’ vero ad esempio che tutte le civilizzazioni hanno praticato lo schiavismo ma l’occidente, non solo lo ha abolito, ma ha creato norme perché questa pratica potesse venire combattuta nel mondo intero.
Il fatto stesso di fare studiare nelle scuole questi avvenimenti sottintenderebbe un giudizio di superiorità morale della nostra civilizzazione.
Se passiamo poi alla religione, ritroviamo tutto l’accanimento di questa sinistra per il cristianesimo, perché ritenuto base di tutte le regole, le ha modellate e gli ha dato forza ed efficacia di civiltà .
Per questo combattere la cristianità in ogni modo resta una priorità assoluta.
Oggi l’occidente è come un ammalato: colpevolizzato, colonizzato e indebolito. L’impegno principale oggi dovrebbe essere quello di recuperare e trasmettere le norme distintive della nostra civilizzazione come valori assoluti. Così potremmo dire di essere entrati in una nuova era, di essere pronti per un nuovo Rinascimento.
eugenio preta
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