Ue-Cina: “La tentazione dell’Occidente”
Da quando la legislazione comunitaria, oggi dell’Unione Europea, è diventata diritto primario, e le decisioni vengono recepite automaticamente nelle legislazioni nazionali, senza anticamere consultative né filtri parlamentari, le implicazioni di quello che succede nei sancta sanctorum delle istituzioni toccano direttamente la vita e il quotidiano del cittadino.
L’informazione al cittadino, quanto più dettagliata possibile, di tutto quello si decide sulle sue spalle e a nome suo, nell’Assemblea Parlamentare di Strasburgo o nelle aule dell’Esecutivo a Bruxelles, dovrebbe essere fondamentale, e non solo dovere specifico dei media e dei giornali nazionali, ma anche regola ufficiale. Riflettendo bene, possiamo affermare che in relazione all’importante valenza raggiunta dal diritto comunitario, ci sembra alquanto riduttivo proporre notizie sull’Europa solo quando l’attualità scade nel gossip o nella charade, e ignorare completamente il dibattito in corso, riprendendolo poi con cadenza periodica sospetta, solo ogni cinque anni e in diretta concomitanza delle elezioni che rinnovano i rappresentanti, che gli italiani manderanno al Parlamento Europeo per perorare al meglio la causa del Paese.
Solo quelli malauguratamente, perché altre posizioni, ben più importanti dello scacchiere decisionale, ancora oggi, non vengono decise dai cittadini ma passano solamente dalla nomina governativa, che poco ha di democratico, specialmente ora che si disegnano implicazioni a forte impatto nazionale.
Ci sarebbe bisogno di dipanare, in primis, la nube del deficit democratico che pesa sulla burocrazia di Bruxelles e, conseguentemente, allentare i tentacoli della morsa partitica che non dovrebbe più avere senso. In linea con l’impegno pedagogico, ci corre l’obbligo di un paragrafo aggiuntivo, a questo punto, opportuno.
L’attività del Parlamento Europeo si esplica nei lavori delle Commissioni Parlamentari, che si svolgono settimanalmente nelle aule dell’istituzione a Bruxelles. In conclusione dell’iter previsto per un determinato argomento, la relazione – affidata ad un deputato secondo un sistema di punti graduati all’importanza dell’argomento, e alla dotazione di punti in possesso dal gruppo politico di appartenenza – ottenuto il parere favorevole della commissione parlamentare, viene iscritta, per il dibattito e il voto finale, nell’ordine del giorno della Assemblea plenaria che il Parlamento tiene mensilmente a Strasburgo.
Mutuando il titolo scelto dalla “tentazione dell’occidente” di André Malraux, una corrispondenza fittizia del ministro-filosofo di De Gaulle con un immaginario amico cinese, il Parlamento europeo, tra le tante risoluzioni dibattute nella sessione plenaria del mese di maggio, testé conclusa, ha discusso di Cina nella relazione sullo “Status di economia di mercato della Cina”, il Protocollo firmato nel 2001 dai Cinesi e che ha permesso alla Cina di entrare provvisoriamente nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, fino all’esame finale della sua candidatura previsto alla scadenza di un periodo di 15 anni.
Argomento politico rilevante oggi, non solo perché arrivato a scadenza ma perché comporta implicazioni a sfaccettatura multipla per il vecchio continente, complicato dalle preoccupazioni legittime dei produttori e dei consumatori europei, e reso necessario dalle statistiche del 2015 che attestano come gli investimenti cinesi in Europa abbiano superato quelli europei in Cina.
Uno dei tanti argomenti di indubbia rilevanza, nel quotidiano del cittadino europeo, quindi che il Parlamento europeo, con una decisione in linea con la filosofia corrente del: “parlo quindi sono… ma non decido“ e per di più nel momento finale del: “voto e scappo” (com’è tradizione del giovedì che conclude la tornata parlamentare) ha in pratica rimandato a Consiglio e Commissione ogni decisione, senza però dimenticare la lapalissiana ovvietà dell’importanza del partenariato con la Cina, ma servendo a Consiglio e Commissione, bontà loro, l’assist buono per non decidere e trovare una soluzione diplomatica: la Cina non può ancora considerarsi economia di mercato.
Vero è che in questa Unione europea fragile, in preda allo choc delle migrazioni di massa, e indecisa sull’intervento idoneo per combattere il fondamentalismo islamico, aprire un contenzioso in Estremo Oriente, dicendo no alle richieste cinesi, non sarebbe opportuno, pur se ampiamente giustificabile. Del resto, anche un sì comporterebbe conseguenze devastanti per le imprese europee, principalmente quella dell’acciaio, che oggi viene supportata dal meccanismo di sorveglianza deciso dall’esecutivo, nei confronti degli importatori non europei.
Pur se in un momento di profonda crisi, la siderurgia europea, sempre minacciata dalla concorrenza aggressiva di molti paesi emergenti, appare oggi in debole ripresa, verrebbe vanificata però, dall’invasione delle produzioni cinesi, per di più a prezzi stracciati. E non solo il comparto siderurgico verserebbe in sofferenza, ma più in generale, l’intero contesto economico e occupazionale che oggi non ha proprio bisogno di ulteriori crisi specialmente nelle aree più deboli come il nostro mezzogiorno.
Accettare, oggi come oggi – nonostante la palese inosservanza delle regole esistenti e con lo spauracchio di una vera e propria invasione di prodotti finiti, che porterebbe al definitivo collasso dell’intero sistema economico ma anche sociale degli Stati membri – di riconoscere alla Cina lo status di economia di mercato, sarebbe una decisione disastrosa e irresponsabile.
Invece di regalare concessioni alla Cina, bisognerebbe continuare a mantenere alti i livelli attuali sui dazi, e avviare senza indugi, una riforma definitiva degli strumenti in difesa del commercio europeo, che servano a garantire parità di condizioni e di esercizio alle attività industriali della UE, sia con la Cina, sia con altri partners economici esterni.
Eugenio Preta