Le due velocità: due Europe differenti, un’Italia ricca e una povera… e poi la Sicilia
E’ veramente scoraggiante vedere i nostri giovani (certo e fortunatamente ancora non tutti) storditi e abbandonati dallo svolgersi degli avvenimenti, manipolati e indirizzati dal vecchio “moloc” della modernità verso le spire di un consumismo che hanno difficoltà ad agguantare e a seguire, perciò costretti a intraprendere strade alternative, per soddisfare anche bisogni primari, nell’indifferenza più totale di chi dovrebbe indirizzare le loro vite, e solo per questo, assurti ad autorità e responsabilità istituzionali.
L’istituto familiare vacilla sotto i colpi della crisi economica e conseguentemente del sociale, la scuola langue nelle decisioni sempre contraddittorie di nuovi responsabili, il potere spirituale perde sempre più la sua valenza, impegnato in “querelle” temporali, così nuove mode e nuove consuetudini hanno gioco facile ad entrare nel quotidiano nell’indifferenza più totale, nel cinismo della classe dirigente attenta più ai propri interessi, che a quelli della gente, che dovrebbe proteggere e tutelare.
I giovani, smarriti in una società che vive di gossip, TV, campioni delle pedate, Amici e Grande Fratello, senza il necessario viatico della cultura e del sacrificio, con la sola alternativa della partenza, diaspora infinita per noi siciliani, costretti a cercare, anche lontano dagli affetti della famiglia, le possibilità di lavoro abbandonando quell’alveo protettivo necessario. E non tutte le partenze rimangono eroiche e senza un indecoroso ritorno.
Come intervenire per bloccare questa spirale che non lascia alcuno scampo alle nuove generazioni e a quelle che verranno?
Se non riesce ad interessarsene la politica, quindi l’amministrazione pubblica, come farsi carico dei tanti interrogativi che rimangono non solo senza risposte, ma anche solamente senza preventiva percezione?
La risposta che i siciliani potrebbero dare è quella dell’autogestione, del farsi carico in prima persona delle esigenze del territorio senza aspettare improbabili taumaturgi, senza fidarsi soprattutto della classe politica attuale, riprendendosi il potere delle scelte, accollandosi la pedagogia dello Statuto, rifacendosi Stato.
Oggi qui da noi, in questa terra di vento e di mare, la preoccupazione è sempre grande ed in continuo aumento, specialmente quando sentiamo che tanti finanziamenti destinati alle opere pubbliche ed infrastrutturali necessarie allo sviluppo, prendono la via del nord, delle regioni al di là della linea immaginaria del Tevere, quasi a riconfermare il taglio del paese in due entità, nord e sud: da una parte progresso, lavoro, sviluppo, dall’altra indigenza e colpevole abbandono.
Tempo fa, discutendo di Europa, si andava consolidando l’ipotesi delle due velocità. Di creare cioè un nucleo virtuoso di Paesi che proseguisse la via delle riforme e dello sviluppo, con i mezzi che avevano a loro disposizione, lasciando ad un piano inferiore quei Paesi in difetto di reddito e di riforme. Una visione egoistica ed elitaria di questo vecchio continente, mascherata dalla pretesa di una solidarietà solo conseguente che, nelle intenzioni del legislatore, doveva tradursi nello stimolo e nel tentativo di fare da traino ai Paesi meno favoriti.
Poi la palese tracotanza di questo progetto e soprattutto l’arrivo di nuovi Paesi aderenti, certamente non allineati agli standard qualitativi dei primi della classe, hanno fatto ricredere il legislatore che teneva però sempre in cantiere – oggi tradotta nei fatti – questa ipotesi delle due Europe differenti e dallo sviluppo differenziato, segno evidente e inconfutabile del fallimento del progetto che aveva riposto nella solidarietà dei popoli le basi del suo successo.
Anche in Italia ormai assistiamo al Paese delle due velocità, pur se i nostri riferimenti vanno ad una situazione stagnante di crisi e di inefficienza. Come interpretare infatti le riforme strutturali che si stanno attuando sempre e solo al nord, le ferrovie e le autostrade che si stanno potenziando sempre al nord, i progetti che investono il nord del Paese, tralasciando colpevolmente il sud, indifeso e poco tutelato dai suoi rappresentanti eletti e da quelle istituzioni che, si vorrebbero solidali e che quel sud dovrebbero difendere?
E di questo sud di un nord maligno, la Sicilia, in potenza vero stato nazione, ma in atto solo colonia, paga più di ogni altro i capricci del potere centrale che invece di combattere accetta e lusinga.
Sbaglia però chi parla di Sicilia come di una semplice regione, anche se a statuto speciale. Sbaglia chi pensa che questa terra sia domata e sempre prona, sbaglia chi non sa decifrare segni di insofferenza e di rivolta, sbaglia chi continua pervicacemente a trasportare al nord le possibilità di sviluppo, ritenendo erroneamente che la gente siciliana ormai possa accettare indifferentemente, e senza reazione alcuna, le decisioni che la feriscono e peggio assassinano.
Così i finanziamenti ingenti vengono stanziati per il nord del paese, virtuoso e allineato agli standard europei, e tralasciano ogni possibilità di sviluppo alle terre meridionali. Si nota anche nelle piccole decisioni, sulle città metropolitane ad esempio, sull’ubicazione di nuovi poli industriali, sui finanziamenti di grandi opere infrastrutturali, sugli accorpamenti delle autorità portuali, e ancora peggio, sul trasferimento di imprenditorialità siciliana verso il nord, con il miraggio del mantenimento dell’occupazione, in realtà per depredarne le conoscenze e portarle al nord, segni inconfutabili del progressivo abbandono della Sicilia specialmente ad un destino di precarietà e perifericità.
I grandi progetti del nord però, abbiamo visto, naufragano sotto gli imbrogli e le ruberie di una criminalità affaristico-politica nordista che in un Paese civile sarebbe perseguita con carcere e pene esemplari e che invece nel bel Paese viene scalfita, una volta a destra e una volta a sinistra, solo da custodie cautelari e richieste formali di autorizzazione a procedere per poter dismettere quella veste di intoccabilità che l’istituzione concede alla sua casta, vera ed unica responsabile del fallimento del Paese.
I ponti pensili del Mose sulla laguna veneta, i lavori e le infrastrutture dell’Expo milanese, il raddoppio delle autostrade tosco-emiliane, la creazione di autostrade inutili (Orte/Mestre, ad esempio, la Brebemi) non sono segnali di preteso sviluppo ma costituiscono lo scialacquare della politica nel malaffare, tutta intesa all’appropriazione degli appalti e alla penalizzazione del cittadino, rimasto colpevolmente suddito e titolare solo di nuove tasse e nuovi balzelli, questi sì, senza distinzione geografica.
La necessità di fare cassa per soddisfare, in primis, i bisogni e le ruberie della politica costituitasi in associazione a delinquere con il consenso del cittadino che non sa indignarsi.
Può la Sicilia restare a guardare? Può la Sicilia rimanere “buttanissima”, o diventare “bellissima” secondo chi si vende al miglior offerente, fino a sparlare anche della sua stessa madre per sindrome di inferiorità e “ruffianismo”?
Può questa Sicilia, questo popolo, questo territorio e questa parlata che la fanno Stato nazione, accettare di essere trattata come l’utile idiota consenziente del suo martirio fino ad abbandonare il suo Statuto di autonomia come auspicato dal centralismo blasfemo?
Può la Sicilia finalmente chiamare a raccolta le sue coscienze migliori, più critiche e più progettuali per ridisegnare il suo futuro nonostante il moltiplicarsi di schiavi e di “paria”? Può la Sicilia, oggi di pochi, convincere alla causa dell’indipendenza i molti, ancora ignavi e ignoranti? Noi siamo convinti che stanno creando un deserto e che nel centro abbiano deciso che debba rimanere solo la nostra Terra: possiamo accettarlo?
La risposta è scontata; riuniamoci senza differenziazioni e cominciamo dunque a disegnare, tutti insieme, i necessari e possibili progetti, di lavoro e di occupazione, quindi creiamo le opportunità possibili per i nostri giovani, blocchiamone la diaspora infinita, prendiamo coscienza della nostra forza, convinciamo gli ignavi e i delusi, e sulla scia degli immancabili successi che arriveranno sul terreno dello sviluppo e della crescita economica, creiamo una nuova classe dirigente che possa articolare, legalmente e col consenso dei siciliani tutti, le ipotesi di una Sicilia Stato, finalmente sovrana, libera e indipendente.
Eugenio Preta