Panama Papers, riciclaggio ed evasione
“Noi la vediamo così “, mutuando un vecchio pezzo dei Giganti che introduceva la loro versione di “summer time”… Si tratta sempre e comunque di evasione fiscale che ha raggiunto oggi livelli tanto complicati si che cercare di combatterla potrebbe scatenare la crisi totale del sistema finanziario mondiale.
Come può infatti accadere che gli Stati più potenti di questo mondo, che tra l’altro si arrogano persino il diritto di intervenire militarmente in ogni angolo del pianeta, non abbiano mai pensato di costringere paesi come Panama, le isole vergini britanniche, le Seychelles, o ancora i paesi degli atolli polinesiani a mettere fine alle loro attività di riciclaggio di denaro?
“Elementare il mio caro Watson,…” nessuno degli attuali decisori politici ne ha interesse… Forniture militari, organizzazioni di eventi sportivi, traffico di voti e di influenza sopranazionali, finanziamento di partiti politici, oltre che, evidentemente, l’arricchimento personale, tutto questo non potrebbe avvenire se non esistessero questi paradisi fiscali.
Sarebbe però riduttivo riportare tutto ad una semplice questione di corruzione, pur di dimensioni stratosferiche.
Ma pensiamoci: che avverrebbe della mondializzazione se non esistessero i paradisi fiscali?
Ci sono dunque due aspetti della vicenda: la corruzione che oggi polarizza l’attualità, ma soprattutto, e ci sembra l’aspetto peculiare, la mondializzazione.
Creare, tramite uno studio legale, una società in un paradiso fiscale non costituisce oggi alcun problema ed è alla portata di tutte le tasche… Due o tre mila euro, non più, e l’operazione viene finalizzata in pochi giorni senza neanche la necessità di recarsi in loco. Se vogliamo la difficoltà consiste piuttosto nell’apertura del conto bancario di questa società – che si fa preferibilmente presso una banca ritenuta insospettabile che opera su una importante piazza finanziaria come Hong Kong, Singapore, o Lussemburgo – in quanto la banca prescelta potrebbe richiedere tutte le informazioni che ritiene opportune, con la possibilità pure di rifiutare l’apertura del nuovo conto.
Finora però le banche si sono dimostrate abbastanza comprensive, ed a ragione.. Nel 2012 ile somme complessive gestite dalle banche dalle loro piattaforme “off shore”, (lontano dalla spiaggia, come ha tradotto ieri sera il nuovo conduttore del TG 4) 21 .000 miliardi di dollari, l’equivalente del Pil di Usa e Giappone messi insieme, come dire che si tratta di una fonte supplementare di reddito ed anche una delle più rilevanti.
L’incredibile di tutta la vicenda resta il fatto che le sopracitate liquidità, in massima parte servono ad evadono le tasse e vengono investite nel finanziamento del debito pubblico. Perciò chi ritiene che la pubblicazione delle panama papers possano servire a fare luce sulla piaga dell’evasione fiscale, si fa solo una pia illusione.
Innanzitutto perché lo studio panamense Mossack Fonseca, oggi incriminato,non è che una molecola in mezzo a centinaia di altre monadi e, cosa più importante, rappresenta paradossalmente l’intoccabilità di un sistema costituito come una montagna di carte da gioco che, togliendone una, si rischia di far precipitare il castelletto di carte, in verità la montagna intera del sistema finanziario mondiale.
E noi che credevamo di essere al di sopra delle righe quando andavamo in Svizzera a fare il pieno, guadagnandoci (una volta però) pure una barra di cioccolato… Non priviamoci però dell’illusione di veder cadere qualche testa, di poter affidare al ludibrio miti consolidati e non illudiamoci che questo servirà a cambiare la percezione che l’elettore ha della vita politica … Purtroppo non sarà affatto così.
Eugenio Preta