L’esempio spagnolo
Il partito popolare e il partito socialista, che ancora si chiama operaio, i due partiti che si sono alternati alla guida del paese da metà degli anni 70, sono stati sconfitti dalle urne ed alla fine hanno perso una media di oltre 20 punti percentuali a testa, cosa che, evidentemente, non lascia possibilità alcuna di un governo monocolore che a questo punto potrebbe risultare soltanto dall’accordo di una coalizione che si formerebbe contro natura, proprio tra socialisti e popolari, mentre i due nuovi partiti Podemos, spostato su posizioni di sinistra, e Ciudadanos, di formazione centrista e liberale, hanno dichiarato già da ora di non essere disponibili ad alcun accordo.
Ma se parliamo di elezioni spagnole non lo facciamo solo per l’informazione spicciola, ma perché la sconfitta dei due partiti tradizionali, pur rappresentando una sintomatologia esclusivamente interna che stravolge il panorama politico spagnolo, nello stesso tempo può indicare la fine della stagione bipolare della rappresentanza politica – quel bipolarismo incompiuto in italia, tanto ricercato per tantissimi anni ed ora auspicato da riforme poco condivise che implicherebbero pure una radicale riforma della Carta costituzionale – e la richiesta a gran voce di un rinnovo della classe dirigente, del cambio obbligato dei rapporti di forza esistenti e dello svecchiamento del personale in servizio permanente effettivo.
Il futuro ci dirà ora se le loro idee sono effettivamente nuove e giovani. Devo però ricordare quello che faceva dire Corneille al Cid compeador : ” il valore non coincide con il numero di anni. “
Si apre a questo punto l’antico problema del persistere di ultra settantenni nelle sfere delle istituzioni e ben saldi nella detenzione del potere.
Oggi, estasiati ma vittime di una sindrome di demagogia “giovanilista”, i media in Spagna hanno preso spunto dall’affermazione dei giovani leader non solo per auspicare una nuova stagione, ma per stigmatizzare la gerontocrazia politica e denunziare il permanere di vecchie cariatidi nei gangli del potere.
In Italia noi conosciamo bene questo fenomeno che denomineremmo “del decano “, e da tempo ci chiediamo se sia più necessario sopprimere il decano o la sua patologia, la malattia di chi resta incollato alla poltrona e trama in tutti i modi di restarci.
Dobbiamo cancellare la nozione nobile dell’età, o piuttosto ridimensionarne il titolare?
Noi restiamo convinti assertori della necessità di una nuova classe dirigente, che non si sia mai cimentata nella gestione della cosa pubblica, che operi intendendo la funzione politica come un servizio da rendere al Paese, ovviamente senza le attrattive della remunerazione astronomica, della “guarentigie” esistenti, non più stipendificio cioè, ma funzione politica intesa come vera missione.
Così come di conseguenza richiediamo l’abolizione del cumulo dei mandati, la temporizzazione obbligatoria dei percorsi politici (pur se i giovani non è che abbiano finora dato bella prova di se) proprio nel momento in cui cresce il fenomeno della longevità media che ha raddoppiato, nel settore politico-istituzionale l’esempio di anziani che rimangono abbarbicati al potere e di rappresentanti politici avanti con gli anni che si ostinano ad occupare funzioni che i più giovani rivendicano, a giusto titolo.
Restano diversi interrogativi ma uno tra tutti : saranno pronti i cittadini a mandare in pensione gli anziani politici che già hanno dato esauriente prova delle loro capacità? sarà libero il sistema di privarsi dei suoi supporti più radicati?