L’Italia umilia la Sicilia. E’ tempo che l’Isola riconquisti la propria Indipendenza
Nella seconda puntata del nostro ‘viaggio’ nella storia della nostra Isola vi raccontiamo il sostanziale tradimento di Ruggero Settimo, Garibaldi, l’imbroglio del Plebiscito e i danni prodotti dalla ‘dominazione’ italiana. Il ‘Patto’ del 1946 è stato calpestato da Roma. Alla Sicilia non resta che riconquistare l’Indipendenza.
Continuiamo il nostro dialogo sulla legittimità dell’appartenenza della Sicilia all’Italia, questa volta con riferimento ai fatti contemporanei e sul senso da dare alla nostra appartenenza all’Italia che fra qualche giorno ci apprestiamo a “festeggiare”. Nella prima puntata (come potete leggere in questo articolo) abbiamo tracciato un quadro generale. Oggi arriveremo ai giorni nostri. Si stava parlando di Garibaldi…
Ma alla fin fine Garibaldi era un bandito appoggiato dalla Gran Bretagna! Chi gli dava quest’autorità di proclamarsi Dittatore? Perché mai lui sarebbe più legittimo di Francesco II?
Purtroppo perché l’unico rappresentante legittimo allora del Regno di Sicilia, Ruggero Settimo, “Presidente del Regno”, non ebbe la forza fisica e morale di opporsi, non andandosi a insediare come Presidente del Senato del Regno d’Italia, ma limitandosi alla sdegnosa solitudine di Malta, dove morì praticamente di dispiacere con la sua mitica “sciarpa gialla”
Non ci capisco più niente. Ma se è legittimo Garibaldi, è legittima anche l’Italia! che portava sempre addosso in ricordo della sua Patria siciliana. Era ospite dei britannici, ma anche un po’ loro ostaggio e ne era sostanzialmente ricattato: se avesse disconosciuto la Dittatura dove sarebbe dovuto andare a più di ottant’anni e malato? Ma il suo silenzio-assenso fu determinante. Spiace un po’ dirlo, ma Garibaldi, in quanto successore pro-tempore di Ruggero Settimo, fu l’ultimo legittimo Capo di Stato della Sicilia indipendente. Ed era formalmente legittima persino la sua pretesa di sentirsi “Capo della Chiesa Cattolica” in virtù dell’Apostolica Legazìa.
Assolutamente no, sta’ attento! Qui bisogna seguire per bene la successione dei fatti nel 1860. Perché, a un certo punto, si consumò – come era inevitabile – uno strappo. Garibaldi, seppure per mezzo del Pro-Dittatore La Farina, non aveva alcun diritto di “recepire” lo Statuto Albertino in Sicilia, né di integrare le Forze Armate Siciliane in quelle Sarde, come a un certo punto, in quella terribile estate, fece senza il parere nemmeno dei Ministri Siciliani. Alle proteste di questi fece mostrare i relativi decreti indicando dove avrebbero dovuto mettere la firma. Queste decisioni sarebbero spettate, semmai, soltanto ad un Parlamento regolarmente convocato secondo le regole del 1848. Questo fu uno strappo costituzionale grave, un inevitabile alto tradimento del nuovo improbabile capo dello Stato siciliano. Tanto grave che non passò inosservato. I Siciliani – pochi lo sanno – a un certo punto si ribellarono apertamente. Imposero a Garibaldi il cambio del Pro-Dittatore, la nomina di un Consiglio di Stato di autentici siciliani e la convocazione di un’Assemblea, cioè di un Parlamento secondo le uniche regole legittime, quelle del 1848, che avrebbe potuto decidere se e come il plurisecolare Regno di Sicilia sarebbe dovuto confluire, legittimamente, nel Regno d’Italia.
E Garibaldi accettò queste condizioni?
Garibaldi sì, che era forse meno peggiore di come certa storiografia revisionista lo dipinge, ma il Piemonte, che allora era uno stato estero, no. Il Piemonte impedì con la forza la convocazione del Parlamento del Regno di Sicilia, organizzò un Plebiscito-Farsa, buttò infine nel cestino la proposta federalista presentata in extremis dal Consiglio di Stato siciliano a Vittorio Emanuele II quel 4 dicembre del 1860, ultimo giorno di vita dello Stato di Sicilia come Paese Sovrano. Insomma nell’Autunno 1860 il Piemonte occupò militarmente la Sicilia e la fuse altrettanto illegittimamente all’Italia il successivo 4 dicembre. Ora, se l’Italia nascente riconosceva la dignità statuale della Sicilia (anche nelle leggi e decreti successivi come quello dell’unione monetaria del 1861, in cui fu stabilita la parità perpetua di 12,75 lire italiane con 1 onza siciliana), se il Plebiscito è nullo, se l’annessione del Regno di Sicilia all’Italia è giuridicamente nulla, qual è il Governo legittimo della Sicilia da quella data in poi?
Mi sembra lineare. Sempre che il Plebiscito sia veramente un atto nullo.
È nullo per molti motivi. Intanto perché imposto da un Paese estero, quando il governo legittimo della Sicilia aveva convocato un Parlamento, ma poi anche per le modalità farsesche e intimidatorie del suo svolgimento: due urne separate, schede prevotate, scrutinio sommario, nessuna alternativa realistica nel caso avesse vinto il “No”. E in ogni caso il risultato fu semplicemente ridicolo, suscitando la fine ironia del Tomasi di Lampedusa: che significa 667 “No”? Significa soltanto che la consultazione era truccata, cioè nulla. Da quel momento in poi l’Italia occupa illegalmente il Regno di Sicilia.
E la storia finisce qua?
Dal punto della legittimità derivata sì. Se quell’atto è nullo, tutti gli atti a valle lo sono parimenti. Se non facevamo a buon diritto parte del Regno d’Italia com’è che siamo entrati a far parte della Repubblica Italiana? E se non facciamo parte a buon diritto della Repubblica Italiana, com’è che siamo entrati in Europa? Insomma, crollato il Plebiscito, dal punto di vista della legittimità derivata, crolla tutto come un castello di carte. Il tempo non legittima alcuna violenza e quella fu una violenza, una vera catastrofe per il Popolo Siciliano, di cui ancora piangiamo le conseguenze.
Torniamo al concetto di legittimità derivata allora? Che succederebbe, de jure, se un Governo siciliano provvisorio, regolarmente eletto, proclamasse la propria indipendenza?
Succederebbe che, per essere legittimo, questo Governo dovrebbe riprendere il discorso proprio da dove si è interrotto. Emettere un Decreto interpretativo che renda “fruibile” la Costituzione del 1848 nel contesto attuale, convocare i Comizi per l’elezione della Camera dei Rappresentanti e della Camera dei Senatori, ricostituire i Distretti per le associazioni di Comuni e nominare in ciascuno di essi un Governatore per rappresentare il Governo dello Stato in periferia. Dopo toccherebbe al Parlamento, regolarmente eletto, a darsi funzioni costituenti, rinnovando la Costituzione del 1848 secondo le modalità a suo tempo previste (se non sbaglio con l’approvazione dei due terzi del Parlamento, successivo scioglimento e ratifica da parte del Nuovo Parlamento). Il Parlamento potrebbe anche decidere la forma di Stato, cioè se mantenere la monarchia “semi-elettiva” che aveva il Regno di Sicilia o passare ad una forma di stato presidenziale. È da lì che si riparte, non ci sono sconti. Persino la fusione della Chiesa di Sicilia con quella italiana sarebbe illegittima: Vittorio Emanuele II rinunciò “per noi” all’Apostolica legazìa nel 1871, poteva farlo? No. Ancora oggi il Capo dello Stato siciliano è capo “nato” della Chiesa Cattolica di Sicilia. Poi la Sicilia di oggi può cambiare tutto, si capisce, ma deve essere la Sicilia a farlo spontaneamente. E poi la Sicilia non sarebbe uno Stato isolato, fuori dal mondo. Così come a suo tempo si considerava parte integrante di un “orbe” cristiano, di un Impero “romano” ideale (non dell’Italia, che è cosa assai diversa), cioè di una comunità universale, lo Stato di Sicilia sarebbe pienamente e armonicamente inserito nell’ordinamento di diritto internazionale oggi vigente quale Atato sovrano, indipendente e, potenzialmente, neutrale rispetto ai blocchi militari esistenti, almeno fino a diversa determinazione del suo legittimo Governo.
E quindi siamo ancora in teoria “Cittadini” del Regno di Sicilia in pieno 2015?
Proprio così. Potrà sembrare strano. Ma sei tu che mi hai portato sul piano della legittimità formale, e non trovo altre risposte praticabili. Ma in ultimo è la volontà dei Siciliani quella che oggi conta, e lì tutte le strade sono aperte.
E chi sarebbe il Re di Sicilia?
Non c’è. La sede è vacante e spetta alla Nazione per mezzo del suo Parlamento decidere se e come continuare la vita dello Stato di Sicilia indipendente. Quasi certamente la Sicilia si trasformerebbe in “Stato di Sicilia” a forma repubblicana. Ma i Siciliani possono fare tutto quello che vogliono, anche – per pura ipotesi – revocare la decadenza del 1848 ed acclamare Carlo di Borbone. I Borbone di Napoli furono più volte fedifraghi con la Sicilia, ma non furono cattivi sovrani in assoluto, certo non peggiori dei successori. Ma, a questo punto, l’unica cosa che conta è la Volontà dei Siciliani, cioè quella che all’inizio chiamavamo la “sovranità originaria”. Se i Siciliani si sentono italiani il discorso è chiuso, altrimenti…
Ma, secondo te, i Siciliani cosa vogliono?
Cosa vogliono oggi o cosa volevano ieri o cosa vorranno domani? La risposta può variare nel tempo. Durante il Regno d’Italia nessuno chiese mai ai Siciliani cosa pensassero. L’Italia occupò la Sicilia e basta. Sino al 1913 il suffragio era limitato, poi esteso ai soli uomini per breve tempo, sospeso durante la I Guerra mondiale e poi tolto del tutto dal Fascismo. La Sicilia in quegli ottant’anni si ribellò più volte, e fu sottoposta ben 4 volte a stato d’assedio, in cui una volta (nel 1866, Rivolta del Sette e Mezzo) Palermo fu bombardata dal mare con i cannoni ad alzo zero. Insomma fino al XX secolo inoltrato la “dominazione italiana” non aveva neanche legittimazione originaria. Anzi, dal Regionismo, al Memorandum per l’Autonomia dei Fasci Siciliani, all’Operazione Sicilia dei primi del XX secolo, abbiamo buone ragioni per ritenere che la Sicilia oppressa facesse sentire il proprio dissenso camuffando il proprio indipendentismo sotto le vesti dell’Autonomismo, peraltro mai accettato dall’Italia. Poi venne il Fascismo, la deportazione dei Siciliani nel 1940 fino alla strage del pane nel 1944. No, il Regno d’Italia non fu mai legittimo in Sicilia, neanche sotto il profilo originario della Volontà della Nazione. Era solo violenza.
Ma, via!, se questo è vero per il Regno d’Italia, non può dirsi lo stesso per la Repubblica.
È vero, è vero. I Siciliani del Dopoguerra subiscono come una mutazione genetica, che arriva forse sino ad oggi. Diciamolo francamente: i Siciliani del Dopoguerra, dopo l’ultima rivolta separatista e la conquista dell’Autonomia, si sono “italianizzati”. Hanno tacitamente accettato la loro partecipazione alla Nazione italiana. E comunque si sentivano “paghi” del Patto-Trattato rappresentato dallo Statuto appena conquistato. E fu proprio il 2 giugno di 69 anni fa il momento definitivo di questa riconciliazione. I Siciliani tutti, persino gli indipendentisti, andarono a votare, dando infine legittimità all’appartenenza della Sicilia all’Italia.
E quindi, sotto questo aspetto, discorso chiuso. Lo Stato di Sicilia appartiene solo al passato?
Ma insomma…
In che senso?
Nel senso che i presupposti su cui, tra il 1946 e il 1949 si stabilì questo equilibrio oggi sono venuti meno.
Puoi essere più chiaro?
A differenza del Dopoguerra oggi la metà circa dei Siciliani si è “scollata” dalla rappresentanza politica. Questo fatto pone un’ipoteca molto grave sulla legittimazione dell’attuale ordinamento politico. Poi ci sono sondaggi che, sia pure come espressione “d’impeto”, danno l’indipendentismo siciliano intorno al 40 % della popolazione politicamente attiva, sebbene poi questo impeto difficilmente si traduce in fatti politici concreti. E poi c’è il tradimento del Patto fatto dallo Stato italiano. Ti pongo un altro argomento molto forte: se l’appartenenza della Sicilia all’Italia riposava sul “patto confederativo” rappresentato dallo Statuto, ora che lo Stato ha gettato la maschera ed ha stracciato quel patto, su cosa riposa l’italianità della Sicilia? Sulla forza? Ahi! Questa non è legittimità. E poi chi ci dice che il consenso dei decenni silenti fosse “vera” partecipazione politica e non in gran parte solo bieco voto di scambio? Come ho detto all’inizio, se non può giungersi a conclusioni nette, come nella legittimazione derivata, anche su quella originaria siamo oggi su un terreno scivoloso.
Insomma, il ‘Patto’ tra Italia e Sicilia è venuto meno?
Lo Stato Italiano ha stracciato quel Trattato di Pace tra due Popoli siglato il 15 maggio del 1946, che quindi non ha più alcun valore. Se pochi giorni dopo, il 2 giugno del 1946, i “sudditi” Siciliani avevano creduto di esser divenuti finalmente “cittadini” italiani, oggi quell’illusione è definitivamente svanita. L’Italia in questi 69 non ha solo stracciato lo Statuto, ma ha negato la cittadinanza dei sudditi siciliani in tutti i sensi: i nostri giovani non hanno diritto a trovare lavoro nella loro terra, non esiste alcuna continuità territoriale, le nostre infrastrutture sono fatiscenti, la qualità della vita in coda alla classifica nazionale, le nostre risorse depredate, la nostra dignità umiliata ogni giorno. Secondo me non è più tempo di festeggiare alcunché il 2 giugno prossimo. L’Italia ci ha tolto la cittadinanza, e quella è una ricorrenza da cittadini italiani, e quindi qualcosa che non ci riguarda più. Ormai non ci resta che riprendere le fila di una storia proprio laddove si era interrotta, quel 4 dicembre del 1860. Insomma si dovrà ripartire dallo Stato di Sicilia, l’unico legittimo sovrano della Terra di Sicilia per ridare dignità e speranza a un popolo oppresso.
Massimo Costa