E’ l’Italia che impoverisce la Sicilia. E non viceversa
Continuano a susseguirsi le trasmissioni televisive che gettano fango sulla regione e su 5 milioni di siciliani. Ma i numeri, se letti attentamente, raccontano un’altra storia. Perchè i grillini non si intestano una battaglia politica per ripristinare la verità?
Come disse Brenno ai Romani: “Guai ai Vinti!”. Ed oggi la Sicilia è vinta, e si vede.
La Sicilia perse nel 1960 definitivamente la sua battaglia per il rispetto dell’Autonoma nell’ambito della Costituzione repubblicana e, da quel momento, la sorte di ciò che ne restava, delle conquiste del 1946-49, era segnata, anche se soltanto rinviata nel tempo.
Vengo fresco dall’aver firmato per la sfiducia all’attuale Presidente della Regione, e quindi credo che nessuno possa tacciarmi di collaborazionismo con l’attuale disastrosa conduzione della cosa pubblica in Regione.
Ma proprio per questo trovo intollerabile che i network televisivi nazionali, a telecamere riunite, “Gabbia” di Paragone compresa, celebrino il loro quotidiano processo sommario e politico nel quale letteralmente la Sicilia viene linciata senza possibilità di reale contraddittorio e di informazione serena e veritiera. L’invito fatto a Rosario Crocetta, isolato nei contraddittori e poi di per sé controproducente per la causa della Sicilia, fa parte di questa strategia.
Sgombriamo il campo da un equivoco al quale potrebbe credere solo qualche anima candida: non c’è nessun reale servizio di informazione dietro questi “servizi” sul presunto scandalo siciliano. La storia è invece semplicissima. Il nuovo regime extraparlamentare della Trojka, pro tempore incarnato da Renzi, ma domani chissà, che trova ormai il suo fondamento democratico più sui sondaggi che sulle elezioni, ha “DECISO” che è ora di chiudere l’esperienza autonoma della Sicilia.
La Trojka ha bisogno di soldi, di tanti soldi, dei nostri soldi, dei nostri ultimi soldi, e non ci sarà somma che li sazierà mai.
Dopo la macelleria sociale del Governo Crocetta non c’è per lui nemmeno la gratitudine, il ben servito, o qualcosa del genere. Bisogna scardinare ancor più velocemente quel che resta dello Stato sociale.
E in questo ciò che resta dello Statuto è un grave ostacolo.
Perché? Perché la Sicilia, non vivendo di trasferimenti dello Stato italiano, non si può affamare ancor più di quanto non si sia fatto sino ad oggi. Si è costretti, con mezzucci o alla luce del sole, a sottrarre ai Siciliani quote crescenti di tributi che, dopo vari passaggi che qui vi risparmio, vanno dritti dritti alle banche d’affari americane da dove parte tutto il disegno.
Nelle Regioni a Statuto ordinario è più facile il processo: basta tagliare i trasferimenti. In Sicilia è più difficile: non ci sono più trasferimenti dallo Stato, e quindi bisogna mettere direttamente le mani in tasca ai Siciliani. Ma questo, prima o poi, con tutta la copertura mediatica di questo mondo, si viene a scoprire, e non c’è che un mezzo per superare il problema: togliere l’Autonomia ai Siciliani, anche se in garn parte esistente solo sulla carta.
Si pagano belle penne e pennivendoli per parlarne male. Bisogna partire dalla Sicilia, perché è al contempo la più grande (e quinidi più succosa) e la più fragile (perché priva di un soggetto politico importante che la difenda) rispetto alle altre. Ma poi toccherà alla Sardegna e via via a tutte le autonomie che, per definizione, in un vero regime non sono più consentite.
Per realizzare questo disegno basta ripetere, ossessivamente, una serie di falsità preconfezionate:
1. La Sicilia è palla al piede dell’Italia, mantenuta dai contribuenti italiani tutti, in un momento di grave crisi. Falso: la Sicilia e i suoi enti locali vivono di una piccola frazione dei tributi raccolti nel territorio, e quindi non costano un centesimo ai contribuenti di altre Regioni.
2. La Regione siciliana ha “troppi” dipendenti. Falso: il numero dei dipendenti siciliani è una virtù, non un vizio, perché la Sicilia si fa carico di spese che altrove sono a carico dello Stato, e perché non nasconde, come fa la Lombardia, i propri dipendenti in agenzie, partecipate, pseudo-organizzazioni no profit e così via (la corrispondente lombarda della nostra Sicilia e-Servizi ha più di 600 dipendenti, quella piemontese più di 1000).
3. I dipendenti della Regione sono strapagati, vedete quelli dell’Ars? Falso: si prende una piccolissima minoranza dei dipendenti regionali, che hanno una condizione migliore perché appartenenti a un organo costituzionale, e si spaccia la condizione di poco più di 100 persone per quella di 16.000 persone, dimenticando di dire – di passaggio – che i privilegi Ars sono stati ormai aboliti e che l’Ars si fa carico di un bene culturale (il Palazzo Reale) non paragonabile a quello di altri consigli regionali anonimi, oltre che di pensioni pluridecennali, che l’Ars NON CHIEDE all’INPDAP, ma paga sul proprio bilancio (stravolgendo quella che è una virtù presetntata come un vizio).
4. La Regione siciliana mantiene 28.000 forestali, 35.000 addetti alla formazione professionale e un numero imprecisato di precari degli enti locali. Ancora una volta falso, sotto molti punti di vista.
Primo, perché i numeri sono a caso, o nella migliore ipotesi molto vecchi, non tenendo conto delle cessazioni avvenute negli ultimi anni.
Secondo, perché il computo dei forestali andrebbe fatto per unità di persone corrispondenti al tempo pieno, scoprendo magari che i 28.000 millantati non sono più di 6.000.
Terzo, perché si tratta di operatori antiincendio di una regione subtropicale a rischio desertificazione, nella quale, magari non 6.000, ma almeno 3.000 addetti a tempo pieno sarebbero certamente necessari.
Quarto, perché gli addetti alla formazione professionale sono stati praticamente licenziati da tempo, in quanto non ricevono più stipendio.
Quinto, perché i precari degli enti locali suppliscono, alcuni anche da trent’anni, al lavoro di regolari dipendenti degli enti locali che mancano, con la differenza che prendono uno stipendio molto più basso, hanno meno diritti e meno dignità, e questo solo per il “peccato originale” che in “Illo tempore” non furono selezionati con un pubblico concorso, ma per segnalazione politica.
Sesto, perché si tratta di un modello clientelare degli anni ’80 e ’90 che da almeno vent’anni non ha più alcun ricambio, non viene più alimentato e di cui la Sicilia, con le sue sole forze, si sta lentamente e progressivamente liberando, se non altro perché questi “peccatori” invecchiano e muoiono come tutti gli altri esseri umani.
Settimo, perché anche allora, negli anni ’80 e ’90, la Sicilia fu vittima e non rea, in quanto si “vendevano” posti, con la cecità di Commissari dello Stato e Governi della Repubblica che “non vedevano”, in cambio di voti, impedendo che in Sicilia si trovasse lavoro per le vie ordinarie di un sistema sano e ora quel modello scellerato lo si vuol far pagare agli sventurati che ebbero la colpa di non trovare lavoro e di fare anticamera da un politico.
Ottavo e, forse, ultimo, perché in ultimo sono soldi nostri, dei Siciliani, dei quali non dovremmo rendere conto se non ai Siciliani stessi, e non certo ai rapinatori del Continente e ai loro squadristi/linciatori di professione.
A queste bugie si aggiungono i servizi sullo sfascio totale, economico, sociale, delle infrastrutture, lasciando intendere che questo derivi dal malgoverno locale, e tacendo sul fatto che lo Stato non realizza alcuna perequazione, ha azzerato il fondo di solidarietà nazionale, deruba la Sicilia tutta, Regione, Enti locali, imprese e famiglie, ogni giorno di più e poi ci si meraviglia del disastro, si “cade dal pero”, si invoca il commissariamento e l’azzeramento dell’Autonomia, come se la Sicilia non fosse già commissariata da tempo. Si tace sul surplus energetico rapinato alla Sicilia; si tace sull’intermediazione coloniale sui prodotti agroalimentari, e così via.
Tutto questo, lo sappiamo, ma ora sarebbe tempo anche di agire. Sfiducia a Crocetta sì, va bene, ma poi? Perché non fare una grande class action contro Rai, Mediaset e La7 tanto per cominciare? O trovare in qualche modo, anche di resistenza civile, la maniera di spegnere quelle antenne e quei tralicci con i quali la Sicilia è letteralmente bombardata ogni giorno da menzogne mediatiche senza fine? Come si risponde pacificamente e legalmente ai bombardamenti? Lo chiedo a tutti, con umilità e serietà. Lo chiedo soprattutto al Movimento 5 Stelle che ieri è sceso in piazza. Qual è la nostra posizione sul linciaggio della Sicilia?
Non c’è modo di fare cause milionarie a chi, più o meno a pagamento, spande notizie non esatte sulla Sicilia confidando sulla loro impunità? Qualche bella causa forse comincerebbe a far diventare tutti un po’ più prudenti.
Potrebbe, almeno questo Movimento che ha deputati, senatori ed eurodeputati, fare conoscere agli altri italiani che la Sicilia non è la palla al piede dell’Italia, ma viceversa? Voi lo sapete che è così, e avete il dovere di farlo sapere a tutti gli altri italiani. Avete il dovere di fare qualcosa per difendere i nostri diritti e impedire, con ogni mezzo legale, le continue calunnie e diffamazioni che, oltretutto, stanno seminando in Italia un vero e proprio odio razziale antisiciliano.
Non avremo futuro senza una reazione decisa e concertata su questo. Io lancio questo appello, quasi un grido di dolore. Ci sarà qualcuno che lo raccoglie, o dobbiamo tenerci tutto il fango che ci viene vomitato addosso ogni giorno?
Massimo Costa