Da “piedistallo” dello “stivale” a centro dell’ integrazione Euromediterranea
Uno dei fattori che più hanno condizionato la storia recente della Sicilia in senso negativo è stata la sua presunta “marginalità” geografica: un’isola, sud del sud, lontanissima dai centri produttivi del paese e dalla stessa capitale, come può garantirsi un benessere che non sia in qualche modo “assistito”? Tutte le politiche che danno elemosine (anche lo stesso art. 38 dello Statuto se non finalizzato a ridurre il gap esistente), tutte le politiche che non ribaltano questo dato geopolitico, sono destinate al fallimento.
Bisogna invece guardare con occhi nuovi alla carta geografica della Sicilia, inserendola in un contesto diverso. Proviamo a non guardare la Sicilia in una cartina dell’Italia, ma in una cartina del Mediterraneo o d’Europa e Mediterraneo e la realtà (per ora solo virtuale) salta agli occhi: la Sicilia, centro e cuore del Mediterraneo si è vista derubare questo ruolo naturale per essere confinata a remota provincia romana. Diceva V.E. Orlando, fautore dell’unitarismo contro il separatismo: «Non so se la Sicilia puo’ fare a meno dell’Italia, so che per certo l’Italia non puo’ fare a meno della Sicilia».
Questa affermazione contiene più verità nascoste di quanto si possa immaginare. L’Italia senza la Sicilia si sentirebbe mutilata del suo più ghiotto possedimento mediterraneo, cio che le consente di avere un ruolo centrale in quello che da sempre considera il “Mare Nostrum” (cioè loro, poiché siamo in buona parte esclusi dai benefici, veri o presunti, di quella centralità). Ma lo stesso non puo’ essere detto per noi: la Sicilia basta a sé e se vuole far parte, alle sue condizioni, dell’Italia, per non ingenerare un conflitto permanente con la Penisola, deve pero’ potersi muovere in quest’ambito come stato sovrano ed in ogni caso come soggetto politico autonomo.
Del resto la storia insegna che quando il Mediterraneo è stato un “lago” e la Sicilia non è stata dominata, si sono registrati i migliori momenti della nostra storia: la civiltà Siceliota, l’Emirato di Sicilia, il Regno Normanno-Svevo di Sicilia, il primo Regno Aragonese di Trinacria successivo al Vespro, fino al Blocco continentale di epoca napoleonica in cui la Sicilia prosperava e ad essere isolato era il continente europeo. Quando si sono creati muri e la Sicilia è stata aggiogata ad altri carri è stata decadenza: oggi, come ai tempi dell’avanzata turca che trasformo’ la Sicilia in un eroico ma misero avamposto della Cristianità verso l’Oriente.
Che fare dunque per spezzare questo isolamento? ln parte la risposta sembra risiedere nella costruzione di reti infrastrutturali e di trasporti che pongano la Sicilia nella sua giusta dimensione (vedasi al punto dieci) per cui, ad esempio, per andare in Egitto non sia necessario prima “tornare” alla Malpensa o per cui non sia necessario, per ogni relazione significativa con l’esterno, passare dalla burocrazia romana. In parte, invece, si deve passare attraverso una ridefinizione strutturale e costituzionale dei rapporti tra la Sicilia, l’Europa e il Mediterraneo e di questo si dirà adesso.
Particolare importanza assume per la Sicilia la possibilità, peraltro già prevista da un disegno di riforma dello Statuto presentato all’ARS, di affidare allo Stato di Sicilia, nelle materie di sua competenza, anche senza bisogno di una legge statale che ne disciplini i casi e le forme, il potere di stipulare accordi con stati e intese con enti territoriali interni ad altro stato con esclusione degli accordi politici e di quelli militari. In particolare cio’ deve consentire la formazione di una diplomazia permanente, soprattutto per i rapporti con lo Stato italiano, le Regioni italiane, l’Unione europea, gli stati europei e le loro “regioni” e gli stati mediterranei, i cui membri non siano anonimi funzionari piegati al potere politico di turno, ma parte di un vero e proprio corpo stabile che coltivi il senso della sua “alta” missione politica. Lo Stato di Sicilia deve poi favorire accordi con gli stati esteri affinché i “consolati” stranieri competenti per la Sicilia siano investiti dei compiti di rappresentanza nelle suddette materie di accordo, anche con la possibilità che essi siano elevati ad “ambasciate” (sia pure senza il potere di regolari rapporti in materia di “alta politica” e di difesa).
Una parte tanto importante quanto delicata del presente punto riguarda i rapporti tra la Sicilia e l’UE. Nel tempo, infatti, l’integrazione europea, che è valore in cui crediamo profondamente e che ha la forza di emanciparci dal legame troppo stretto che ci lega alla Penisola, è stata una sorta di “cavallo di Troia” che sotto certi aspetti ha finito per danneggiarci. Le ragioni di tali danni alla nostra Autonomia e ai nostri interessi sono due.
In primo luogo, il progressivo passaggio di funzioni e di competenze dagli stati alla Comunità prima e all’Unione poi, è stato occasione di ridimensionamento de facto dell’Autonomia; lo Stato italiano ha partecipato, nella sua qualità di stato membro, alla definizione della normativa comunitaria (senza interpellarci su questioni che erano di nostra competenza) per poi dirci che a tale normativa non potevamo sottrarci in quanto frutto di un obbligo internazionale. È chiaro che non vogliamo opporci all’integrazione europea; ma se lo Statuto ci attribuiva in determinati ambiti poteri da stato sovrano, come uno stato vogliamo partecipare alle definizioni delle politiche e delle normative comunitarie, senza che a Roma nessuno si senta autorizzato a scavalcarci e a rappresentarci senza delega ail’interno delle istituzioni europee: lo Statuto è parte integrante della Costituzione italiana e come tale gli altri stati membri e la stessa Unione devono tenerne conto per poter definire qual è la volontà complessiva dell’Italia.
ln secondo luogo, la rappresentanza in molte istituzioni non è proporzionale alla popolazione ma è, giustamente, per “stati”, attribuendo ai piccoli stati rappresentanze e diritti più che proporzionali rispetto al loro peso demografico, geografico ed economico. Anche cio’ è assolutamente corretto in linea di principio: diversamente i “grandi” schiaccerebbero i “piccoli” e poi una regione di un grande stato (l’Assia per la Germania, la Borgogna per la Francia, le Marche per l’Italia, e cosi via), priva di particolarità etniche o di insularità o di particolare peso geo-demo-economico, si sente in genere ben rappresentata dal suo stato di appartenenza. La lontananza strutturale dell’Italia dalla Sicilia, il suo “peso” storico e geografico, la portata della sua Autonomia, fanno si che tale rappresentanza sia costantemente sacrificata e sentita come assai indiretta. Si è già detto del fatto che la rappresentanza parlamentare (rigidamente proporzionale in Italia, proporzionale al numero di votanti, notoriamente basso in Sicilia e certo più per disaffezione nei confronti della politica italiana che non per scarso senso civico, unita alla rappresentanza “ponderata” tra gli stati) porta al paradosso che i Siciliani quasi non hanno depurati a Strasburgo, certo non in proporzione al peso della loro società, né hanno alcuna istituzione comunitaria nel loro territorio.
La soluzione ideale sarebbe quella della separata partnership all’Unione, ma siamo consapevoli che l’Italia forse non accetterebbe una soluzione del genere ovvero opporrebbe una resistenza estrema.
Altra soluzione sarebbe quella dell’adesione all’UE come PTOM (paesi e territori d’oltremare), come la Groenlandia ad esempio; ma questo significherebbe da un lato una serie di vantaggi fiscali e doganali, dall’altro l’esclusione della Sicilia da un pieno processo di integrazione europea e l’imposizione di controlli su persone, beni e servizi che arrivano o che lasciano l’Isola che potrebbero creare o aggravare un senso d’isolamento.
La soluzione più praticabile sembra quindi un adeguamento dei trattati (o del trattato costituzionale) per tener conto della posizione istituzionale particolare della Sicilia e, pertanto:
- l’Italia rappresenterebbe in toto la Sicilia solo nel Consiglio Europeo; anche la designazione di eventuali membri della Commissione siciliani resterebbe affidata alla negoziazione interna tra Sicilia e Italia senza modifica dei Trattati;
- il Consiglio (dei Ministri) vedrebbe la partecipazione distinta della delegazione siciliana nelle materie devolute alla sua competenza con vota che non intacchi quello oggi complessivamente attribuito all’Italia; nelle altre materie la delegazione italiana rappresenterebbe anche gli interessi siciliani;
- la Sicilia dovrebbe avere gli stessi diritti di uno stato membro nella designazione dei membri della Corte di Giustizia e della Corte dei Conti;
- la partecipazione siciliana e italiana agli organismi rappresentativi (parlamento, Comitato delle Regioni, Comitato Economico e Sociale, eventuali altri … ) dovrebbe essere riponderata come se la Sicilia fosse uno stato a sé, attribuendo quindi alla Sicilia una rappresentanza pari a quella della Danimarca; la partecipazione italiana dovrà quindi essere ridotta ma in maniera meno che proporzionale;
- la vigilanza del Credito avverrebbe per mezzo di un’istituenda banca centrale siciliana secondo il principio dell’home country control; la stessa banca parteciperebbe al SEBC;-
- lo stesso principio dell’home country control dovrebbe essere esteso alla Sicilia come stato sovrano laddove esso è previsto dalla normativa europea (es. assicurazioni);
- la Sicilia dovrebbe essere sede di almeno un ufficio o un’agenzia dell’Unione (possibilmente in una delle due grandi città della Sicilia orientale).
Altra rivendicazione è quella che riguarda il ruolo di “Capitale dei Mediterraneo” per Palermo. Si puo’ partire dalla capitale siciliana come sede del COPPEM (organismo di scarso rilievo politico ed operativo).
Da questo primo nucleo si dovrebbe istituzionalizzarne la funzione di sede dell’integrazione euromediterranea ad ogni livello: politico, doganale, ecologico, … L’Unione (come eventualmente i suoi stati “mediterranei”) dovrebbe avere la propria delegazione permanente a Palermo insieme
ai rappresentanti degli altri stati rivieraschi (Euro-Med o no); si dovrà istituzionalizzare l’EuroMed trasformandolo in un’organizzazione internazionale con i suoi agenti e i suoi uffici. L’Italia deve spendere tutte le proprie energie per spostare in Sicilia il centro dell’integrazione euromediterranea se vuole rinsaldare una forte comunità d’intenti coi Siciliani in politica estera e quindi trasformare il presente accordo istituzionale in un equilibrio geopolitico realmente stabile.
Tratto dalla Carta Politica delle Rivendicazioni del Popolo Siciliano
L’ALTRA SICILIA – Bruxelles 2004