Libirta’ r’isprissioni – La Lingua Siciliana e’ lingua di cultura e di vita.
LA LINGUA SICILIANA E’ LINGUA DI CULTURA E DI VITA.
SI A UNA VERA LEGGE PER LA SUA TUTELA!
NO AI PASTICCI DELLA CATTIVA POLITICA!
Leggo su “La Sicilia” di oggi (8-9-2001) una pagina intera dedicata all’introduzione del “dialetto” nelle scuole. Da ventanni sono impegnato nella promozione della Lingua Siciliana e nella vana pressione sulle istituzioni perchè si approvi una vera Legge di tutela, essendo ormai la nostra l’unica regione storica d’Europa a non averne una: proprio l’unica!. Ora si vorrebbe colmare il vuoto vergognoso in modo che il buon senso giudica riduttivo, improprio, propagandistico. E poichè non intendo associarmi ai vari cori della propaganda vi propongo una breve riflessione e un piccolo saggio.
Quanti progetti scolastici di promozione del “dialetto siciliano” si finanziano con 500 milioni all’anno sapendo che un progetto standard fruisce di un tetto di spesa di lire 5 milioni? Ai tempi non ero un genio in matematica (avevo 9 in latino e italiano però, e ho imparato dunque la Logica). Il compitino lo giro a chi mi legge sapendo che con 100 progettini (su migliaia e migliaia di istituti!)non si “promuove” altro che qualche piccola “integrazione” a stipendi notoriamente tra i più bassi d’Europa: quelli degli insegnanti volenterosi che dovranno spesso inventarsi questi “progetti” dal nulla, non potendo manco ricorrere ad “esperti esterni” (la circolarina assessoriale regionale lo proibisce!).
Lo scorso anno ho collaborato gratuitamente con decine di insegnanti per la promozione della Lingua Siciliana nelle nostre scuole. Lo rifarò: o è vietato anche farlo gratis, da patriota siciliano?
Ecco, qui è il problema. L’Amore per la Patria…che spesso, a muta-a muta, abbersa e antuppa scaffi e purtusa che colonialismi e ascarismi d’ogni ordine e grado producono nella realtà siciliana: senza vittimismi e ormai senza manco un filo di rabbia. Amore per questa Terra. Amore gratis. Amore proibito?.
Quello che i tedeschi chiamano “Heimat”, gli inglesi “Household”, i sardi “Su Connotu”… esteso alla dimensione storico-geografica dell’Isola di Trinakria, questo intendo per “Patria Siciliana”.
La Patria Siciliana è un fatto d’amore… E’ patriota chi ama ed è disposto a rischiare qualcosa per la Terra degli Avi, consapevole che l’Anima del Mondo è il Cuore che batte nel Cuore di ogni Patria e chi ama la propria Patria non può che amare anche quella degli altri perchè la Canzone della Terra si nutre delle note rappresentate da ciascuna singola Patria.
Nella Tradizione dei Grandi Antichi, ci racconta René Guénon, l’Uomo autentico, Figlio della Terra e del Cielo, è il Terzo Elemento della Grande Triade, saldamente insediato nell’Invariabile Mezzo. Credo che l’idea di “Patria millenaria” abbia molto a che fare con questo “centro” della geografia sacra. E cosí le Lingue, i “relitti dialettali”, i suoni raccolti sulle antiche Vie dei Canti. E’ il respiro dei Grandi Antichi, il thymos che viaggia silenzioso nelle vene della Storia e anima la Psiche dei Popoli.
Nel Libro XI delle Metamorfosi di Apuleio, scrittore latino-mediterraneo del secolo II° d.C., i Siciliani vengono caratterizzati in quanto fedeli al culto della Grande Madre nelle forme di Proserpina Stigia e in quanto trilingui.
Quando Apuleio definisce il trilinguismo come carattere tipico dei Siciliani, in verità le Lingue dei Siciliani erano: il Siciliano del tempo, cioé una parlata siculo-sikana-ellenizzata, intelligibile per sua morfologia anche dal Latino; il greco di Eschilo, lingua letteraria da tutti compresa; nonché, come terza, piuttosto che il Latino, Lingua dell’ufficialità, della Lex, ma non parlata né compresa dai piú, credo sia utile collocare -sebbene come ipotesi di ricerca e circoscritta alla Sicilia occidentale- una persistenza della parlata punica, fenicio-berbera …
In verità, quando Apuleio scriveva il suo romanzo, nell’Isola di Trinakria Genti antiche e Lingue perdute comunicavano già da secoli: nei miti è custodita memoria di questi scambi, da Ulisse ad Eolo, da Oreste a Dedalo e Minosse…L’Isola di Efesto, che nella fucina dell’Etna forgia le armi degli Dei, catanannavu dei diavuleddhi labburiusi di cui scriverà con affetto il poeta Santo Calí, quest’Isola è “crocevia e crogiolo” da quando, al tempo dei ”Popoli del Mare”, la stirpe SKRS, gli Shekelesh, insieme ai Shardana (i Sardi nuragici) e ai T.R.S. (Tyrsa, Tirreni) dominava con le sue navi il Mediterraneo, trattando alla pari con l’Egitto dei Faraoni. I termini demotici dei ”Popoli del Mare” sono riportati in una Iscrizione egizia risalente al tempo dei faraoni Merneptah e Ramses III (XIV-XIII a.C.) (…).
Appartengono forse anche a questo sostrato molti tratti del Carattere Siciliano e, certo piú visibile, la gestualità comunicativa, il linguaggio del corpo che si fa teatralità… metacomunicazione, iconica, “analogica”, che integra la comunicazione verbale, numerica, “digitale”.
Il Siciliano non ancora plagiato dalla repressione della gestualità («non gesticolare! tieni ferme le mani!»…e cosí via colonizzando!) utilizza forme gestuali «che affondano le radici dei propri significati nei labirinti della sicilianità, risultando enigmatici e indecifrabili ai non siciliani…» (F.Oliveri, Gebardensprache der Sizilianer).
E poi gli occhi, cosa non si riesce a dire in Siciliano con gli occhi?! I nostri sguardi, a volte, valgono interi discorsi.
La nostra Lingua è il nostro Carattere, cosiccome si è plasmato nella materia di una vicenda storica plurimillenaria.
Nel porto di Siracusa, fino al tempo di Archimede, si parlavano piú lingue di quante non se ne siano parlate nel porto di New York all’inizio del Novecento. ..
Ma come parlavano «i Greci» quando misero piede, pacificamente, sulla costa siciliana?
Almeno quattro erano le Lingue dei greci fino al V secolo: il dorico, l’arcadico-cipriota, l’eolico e lo ionico-attico, che infine imporrà una sua centralità…
Secondo lo storico tedesco Holm, al tempo della grande spedizione ateniese contro Siracusa (415 a.C.) la Sicilia aveva 4.000.000 di abitanti: una popolazione da autentica “potenza demografica”!. Circa 2.200.000 erano quelli delle città siceliote (greche). Mentre i Siculi e i Sicani persistevano ancora oltre il milione e gli insediamenti fenici, da Palermo a Solunto a Mozia contavano 300 mila anime, e nelle Terre di Entella fioriva il piccolo e nobile popolo siciliano degli Elimi.
Il sistema-Sicilia, malgrado questa massa demografica, esportava grani in notevole quantità ed è certo che Siracusa ed Agrigento fossero anche città industriali (tessuti, ceramiche, oggettistica e utensileria in bronzo ecc.).
In questo caleidoscopico laboratorio etnolinguistico che fu la Sicilia classica, venticinque secoli fa si parlavano tante Lingue e tanti Dialetti: siculi e sicani, elimi e fenici, e qui troverà forgia e forme il “greco”, quello di Eschilo ed Euripide, che a migliaia ascoltano, nei grandi teatri siciliani. E sarà questa la Lingua in cui scriveranno, in piena dominazione romana, autori siciliani di rilievo come Diodoro, Cecilio di Calacte e Sesto Clodio (L.Pareti, La Sicilia antica).
La diffusione del latino non andrà mai oltre l’ufficialità in un’Isola -ridotta a nutricem plebis romanae (Cicerone, Verrine).
Intorno al 70 a.C. Verre amministrava in modo vessatorio la Sicilia per conto di Roma spremendola legalmente e anche illegalmente (Cicerone lo accusò in Tribunale di aver rubato 40 milioni di sesterzi!).
Secondo il demografo G.Beloch (La popolazione antica della Sicilia, Forni editore) i Siciliani si erano ridotti a 500-600 mila anime. (…)
Possiamo solo immaginare in quali condizioni le Lingue dei Siciliani sopravvissero per secoli.
E col Siciliano arcaico sopravvive la stessa Lingua ellenica che caratterizzerà il plurilinguismo siciliano nei secoli in cui l’Isola, con capitale a Siracusa, diverrà «thema», autonoma regione dell’Impero di Bisanzio, la seconda Roma, ultima fortezza d’Occidente di quei Romei (cioé “romani” d’Oriente, e non “bizantini” come erroneamente li chiamiamo) che trasmisero anche in Sicilia, attraverso scuole laiche e istituzioni monastiche, fino al secolo IX quando il testimone passerà all’insorgenza islamica, la complessa Tradizione dell’Occidente.
La curva demografica si inverte solo intorno all’anno Mille, con l’avvento nell’Isola di quella nuova forza storica mediterranea, gli Arabi, che si radicherà in Siqiliah, riequilibrerà il rapporto demografia-territorio con la fondazione di centinaia di villaggi agricoli e fornirà “modelli” anche allo sviluppo
linguistico, mentre, con la piú naturale tolleranza, nell’Isola si parlano, con l’arabo di Sicilia, anche il greco e quel Siciliano che si dimostrerà vivo come una spugna del Mar Bianco, poichè assorbirà e farà propri modelli e parole che ne rivivificheranno la forza espressiva.
Per dare un’idea di cosa fosse la Sicilia di mille anni fa riporto che l’attuale capitale dell’Egitto, Il Cairo, venne fondata dal grande ammiraglio Giawhar As Siqilli, il Siciliano. L’economia siciliana trovò nella cantieristica navale un vettore trainante e simbolico della sua nuova Età dell’Oro.L’Oro del Sudan, pagato in grano, il volano della potenza kalbita…
Se araba era la Lingua che si parlava nel Majlis al Xurta, il Consiglio della Comunità di Palermo in cui sedevano sharaf (nobili), sceik (capi clan), ulema (sapienti); il vocío del porto della capitale siciliana doveva proprio assomigliare a quello di Siracusa al tempo di Platone.
La Corte normanna, nel secolo XII, al tempo del Re Ruggero II, parlava francese (come quella di Torino, l’altro ieri, al tempo dell’Unità d’Italia!) ma le Lingue dei Siciliani (e le monete e gli atti pubblici, per quanto ne sappia) continuarono ad essere scritte in prevalenza con l’alfabeto arabo, come siculo-araba erano la cifra stilistica delle arti e il carattere della Cultura. E in arabo viene redatta l’opera di El-Idrisi, il geografo della corte di Ruggero II. Furono “una dinastia non araba ai vertici di uno Stato arabo”.
I “Nordici” (=Normanni) chiamavano Sicilienses tutti gli Arabi di Sicilia, mentre definivano Greci tutti i cristiani. Il criterio etnico è oggettivamente difficile da applicare ché ”antichi Elleni e Fenici si erano latinizzati, Latini si erano volti a Bisanzio, Greci e Latini si erano convertiti all’Islam, Arabi e Berberi si andavano accostando e assimilando ai nuovi venuti” (I. Peri, Città e campagna in Sicilia).
Per il prof.A.Varvaro, autore del prezioso Lingua e storia in Sicilia – il quale definisce la fase normanna decisiva nella formazione dell’attuale ”tipo siciliano, come sistema di vita, cultura, lingua”- saranno le Giudecche ebraiche a conservare piú a lungo e in forme integre la lingua araba di Sicilia. Mentre, “convertiti per necessità”, ancora “maggioranza demografica” almeno fino al 1150, spesso ai vertici dello Stato, i Siqilli scioglieranno lentamente la Lingua del Corano nelle parlate siculo-romanze, contaminandole di arabismi.
La crisi istituzionale causata da un logorante stato endemico di guerra civile a bassa intensità, la fitna, alimentato dalla giahiliyya, uno spirito di clan familiare la cui degenerazione innesca faide senza fine anche tra i vari kaíd locali, i piccoli “re di paese”, aveva prodotto la disgregazione dell’Emirato e l’inserimento “provvidenziale” in queste contraddizioni esplosive dei Cavalieri Normanni, i quali già nel 1072 si sono installati a Palermo. (…)
Il grande Re Ruggero II, padre del Regnum di Sicilia, definiva se stesso: «al-Mutazz bi-Llàh», cioè colui che esercita il Potere per Grazia del Dio, nella consapevolezza che le fortezze di oggi sono le rovine di domani: kullu shaíìn halikun illa uaghahu , tutto svanirà tranne il Volto del Dio (Corano,28,88).
Federico II, Re dei Siciliani e Stupor Mundi, nel XIII secolo fece della sua Palermo la capitale di un grande Impero, sebbene la Corte federiciana, in verità, fu una carovana in marcia…
Federico Ruggero II, cresciuto in una città intimamente siqilli, per ragioni politico-strategiche impone il ritorno dall’alfabeto arabo a quello latino, trasformando un popolo di alfabeti (nel periodo arabo, per motivi religiosi, l’istruzione era di facile accesso) in una massa di analfabeti… mentre, d’altro canto, per volere dell’Imperatore si aprivano, sul modello arabo delle madrase, le prime Università e la cultura letteraria della Corte federiciana, innovando e rigenerando la tradizione della Lingua Siciliana, in contrapposizione politico-strategica al Papato e al suo Latino ecclesiastico e settario, poneva le basi della Lingua italiana -come testimonia Dante nel 1305, a mezzo secolo dalla morte di Federico II nel De vulgari eloquentia.
Da allora, la Lingua Siciliana, dilagando intanto la “toscanizzazione”, diverrà poco piú di quello che è oggi: una lingua orale, privata…
Secondo alcuni studiosi, constatata l’impossibilità di poter imporre il francese come lingua unificante alle genti di Sicilia, Federico II trasferisce il centro di gravità del Regno dall’Isola multilingue al continente monolingue (S.Tramontana, in “Storia della Sicilia” vol.III). Ed è a Napoli che, per ragioni politico-strategiche, fonda l’Università.
Va rilevato, col Devoto, che la matrice reale della lingua letteraria italiana non è in ”quella specie di esperanto che il De vulgari eloquentia postulava…ma in quella montagna eccelsa che la natura ha foggiato, un uomo in preda all’estasi ha attuato, e i posteri hanno accettato, ammirando», la Divina Commedia…
A tocchi a tocchi la campana sona: l’ura do Vespru. È il 31 marzo dell’anno 1282 quando la Sicilia insorge contro gli Angioini (Francia) che, col sostegno del Papato, avevano occupato l’Isola soggiogandone le popolazioni. Per fare giustizia si usò la Lingua Siciliana come arma e il coltello come grammatica: l’Isola venne passata al setaccio da migliaia di rivoltosi che ponevano a tutti una domanda: ”dillu, CICIRI!”, dillo: “ceci”…L’angioino non riusciva a pronunciare quelle “c” se non come “s”.
La giustizia fonetica sentenziava: «MORA! MORA!»; la grammatica del coltello faceva il resto.
Dal secolo XIII e fino al 1443 (l’ultimo vero Re dei Siciliani, Martino II muore nel 1410) la Lingua Siciliana gode comunque di ufficialità, prestigio, riconoscimento. Fin quando il Re di Spagna Alfonso V° unisce la Sicilia e Napoli introducendo come ”lingua ufficiale” il Castigliano, mentre prende avvio la lunga “diffusione silenziosa” del Toscano che si pone come “polo idiomatico” alternativo al Siciliano. Le fonti (le raccolte del Testa e del Mongitore, citate da S.Di Marco,La questione della koiné) dicono che il primo documento statale scritto del tutto in Toscano è del 1526; l’ultimo redatto in Siciliano è del 1543.
Alla metà del Settecento, piú o meno al tempo in cui il poeta Micio Tempio scriveva in Siciliano la Carestia causata…monsignor Ventimiglia, popolare e coltissimo Arcivescovo di Catania, faceva stampare in Lingua Siciliana un libro di preghiere, le Orationi mattutine e pomeridiane. E lo faceva come fosse cosa normale. Nei salotti dell’epoca si parlava, in forme certo piú raffinate, la stessa Lingua che si poteva ascoltare alla Civita, nei borghi contadini della Piana o nei villaggi di pescatori della Jonica. …
Lo storico francese Fernand Braudel, nel suo Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, stabilisce un nesso tra struttura economica dei territori e differenziazione dialettale: ”Il Mediterraneo è disseminato di zone d’economie semichiuse, mondi piccoli o vasti organizzati per se stessi, con le loro innumerevoli misure locali, i loro costumi, i loro dialetti (…)La Sicilia, isola ricca, paga imposte per la costruzione di ponti stradali, ma il governo spende il danaro per altri scopi, cosí che l’interno siciliano non avrà strade efficenti prima del secolo XVIII. Ancora nel 1726 saranno garantiti privilegi a tutti i mercanti che si impegneranno ad aprir bottega nell’interno dell’isola. Non stupiamoci dunque se i panni di consumo popolare, nel secolo XVI, erano, come in Corsica, quelli fabbricati localmente”.
Questi “panni dialettali” non vennero sciacquati in…Arno, ma nel Fiume Oreto, che al tempo non era ancora stato ridotto nell’immonda cloaca che ogni palermitano ben conosce.
A Palermo, un gruppo di intellettuali raccolti nella prestigiosa Accademia degli Oretei, intraprendono il cammino della codificazione e rinascita linguistica, ma vengono ben presto colpiti dalla repressione del centralismo coloniale di turno: ”l’esempio” basterà per molti decenni a dissuadere dall’Azione gli uomini di cultura. Ciò malgrado la nostra Lingua si rivelerà ancora strumento creativo di grandi poeti, i quali ne trasmetteranno i suoni e i valori ai pochi fortunati che ne potranno fare tesoro.
Alla metà dell’Ottocento -un decennio dopo la sconfitta della Sicilia Indipendente del Quarantotto- accade che, col sostegno decisivo della Massoneria inglese e una “corruzione mirata” che svuota una intera cassa di piastre turche (moneta franca nel Mediterraneo del tempo) consegnata dagli inglesi a Garibaldi e Nievo- giunge, violenta e truffaldina, l’annessione dell’Isola (e del suo “Banco”) al Regno dei Savoia, la cui “politica linguistica” si impernia fin da subito sul principio ”cuius regio, eius lingua”. Ed è già tanto se al posto della Lingua italiana -che almeno è cosa nostra- non ci imposero il francese o, magari, il piemontese!.
Le drammatiche condizioni di analfabetismo, che perduravano ormai dalla fine del luminoso periodo islamico, paradossalmente, “proteggeranno” la Lingua Siciliana negli strati popolari, condannandola però a quello che sarà nel nostro secolo: una Lingua sempre piú povera, privata di prestigio sociale, perseguitata in modo aperto durante il Ventennio fascista e in modo subdolo negli anni della Prima Repubblica.
Ecco alcuni episodi di questa guerra coloniale dello Stato centrale contro le Patrie regionali:
22 settembre 1941, velina del regime: ”I quotidiani, i periodici e le riviste non devono piú occuparsi in modo assoluto del dialetto”, mentre cosí si legge nel Decreto del Presidente della Repubblica n.503 del 24 giugno 1955: è fatto divieto all’insegnante elementare di rivolgersi in dialetto al discente e si concede soltanto di non assumere un atteggiamento arcigno limitatamente ”alle prime spontanee espressioni dialettali degli alunni”. Ecco, anche se non lo sapevamo, siamo cresciuti in queste scuole che reprimono tuttora la Cultura della nostra Patria, la Patria Siciliana imponendo una Lingua ”piú omogenea al sistema industriale che è un sistema ad alta funzionalità essenzialmente linguistica…”. E’ appena il caso di rilevare che questa azione devastante non sarebbe stata possibile senza lo sconvolgimento demografico (emigrazione coatta sud-nord) degli anni ’60-’70 e, soprattutto, senza la rivoluzione televisiva giunta ormai nella fase della putrefazione e del delirio. E’ appena il caso di notare che il “Popolo Siciliano”, in quanto tale, non ha al suo servizio scuole, giornali, televisioni, opinion leader…cosiccome non ha partiti regionalisti, sindacati popolari, associazioni di massa, capaci di proiettarlo al di là dello Spettacolo neocoloniale. La Lingua Siciliana muore insieme all’idea stessa di Popolo Siciliano. La Patria Siciliana sopravive come Luogo dell’Anima: da questo Luogo occorre riprendere il Cammino della Lingua e del Popolo nella Storia.
Intanto, in mezzo secolo l’ARS si occupa di Lingua Siciliana solo una volta, il 6 maggio del 1981, per approvare una leggina, (la n.85, G.U.R.S., parte I, n.23 del 9/5/1981) che degrada ufficialmente la nostra Lingua a “il dialetto” e la relega tra le “attività integrative e facoltative delle scuole della Regione”. Ben poca cosa, si dirà. Ma il peggio è che neanche questa leggina stitica ha trovato una decente applicazione, mentre viene burocraticamente emanata, di tanto in tanto, una circolarina dell’Assessorato regionale alla Pubblica Istruzione in cui, con fondi irrisori, si “permette” un minimo di attività didattica “sul dialetto”… che comunque ”Terra e LiberAzione” ha sostenuto verificando anche lo stato di degrado dell’intero sistema scolastico.
Delegittimata dunque e, di fatto, negata a livello ufficiale, ignorata perfino nella recente positiva ”Legge di Tutela delle Lingue minoritarie dello Stato Italiano” (nel novembre 1999, a Roma, neanche un deputato siciliano ha avuto nulla da dire, nè ridire!), la Lingua Siciliana è resa di fatto invisibile dalle Istituzioni regionali che contribuiscono -insieme a tv, giornali ecc- alla strutturazione di un senso comune predisposto all’automutilazione culturale, all’inciviltà, all’imbarbarimento.
La prima grande Riforma economica di cui ha bisogno il sistema Sicilia è di natura morale e intellettuale. Il primo vero problema della Sicilia è l’incultura etnoidentitaria dei suoi ceti dirigenti, la “sceccaggine” (l’asineria) elevata a cultura di governo. Non possono prenderci in giro dicendo che con 500 milioni si affronta la questione dell’identità linguistica dei Siciliani. Qualcuno deve dire: STOP!.
Mario Di Mauro
direttore di “Terra e LiberAzione-Voce della Patria Siciliana”