Statuto Siciliano: Blocchiamo lo scempio
“Può sembrare strano, ma nell’Italia del 2005 esiste una strana perequazione dei redditi al contrario: una parte cospicua dell’imposizione sui redditi prodotti in Sicilia, regione tradizionalmente meno ricca rispetto alla media nazionale, affluisce alle finanze erariali tradendo il dettato dello Statuto Siciliano che aveva pensato ad un’architettura “finanziaria” leggermente diversa.”
Ben sapendo che gran parte delle impese “nazionali” ponevano la loro
sede legale al di fuori dell’isola, il Costituente, per dare concreta autonomia
finanziaria alla neonata Regione, non pensò di dotare banalmente la Regione
delle imposte erariali “riscosse” in Sicilia, ma di finanziarne le
spese (sia quelle proprie sia quelle da trasferire agli altri enti, locali e
non, presenti nell’Isola) attraverso due canali principali: – le imposte “proprie”,
cioè vere e proprie imposte diverse da quelle istituite sul Continente,
regolate da leggi regionali, accertate dall’amministrazione regionale, proprio
come se sull’Isola fosse istituito un sistema tributario autonomo; – la devoluzione
alla Regione dell’imposizione sui redditi prodotti da quei “rami d’azienda”
di imprese che avevano fuori dalla Sicilia la loro sede.
Il sistema progettato era quanto mai equo: nulla si chiedeva, almeno in questi
due grandi canali, allo Stato, solo di poter gestire il proprio fisco in maniera
autonoma come la stessa natura insulare di questa “Regione” richiedeva
da sempre in nome di un elementare principio di sussidiarietà. Ebbene,
da 59 anni queste previsioni sono ancora lettera morta! All’Italia è
convenuto non dare alla Sicilia ciò che le spetta per diritto costituzionale
per poi darne, sotto forma di elemosine da trasferimenti, qualcosina sotto forma
di “graziosa concessione” a noi poveracci incapaci di produrre alcunché.
Il primo canale è stato “ammazzato” con sentenze della corte
costituzionale che, per la loro inciviltà giuridica, griderebbero vendetta
davanti ad una corte internazionale: in sostanza la Sicilia potrebbe istituire
tributi propri solo quando le è concesso da Roma, senza discostarsi dalle
norme nazionali in maniera significativa, o, meglio, istituendo “tributi
aggiuntivi” rispetto a quelli erariali. Un esempio di scuola di “interpretazione
abrogativa” della legge. Il secondo canale semplicemente non si è
attuato. Così! Senza rendere conto a nessuno!
Finalmente due anni fa si era raggiunto un accordo con lo Stato per la sua
applicazione, strombazzato dall’attuale Governo Siciliano, ma … anche l’accordo
attuativo è rimasto lettera morta perché lo Stato italiano oggi,
in pratica, non ha i soldi per attuarlo… E allora? Allora niente! Aspettino
fiduciosi i Siciliani che forse tra altri 59 anni questi fondi l’erario italiano
li troverà. Nel frattempo l’economia e la società siciliana vanno
a rotoli… Nel frattempo un quotidiano che si vuole “di Sicilia”
titola la notizia “Alla Sicilia le imposte delle aziende del Nord”,
dando un’informazione del tutto servile e fuorviante rispetto alla realtà:
fuorviante perché del Nord c’è solo la sede legale delle imprese
e non anche la materiale produzione del reddito e furoviante perché alla
Sicilia non arriva un bel niente.
Adesso pare che, nel c.d. nuovo statuto, vero capolavoro giuridico di una classe
politica inqualificabile, le elemosine abbiano trovato una loro legittimazione
formale perché accanto ai “tributi propri”, destinati a restare
“coreografia” dello Statuto, vengono istituzionalizzati i “tributi
erariali riscossi dalla Regione”, dando così una mazzata definitiva
all’autonomia finanziaria della Sicilia. Ognuno ha la classe politica che si
merita, almeno così si dice… Ma siamo davvero così deboli da
sopportare qualsiasi ingiustizia a nostro danno? L’Altra Sicilia, associazione
a tutela degli interessi della Sicilia e dei Siciliani al di qua ed al di là
del Faro, coglie l’occasione da questo ennesimo scandalo per pubblicare, a puntate,
un commento sul “nuovo statuto” che, col pretesto di innovare quello
“Vecchio” che non si ha mai avuto il coraggio di applicare, mira all’obiettivo
di annullare la specialità della Sicilia e ricondurla a “provincia
d’oltremare” dell’Italia. Forse siamo ancora in tempo per bloccare lo scempio!
Bruxelles, 29/03/2005″