Sulla politica finanziaria della Regione Siciliana
Bruxelles, 10 Dicembre 2004
L’Altra Sicilia, associazione di Siciliani all’estero ed in Sicilia,assiste con preoccupazione come tutti i Siciliani allo spettacolo poco dignitoso con cui il Parlamento Siciliano sta in qualche modo varando la manovra finanziaria per il 2005.
Prescindendo da aspetti tecnici che non potrebbero essere discussi nel breve tratto di un comunicato stampa, ci sembra che i termini del problema siano i seguenti.
L’autonomia finanziaria prevista dallo Statuto e mai applicata nella versione integrale è un’autonomia coraggiosa, non un’autonomia delle elemosine.
In breve il sistema (che quasi nessun Siciliano conosce) sarebbe questo: sul fronte dell’Entrata, tranne poche imposte residuali, lo Stato Italiano non avrebbe nessuna competenza sul territorio siciliano dove la Regione (a mo’ di un vero Stato) delibererebbe in modo sovrano le proprie imposte, sia quelle proprie sia quelle degli enti locali; sul fronte della Spesa, tranne un fondo di solidarietà nazionale destinato a recuperare il gap infrastrutturale e parametrato alla minore ricchezza relativa dell’Isola rispetto al Continente, la Sicilia “farebbe da sé”, garantirebbe direttamente ai propri cittadini la quasi totalità dei servizi pubblici, ancora una volta direttamente o per mezzo degli enti locali, senza chiedere nulla allo Stato.
Resta inteso che non è vietato allo Stato di esercitare spese “concorrenti” a quelle della Regione per servizi di interesse nazionale, ma esse non sono per così dire “dovute” e resta inteso che i servizi la cui esecuzione lo Stato delega alla Regione (statutariamente in potenza tutti, con eccezione implicita delle forze armate e della magistratura) devono essere delegati in uno con le risorse necessarie al loro mantenimento.
Si tratta di un quadro molto semplice, che non abbisogna di specializzazioni in Scienza delle finanze per essere compreso. Forse però questo quadro di riferimento avrebbe bisogno di due piccoli correttivi per essere funzionante in un contesto economico ed istituzionale assai diverso da quello originario quale è quello attuale.
Infatti:
– l’attribuzione delle accise allo Stato italiano era precedente la scoperta dei giacimenti di idrocarburi; risorsa questa vitale per la Sicilia di cui è giusto che la relativa tassazione resti nell’Isola (anche per eventuali detassazioni ai residenti che diano propulsione all’economia locale);
– l’attribuzione di quasi tutta la potesta normativa alla Regione era precedente alla CEE (e all’attuale UE) in cui le imposizioni indirette (l’IVA essenzialmente) sono livellate per creare un mercato unico europeo di beni e servizi; per tale imposta, quindi, appare opportuno che la normativa resti quella italiana, ma devolvendo il gettito “opportunamente calcolato” (in funzione delle transazioni e non come avviene oggi in funzione della sede legale delle partite IVA) alla Regione;
– infine la perequazione del fondo di solidarietà nazionale è precedente l’instaurazione del moderno welfare state e quindi andrebbe integrata con alcuni fondi perequativi relativi ai diritti minimi di cittadinanza (essenzialmente la sanità, l’istruzione e l’accollo dell’onere del “precariato”).
Con questi correttivi minimi il sistema del 1946 è tutt’altro che obsoleto! La Sicilia avrebbe già le risorse per fare da sé, creando anche una fiscalità di vantaggio per cittadini e imprese, e nel breve termine, con quest’ordinamento, recupererebbe anche il divario rispetto al resto d’Italia non chiedendo più niente a nessuno.
Quando si sente dire in giro lo slogan “Sicilia, zona franca!”, si pensa al delirio di qualche sognatore, si pensa che si voglia fare della nostra Isola una terra senza legge in cui tutto è permesso e simili indegnità…
Nella realtà quello slogan potrebbe voler dire, tradotto in provvedimenti normativi concreti, soltanto “Applichiamo lo Statuto!” nei termini sopra ricordati; e lo Statuto – ricordiamolo – è parte integrante della Costituzione Italiana.
C’è però da sessant’anni circa una strana alleanza tra “Siciliani” (indegni di portare tale nome) che vogliono vivere di elemosine e “Italiani” che ci vogliono far vivere di elemosine, sotto un’apparenza di solidarietà nazionale.
Lo Statuto è stato applicato finora attribuendo alla Regione la totalità del gettito “riscosso” (nemmeno di quello realmente prodotto) nell’Isola, strettamente secondo le normative nazionali; quando la Regione ha voluto fare da sé la Suprema Corte ha risposto che la sua autonomia consisteva nell’aggiungere altri balzelli a quelli italiani (verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere; ah, se non ci fossimo fatta togliere l’Alta Corte!); in più si sono dati alla Regione i finanziamenti più vari a vario titolo per farli sperperare in consumi improduttivi in cambio di voti. Le funzioni dello Stato sono state delegate alla Regione solo in minima parte e, con le sue non poche risorse, la Regione ha assunto dipendenti, ha finanziato enti più o meno inutili, è stata complice nel saccheggio della Sicilia, nella distruzione, almeno in relativo, della sua struttura produttiva e dello strangolamento sul nascere di iniziative nuove.
Adesso però la pacchia è finita. La cassa è vuota.
Lo Stato italiano che, con l’assistenzialismo ha spento i fuochi di orgoglio isolano che nel dopoguerra gridavano all’autogoverno, adesso ci dà lo sfratto. Non ne vuole sapere più di questi Siciliani piagnoni e privilegiati. E, detto fra di noi Siciliani, era anche ora, sebbene in ogni cosa ci voglia gradualità.
Nella stagione contingente, per una manovra dal sapore propagandistico che non intendiamo commentare più di tanto, il governo italiano diminuisce il gettito di alcuni tributi di maggiore visibilità (per poi magari aumentarne altri, o aumentare tariffe, ma questo non interessa più le finanze regionali…).
Questa manovra ha un effetto immediato e negativo sulle risorse della Regione come è facile capire.
La Regione come reagisce?
Con misure strutturali?
Rivendicando la piena autonomia finanziaria?
Avviando un necessario risanamento sul fronte della Spesa?
Neanche per sogno! Con misure una tantum che per audacia fanno impallidire quelle del Governo romano. Si è arrivati persino alla sanatoria a favore di chi occupa beni pubblici (il demanio e il patrimonio indisponibile dello Stato in Sicilia sono, per Statuto, regionali con poche eccezioni). Cioè si coprono le spese con entrate eccezionali, che diminuiscono la ricchezza dell’azienda della Regione e che comporteranno per gli enti locali maggiori spese nei prossimi anni. Complimenti!
Bisogna uscire al più presto da questa spirale perversa. Qualcuno avverta i nostri politici (o politicanti?) che la Prima Regione è morta da un pezzo, che non bastano i favori agli amici per governare, o altrimenti fra qualche anno sarà troppo tardi, forse è già troppo tardi.
Che fare allora?
Soprattutto se lo Stato e i poteri forti italiani non ci concedono l’applicazione integrale dello Statuto?
O se ne minacciano un’applicazione integrale, repentina e senza correttivi come deterrente per chi pensasse di voler fare da solo dall’oggi al domani?
Non c’è che una strada, e questa strada non sarà indolore:
– sul fronte dell’Entrata aprire un continuo contenzioso con lo Stato sul gettito dei vari capitoli: ci avete voluto a finanza derivata? non vi daremo pace…
– sempre sul fronte dell’Entrata combattere in prima persona l’evasione fiscale: le “tasse” – va detto – prima si pagano, si pagano tutte e si pagano tutti, e poi si riducono..
– sul fronte della Spesa razionalizzare e moralizzare la voragine della spesa regionale e degli enti locali prendendo ad esempio altre amministrazioni “virtuose” per ridurla progressivamente, soprattutto nella parte corrente.
– sempre sul fronte della spesa qualificare al massimo le spese che creano infrastrutture, materiali ed immateriali, a supporto dello sviluppo.
– infine sfruttare al massimo i finanziamenti europei disponibili.
Se si intraprenderà questa strada si sarà fatto solo un primo passo nella giusta direzione. Ma ciò non sarà sufficiente a toglierci da questa condizione di disagio strutturale.
L’unica vera soluzione è l’autonomia finanziaria quasi totale disegnata dalla Nostra Carta Costituzionale; solo con quella si potranno nel contempo raggiungere gli obiettivi di ridurre sensibilmente un carico fiscale incompatibile con l’economia della Sicilia, sburocratizzare e alleggerire il “pachiderma” pubblico non per distruggerlo ma per focalizzarlo sui settori più importanti, rilanciare la produzione, attirare gli investimenti, dare impulso all’innovazione e garantire servizi ai cittadini degni di un paese civile.
Massimo Costa –
L’Altra Sicilia – Palermo