Analisi della farsa europea
Finalmente si è chiuso lo strazio della campagna elettorale – e delle piazze farlocche – e i risultati che ne sono venuti fuori hanno dimostrato la scarsa qualità dell’elettore italiota, inaffidabile anche nelle piazze,oltre che nei sondaggi e la sua incapacità di discernere il momento per acquisire importanza e dare valore e visibilità al suo voto.
Non poteva essere una elezione importante semplicemente perché le elezioni del parlamento europeo, nonostante il gran battage di fondi e di mezzi impiegati – grazie Europa – non sono mai state determinanti né considerate nella loro valenza e soprattutto perché questi sono sempre stati voti inutili per eleggere un’ istituzione oltremodo inutile, senza poteri, stritolata tra la Commissione burocratica che propone la legislazione e il Consiglio che la approva.
Forse bisognava restare agli anni iniziali, ai delegati dei Parlamenti nazionali.
Innanzitutto si sarebbero risparmiati un sacco di soldi e prebende e poi c’era almeno l’illusione che i delegati appunto, qualche spinta interessata e da esperti avrebbero pure potuto darla.
Invece, Tertium non datur appunto, il Parlamento europeo come il terzo incomodo tra Commissione e Consiglio, che incomodo non è perché retribuito, remunerato e perennemente convinto di contare qualcosa.
I votanti dicevamo, non hanno capito la posta in gioco, o meglio l’hanno travisata, manipolati dai politicanti in cerca di sicurezze personali e hanno continuato la vecchia cerimonia dell’eletto inutile, il De Mita di turno, il politico suonato o in cerca di sicurezza economica e ne sono rimasti fregati.
Non poteva essere altrimenti visto il livello delle discussioni e delle interviste che i media asserviti hanno ritrasmesso. Nessuno che abbia dimostrato di conoscere l’apparato europeo, il processo decisionale che avrebbe dovuto interpretare se eletto, la differenza, terra terra, tra istituzione o organismo,o intervenire nel triloquio Istituzionale.
Eppure a Bruxelles non si incontrano i politicanti più disparati ma, soprattutto con gli allargamenti recenti,diverse concezioni di società, quindi di politica, socialità e civiltà. Modi di intendere l’Unione europea non più come facevano i “padri fondatori”, come possibilità di sviluppo e futuro dei popoli, ma come opportunità per il proprio popolo, come la intendono ora i nuovi Stati membri che sono usciti dal capestro dell’economia statale e sono entrati in quella di mercato, con la differenza che ora quel mercato è diventato immenso, globalizzato e troppo incombente per Stati che del mercato hanno così poca esperienza.
Ormai sembra assodato che nella costruzione perennemente interrotta di questa Unione, il processo federalista sia quello vincente, e questo avviene in silenzio, subdolamente nonostante, come nel 2005, stati importanti come Francia e Danimarca ma poi anche Irlanda abbiano posto un netto rifiuto al Trattato di Lisbona. Federalismo vuol dire che gli Stati nazione devono forzatamente cedere le loro sovranità (la moneta è cosa fatta) cancellare le loro tradizioni, lingue, confini, le loro eccellenze in un calderone di decisioni legislative che, per premiare un super stato che pero’non esiste, colpiscono agricoltura, artigianato e piccole e medie imprese degli Stati membri più dotati, piegandoli alle spire di una globalizzazione selvaggia e malintesa a livello d’Europa.
Queste potevano essere elezioni importanti non per cambiare le politiche europee o uscire dall’euro come erroneamente si è detto, cosa che peraltro non può farsi sic et sempliciter, ma per dare un segnale forte di riappropriazione di sovranità nazionale, come è successo invece in molti Stati europei ora additati come cattivi alunni, un segnale di orgoglio e di identità perduta nel momento in cui le banche fanno il bello e il cattivo tempo, decidono il fallimento degli Stati nazione,delle imprese più radicate, funzionano come lobbies finanziarie e non come istituti di credito, nel momento in cui la disoccupazione specialmente giovanile viaggia su livelli mai raggiunti, nel momento in cui di delocalizzano fabbriche storiche, nel momento in cui è già avanzata la discussione sul dialogo transatlantico, l’accordo con gli USA che non solo assassinerà le economie languenti del continente europeo ma inonderà il territorio comunitario di prodotti americani fabbricati senza cautele sociali e per di più a prezzi sostenuti da un dollaro volutamente debole, ci inonderà di ogm, di mais transgenico, di porcate americane che saremo costretti a immettere nei nostri cicli produttivi e pure a consumare con l’accordo finora indisturbato dei burocrati europei, ma non degli Stati nazione.
Gli Italiani non hanno capito di avere in mano il gioco vincente, il poker d’assi nel gioco delle riforme necessarie, ma hanno scartato un asso e si sono incartati.
Ora l’Europa, e il suo Parlamento, nonostante i Paesi ribelli, continuerà a vivere nella condivisione e nell’alternanza tra PPE e PSE, guarda caso i principali interpreti del potere massonico e bancario.
Certo il dibattito nazionale sarebbe restato pregnante se si fosse discusso di situazione interna, purtroppo neanche a questo sono servite queste elezioni vissute sugli scambi Renzi e Grillo e i cittadini italidioti hanno premiato Mr Bean che ora si vede un lungo periodo di predominanza, con l’unica opposizione rappresentata da Grillo, a cui sembra essere sfuggita la rete, e da un vecchio signore che ancora non ha capito di aver concluso il suo cammino politico.
Gli italiani non sanno votare ed è dimostrato. Ma che dire della Sicilia, bistrattata, offesa ma, a risultati conosciuti, mazziata e contenta..?
Come si può votare la Lega di Salvini, qui nei luoghi che ancora risuonano del grido Forza Etna? ma come si fa a consentire al partitino di Alfano di raccogliere i voti necessari, proprio qui in Sicilia, per ottenere il quorum per la rappresentanza?, ma come si fa, e questa critica non per malcelato campanilismo ma semplicemente per il fatto che 5 milioni di elettori siciliani a fronte dello scarso milione di sardi sono stati capaci di consegnare la loro rappresentanza proprio ad un sardo?, come si fa, come hanno fatto a Messina i giovani “nuovi”, a sfilare in campagna elettorale, già aderendo a Fratelli d’Italia un controsenso nella terra violentata da Garibaldi e gli italiani (leggere la Storia), ma soprattutto a sventolare il tricolore come un must per richiedere il voto ai siciliani?
Molto resta da fare e mentre la rabbia ci assale, monta la convinzione di avere sprecato almeno la metà del tempo che ci resta senza essere riusciti a dare dignità, orgoglio di appartenenza ne’ desiderio di libertà alla Terra Impareggiabile.
eugenio preta