Non è conservatorismo ma buon senso

Nel corso del nostro Novecento, – almeno per quel che ci riguarda, nella sua parte conclusiva – l’Occidente ha consolidato (certo dopo due grandi tragedie dell’umanità, ma anche dopo lotte e rivendicazioni sociali, miracolo economico, rivolte post-industriali e periodi di protesta antisistema, e mi riferisco al nostro ’68, alla nostra ipotesi di rivoluzione soffocata) quegli Stati Nazione che queste tragedie avevano vissuto ma anche utilizzato per affermarsi e legittimarsi nel panorama internazionale.

La democrazia occidentale, fiore all’occhiello di questo continente, il potere del popolo con tutte le sue accezioni positive ma anche negative, si è affermata con il consolidamento del moderno concetto di Stato nazione.

Su questi assunti, Paesi che si era scambiati guerre e occupazioni (ricordo la veglia armata sul Reno, die wacht am Rhein) decidevano di mettere insieme le loro produzioni industriali, di coordinare quindi i bisogni ed i consumi dei loro cittadini per dare vita a quella Comunità del Carbone e dell’Acciaio antesignana dell’odierna Unione Europea. Il resto è attualità che il tempo ha consolidato in Storia.

L’attualità pero’ vive ancora le contraddizioni di questo grande continente, questa unione di grandi potenze economiche egemoni, che è giunta al bandolo della matassa, al resoconto finale, come un albero senza frutti, rimasto corteccia, neanche foglia.

Questa Unione infatti ha sviluppato solidarietà, ma ha imposto regimi sociali ferrei per la tutela dei diritti dell’uomo ormai misura e limite di ogni intervento sopranazionale, determinando pero’ la fine dello Stato sociale, una volta riparo alle traversie delle economie;
– ha aperto i suoi mercati ai paesi emergenti del terzo e quarto mondo, aiutandone lo sviluppo e alleviandoli pure dalle regole che invece venivano imposte alle produzioni e alle imprese interne, con la conseguenza pero’ di aver distrutto nel tempo le eccellenze agricole, artigianali e imprenditoriali europee; ha tentato di indossare panni politici ma, con un travisato senso del possibile, si è allargata a nord e ad est, riportando certamente nell’alveo continentale europeo paesi che il regime comunista aveva isolato dal dopoguerra, ma lo ha fatto senza aver allineato agli standard già consolidati dei Paesi fondatori democrazie ancora balbuzienti ed allo stato embrionale;
– è riuscita alla fine a creare soltanto un immenso mercato interno, una grande area di libero scambio di merci servizi e persone, regolato da direttive che si sono rivolte solo contro le produzioni interne;
– si è inventata una moneta unica, sciagurata per la furbizia di taluni, senza avere pensato minimamente di creare politiche economiche comuni necessarie al supporto di questa moneta fittizia;
– ha sciolto nelle spire di potenti lobbies bancarie e logge massoniche “l’andare riformando”, l’adagio caro ai padri costituenti. E, cosa più grave, ha preteso la legislazione comunitaria come diritto primario, ha cancellato la sovranità degli Stati, privandoli tra l’altro della potestà di fabbricare moneta e ha inventato metodi e sistemi di controllo dei bilanci nazionali affidandoli a una pletora di burocrati in deficit di democrazia che, per di più, agiscono come governo esecutivo.

Adesso siamo diventati tutti cittadini d’Europa (chissà perché mi ritorna in mente … “ragazzo dell’europa… che terra più non hai..) le Istituzioni europee hanno impresso un’accelerazione all’istituzione della cittadinanza europea, una rivoluzionaria proposta rimasta nelle pero’ intenzioni (io cittadino italiano, in Francia, Belgio, Lussemburgo o altro, devo possedere un titolo di legittimazione che mi permetta di circolare in quel Paese, altro che cittadino europeo…, la prova provata che questa cittadinanza europea tanto sbandierata è ancora lontana e rimane un imbroglio, l’ennesimo, di questa costruzione artificiale intesa ad infondere un senso di appartenenza sovranazionale cancellando lo Stato originario. Processo inattuabile al momento perché risulta evidente che solo uno Stato Nazione possa essere in grado di realizzare quell’identità collettiva che consente processi legislativi e progetti politici che sono propri della cittadinanza in senso stretto, arduo il pensare che un’entità sopranazionale possa riuscirci con successo.

Finora l’’idea di Stato si è sempre anteposta a quella di etnia e il concetto di cittadinanza non ha mai sostituito quello del sangue; appare quindi importante ridefinire l’identità.

Ma se la filologia moderna parla di identità, questa “nostra” Europa l’identità ha cercato di diluirla, proprio per creare un cittadino neutro, senza spina dorsale alla fine, permeabile alla ricercata disumanizzazione della società contemporanea occidentale, voluta dalla globalizzazione.

La storia del continente europeo non è stato frutto omogeneo ma il risultato di differenti ibridazioni dovute a guerre, occupazioni, lotte interne che il tempo ha consolidato in una monocultura che non deve risultare come termine negativo, ma come rafforzativo del concetto di identità. Monocultura che oggi appare sotto attacco sia della globalizzazione sia dei poteri forti che in questa monocultura occidentale trovano seri ostacoli all’attuazione del loro potere e operano per scardinare quel sistema di valori consolidati ed imporre modelli a loro più’ favorevoli.

Quando si cerco’ di dotare di una Costituzione questa costruzione europea, tentando così di forzarne l’originario monoculturalismo, ci si blocco’ davanti alla definizione delle origini di questa Europa.
E’ sintomatico che I poteri forti cercarono di negare ad esempio le radici cristiane, pronte anche a ripudiare il contributo del pensiero laico, liberale o finanche giacobino pur di scardinare quel monoculturalismo identitario e sostituire finalmente allo Stato etico lo stato etnico, sostituendo alla identità nazionale fondata sull’omogeneità culturale, un’identità etnica, con basi più o meno artificiose.

Ma lo stato etnico che il federalismo livellante vuole imporre ad ogni costo è un contro natura, non è conforme ai concetti di democrazia, cittadinanza, diritti umani che appartengono alla cultura occidentale che pur vive pero’ i paradossi degli interventi in Libia, Egitto, Iraq o Afghanistan. Ma questo non significa che l’Occidente viva una crisi di identità; vuol dire soltanto che i nemici di questo Occidente si sono armati e coordinati per attentarne integrità e relativa identità.
Allora tocca ai cittadini respingere nuove proposte di identità e nuove accezioni allo Stato etico, rivalorizzando il vecchio Stato Nazione o le Piccole Patrie come la nostra Sicilia, tenendo ben presente che il salto nel vuoto a cui vogliono convincerci i paladini di un nuovo stato etnico più attinente e consono alla globalizzazione selvaggia in atto del mondo, potrà essere rintuzzato soltanto disegnando un progetto di futuro che parta e non rinneghi il radicamento nel passato e possa rivalutare così la nostra identità occidentale. Non è conservatorismo ma buon senso.

Eugenio Preta