La Rivoluzione dal basso: I Comuni e il Popolo Siciliano hanno uno strumento a portata di mano
Quando si parla delle possibilità che avrebbero i Siciliani di prendere in mano il loro destino pretendendo, senza alcun indugio, i diritti costituzionali che spettano loro e che sono sempre negati, dall’art. 37 all’Alta Corte, a tanto altro ancora, quando si parla di usare questi diritti per spezzare le catene del sottosviluppo e – a che ci siamo – anche dell’assurda austerità eurocratica con cui non cresce neanche l’erba, la risposta dell’uomo della strada è sempre la stessa, e non del tutto insensata.
A che serve avere questi diritti? A chi dovremmo affidare poi questa Autonomia? A quegli stessi che nella migliore delle ipotesi mai l’hanno usata, e che, quando l’hanno fatto, lo hanno fatto in genere a fini clientelari, e quindi nel peggiore dei modi?
L’obiezione non è infondata, anzi – diciamolo chiaramente – è sostanzialmente corretta. Ora non mi interessa fare polemica tra questo Presidente, il precedente, quello ancora prima, chi era migliore o meno peggiore, e così via. Il fatto è che la politica siciliana ormai è ingessata su questioni di piccolo, piccolissimo cabotaggio. Ormai c’è una coperta troppo corta. Lo Stato, su comando europeo, taglia le gambe alle Regioni, si “frega” le risorse tributarie siciliane che ci spettano per Statuto e per decreti attuativi (quelli che ci sono, meglio di niente). La Regione, a sua volta, è costretta (oddio, potrebbe anche reagire, ma lasciamo perdere) a gambizzare i Comuni, i quali sono ormai tutti virtualmente falliti, a prescindere dalla buona o cattiva condotta dei singoli amministratori.
Per favore, non parliamo più solo di mafia-corruzione-burocrazia come dei mali tipici della Sicilia. Non perché non ci siano, ma… ci sono sempre stati e non avevano certo questi effetti. E poi non sono per niente “tipici” della Sicilia. Per non trovarli, o trovarne sensibilmente meno, dobbiamo per lo meno varcare le Alpi e certamente in tutto il Centro-Sud troveremmo condizioni assai peggiori, e comunque indistinguibili da quella siciliana almeno fino a Milano inclusa. È quindi un falso problema, un mezzo di “distrazione di massa”, per farci piangere addosso e restare fermi. E noi non possiamo stare fermi, ché così si muore.
Che fare allora? Neanche a me basta più dire “se non piace questa classe politica, cambiamola, col voto”. Equivale a spostare il problema in avanti nel tempo, in avanti a tempo indefinito, quando sappiamo come si controllano i voti politici e come sia difficile cambiare equilibri radicati. Nel frattempo la Sicilia muore.
Ma una risposta c’è. A portata di mano. Quando vogliono i Siciliani la Rivoluzione possono farla per davvero! E ancora una volta la risposta parte dalle pieghe dello Statuto Siciliano, questo sconosciuto!
Tutto però deve partire dai territori, e in particolare dai Sindaci. I quali devono decidere da che parte stare: dalla parte delle burocrazie di partito, magari per fare carriera da senatore o da ministro, ovvero dalla parte dei Siciliani? Su, coraggio, sindaci, presidio ultimo di una democrazia morente! Fatevi coraggio! Non avete ormai quasi più niente da perdere se non la faccia con i vostri concittadini. Siete senza una lira, siate almeno eroi! Se non ora, quando?
Come? Se tutto il potere è a Bruxelles, Francoforte, forse Roma, le briciole a Palermo?
Come? Con lo Statuto. Forse non tutti, infatti, sanno che di fatto l’Assemblea dei Comuni è quasi una seconda “Camera” dell’Autonomia siciliana. Se i Sindaci si ribellano, e si costituiscono in Assemblea permanente, possono presentare “a raffica” progetti di legge all’Assemblea Regionale: bastano 40 comuni e il 10 % della popolazione siciliana! Si può sfidare anche una discreta presenza di sindaci “dormienti” o “collaborazionisti”. Basta un nucleo duro di sindaci con un po’ di Popolo dietro, legati alle categorie, specialmente alle più disperate e affamate.
Votino in Assemblea a maggioranza i loro progetti di legge, li facciano ratificare ai rispettivi Consigli Comunali (se sono veramente rappresentativi dei rispettivi Comuni non dovrebbe essere difficile), e li spediscano direttamente all’altra “Camera”, quella “alta” di Palazzo Reale, la quale avrebbe serie, serissime, difficoltà ad archiviare o insabbiare i progetti di legge che emergono dal Popolo Siciliano, con i Sindaci in testa. Anzi, sono sicuro, che anche lì, qualche coraggioso non mancherebbe che faccia da cinghia di trasmissione tra Popolo e Palazzo. Il Palazzo, incalzato, con il Popolo dietro, sarebbe letteralmente costretto a seguirne le volontà, e diventerebbe anche più baldanzoso con le autorità centrali.
Sarebbe l’inizio di una Rivoluzione, pacifica, ma decisa e conducente. A proposito di organi centrali dello Stato, chi ha detto che Popolo e Sindaci debbano “fermarsi” alle sole competenze regionali, oggi letteralmente castrate da un’assurda giurisprudenza costituzionale e da un’infinità di abusi da parte dello Stato? Ancora una volta sovviene lo Statuto, questo sconosciuto. L’art. 18, infatti, consente alla Regione di fare “Leggi-Voto” su competenze statali. E quindi, per transitività, consente ai Sindaci di presentare leggi su materie di competenza statale (proposte di proposta). Potrebbero persino presentare una legge per smilitarizzare la Sicilia. Tanto per fare un esempio, giusto il primo che viene in mente.
Ma … non finisce qui. Sempre lo Statuto, sempre questo sconosciuto, così mutilato e vecchiotto com’è, ha istituito i “referendum propositivi”, una vera “bomba di democrazia” sulla quale nessuno ha presentato ancora un serio progetto di legge attuativa.
A quando, sempre i Sindaci, non si intestano una battaglia per questa legge attuativa? Sapete che significa? Significa, ad esempio, che, una volta approvata, i Sindaci potrebbero chiamare a raccolta, su grandi progetti, il Popolo Siciliano, il quale approverebbe direttamente col proprio voto le leggi regionali, che penso dovrebbero avere la forma di “leggi-delega” con pochi principi, lasciando all’ARS, la nostra “Camera Alta”, solo il compito di definire la normativa di dettaglio a valle.
Insomma un rullo compressore che non ci fermerebbe più.
Pensate che a Roma o a Francoforte qualcuno oserebbe fermare i referendum, o bocciare leggi votate dalla maggioranza dei Siciliani? Roba da appellarsi all’ONU e al principio di autodeterminazione dei Popoli!
Si potrebbe iniziare da subito, con un bel progetto per dare alla Sicilia ossigeno, domanda e occupazione per mezzo di una moneta regionale complementare.
Lo strumento, il Popolo, i territori, i Comuni, lo hanno; non cerchiamo più alibi nei “politici che mangiano”, o invocazioni di improbabili o autolesionistici “commissariamenti” o simili amenità qualunquiste nelle quali saremmo in sostanza solo complici del saccheggio della Nostra bellissima Terra.
Quand’è che iniziamo?
Massimo Costa