Primavera araba in Egitto e in M.O.
Il re saudita Abdullah, sembra oggi essersi riappropriato del ruolo di uomo forte e di “meneur de jeu” nell’evolversi della cosiddetta Primavera araba, ancora in cerca della bella stagione. Con una sfrontatezza e una logica tutta araba, è riuscito a dare un segnale forte ai referenti nello scacchiere geopolitico della regione intervenendo a favore del generale al Sisi’, rivendicando così il suo ruolo di mediatore e mettendo in guardia tutti coloro che avrebbero voluto interferire, come Usa e Europa, nelle vicende egiziane di oggi.
Con la stessa spregiudicatezza che aveva sfoggiato anni or sono appoggiando il regime di Osni Mubarak, Abdullah, che ieri si era anche schierato con il deposto Morsi, oggi, facendo bella prova di pragmatismo politico tipico di un vecchio mago orientale, oggi apre il suo credito al generale Al Sisì.
Certo Riad teme che una destabilizzazione dell’Egitto possa favorire il radicamento del fondamentalismo dei fratelli musulmani in tutta la regione, coinvolgendo, come in un gioco di scatole cinesi, la partecipazione delle folle, finora rimaste silenti in quell’area di stretta competenza dei sauditi, rappresentata proprio dai paesi del golfo.
Abdullah non si lascia intimorire certo dagli americani, semplicemente li ignora, forte di un accordo di cooperazione che Obama non si sognerebbe mai di rinnegare, soprattutto oggi che la politica estera statunitense sembra brancolare nel buio e nell’incompetenza del nuovo segretario di stato, vittima anche degli screzi del comando strategico Usa in medio-oriente.
La tanto celebrata (solo dagli europei e dagli usa ahimè) primavera araba sarebbe dunque arrivata al capolinea della sua corsa. Dopo gli scempi in Tunisia, i bombardamenti in Libia, gli incomprensibili equilibri egiziani, il folle bluff anti-Assad in Siria, pur celebrata con enfasi nei salotti del politicamente corretto del mondo occidentale, prima fra tutti l’UE incapace di darsi una politica estera che possa prescindere e essere autonoma nei confronti degli interessi anglo-francesi, questo vento di rivolta si è come ripiegato su se stesso determinando un periodo di riflessione e di stasi, che non è sicuramente dimostrazione della sua conclusione.
Così, in Egitto (nonostante il colpo di mano dei militari), in Siria, (dove la guerra civile si è rivelata sempre più guerra settaria), in Tunisia (dove diventa più coraggiosa la protesta contro il governo islamista), nella Libia inventata dai soloni dell’UE, (dove le violenze tra milizie rivali sono in continua espansione), come avviene d’altronde in Iraq, la violenza jadista si sta espandendo come un’epidemia, allungandosi anche in Mali e Nigeria. Le sole monarchie miliardarie del golfo sembrano resistere grazie agli sceicchi e dimostrano il persistere di una forma di stabilità politica che non è reale, ma dovuta al prezzo del petrolio che permette a quelle dinastie reali di tener sotto controllo la popolazione con corruzione e falso sviluppo, sempre nelle spire della complicità dei servizi di sicurezza.
Questa primavera araba costituisce la prova provata della mancanza di una seria politica estera occidentale, in primis negli USA, che stanno pagando il fio dopo le vane speranze di un ordine politico democratico che, in definitiva ha beneficiato solo i fondamentalisti islamici, gli stessi che in Siria hanno preso le redini della rivolta contro Assad e hanno fatto andare in fumo i tentativi complottisti occidentali antisiriani (sempre l’UE).
Quella speranza orientale, ma occidentale soprattutto, è fallita nel fumo di una classe politica assurta a classe dirigente, digiuna di politica estera, nel momento in cui invece che di liberazione democratica si trattava di complesse vicende tribali, una serie di resa dei conti che alla fine ha lasciato sul terreno una serie di rivendicazioni la prima identitaria, tra chi vuole sottolineare un’identità nazionale araba e chi invece ha messo l’accento sulle caratteristiche religiose di questa identità; la seconda elitaria, che sottolinea le differenze tra le popolazioni cittadine, più laiche e aperte e quelle rurali, più conservatrici e sospettose dell’occidente, la terza settaria, che si fonda sulle rivalità tra sciiti e sunniti.
Da qui sempre la necessità dell’uomo forte che possa controllare esercito e servizi di sicurezza che sembra ancora un must nello scacchiere geopolitico del nord africa.
La primavera araba è fallita, anche se il tribalismo appare oggi meno forte, il fascino integralista sembra attenuarsi e le emigrazioni e la civiltà informatica hanno trasformato l’occidente da nemico coranico a modello istituzionale. Questo certamente non significa che stia arrivando una nuova era di stabilità e di democrazia nel medio oriente quanto che le divisioni accennate non siano facili da sanare e rivoluzioni e guerre religiose non sembrano per nulla messe da parte, anche se il presente ci dice che una grande svolta è stata compiuta e il passato sembra definitivamente ormai archiviato.
eugenio preta