Lo sapevamo
Siamo alle solite, non è che ci contassimo più di tanto, ma si ripete il vecchio ostruzionismo istituzionale e centralista nei confronti della nostra testata, scomoda, certamente non allineata alla vulgata corrente, che premia invece l’informazione edulcorata, partigiana, politicamente – come si dice ora – corretta. Notizie che non devono perturbare le coscienze ma servono, e si obbligano, a presentare su un letto di rose la situazione politica, finanziaria e sociale di questo paese proprio per dimostrare che poi… non è che stiamo messi tanto male.
Se a tutto questo ci aggiungiamo la linea ideologica dell’ISOLA, che da anni si batte per l’applicazione dello Statuto di Autonomia, disatteso proprio da queste Istituzioni centrali sin dal 1946, e se ci aggiungiamo poi che questa rivendicazione ha raggiunto una tanto desolata delusione da costringerci ad alzare i toni verso una reale ed effettiva autodeterminazione della “terra impareggiabile”, come unica possibilità di riscatto, il cerchio può anche quadrare e l’ostruzionismo istituzionale ci può anche stare, ma non giustificare.
La maggior parte dell’emigrazione italiana, e per quanto ci concerne soprattutto in Europa, è rappresentata dalle comunità siciliane.
Interi nuclei familiari spaesati di forza dal cinismo delle autorità centrali, interi paesi che si sono svuotati per cercare altrove, nei Nord lontani, quelle opportunità di esistenza che dovrebbero essere automatiche e a cura delle Istituzioni ma che erano invece negate nella terra che li aveva visti nascere, crescere, cullare sogni di lavoro, famiglia, figli e futuro.
Allora la partenza, la diaspora delle comunità siciliane.
E le storie dell’emigrazione siciliana nel mondo si sono tinte dei colori dello spaesamento, della nostalgia, del lavoro, del successo spesso, ma anche dello smarrimento, dell’isolamento, dell’abbandono, per la colpevole attitudine dello stato centrale.
Le nostre comunità sono state disilluse dalla patria lontana persino nelle richieste più elementari e legittime: scuola, formazione professionale, perfezionamento linguistico.
Nel mondo, licei francesi o scuole tedesche non solo servono le rispettive comunità, ma hanno raggiunto valori di eccellenza che sono frequentate come un di più anche da alunni di altre nazioni. La scuola italiana, ad eccezione di qualche sezione delle scuole europee, riservate ai figli dei funzionari delle istituzioni comunitarie ma inaccessibili a causa dell’eccessivo costo (minerval) ai figli dei lavoratori emigrati, rimane completamente assente nel settore dalla formazione scolastica europea che si vorrebbe paritaria.
Nessun accordo da parte ministeriale con i paesi che ospitano le comunità emigrate più numerose, nessuna reciprocità, cosa che invece hanno preteso ed ottenuto comunità emigrate come quelle portoghesi o inglesi che hanno concordato con le autorità scolastiche locali la necessità di integrare quei programmi scolastici con materie incluse nei piani scolastici i nazionali, svolte da personale docente proveniente da quei sistemi scolastici, materie che fanno parte dei programmi annuali, creando quella continuità di formazione che non taglia le proprie radici ma che cerca di integrare questa formazione nell’insegnamento impartito in quel paese straniero.
Niente, per le comunità emigrate niente, il nulla, come nessuna formazione professionale, nessun approfondimento linguistico, nessun riferimento alla storia nazionale.
A questo punto intere generazioni si sono dovute forzatamente assimilare, perdendo le loro caratteristiche linguistiche, scolastiche e culturali, proprio per non essere state aiutate dallo Stato centrale di provenienza, all’integrazione, termine che costituisce un vanto dell’Unione nel cammino verso la formazione di una cittadinanza europea, ma che l’Italia per prima ha disatteso, impedendo l’inserzione culturale, sociale e di conseguenza economica, l’integrazione effettiva delle comunità emigrate nel luogo in cui hanno scelto di vivere, obbligandole all’assimilazione, che è smarrimento, perdita, sconfitta.
L’ISOLA, questo giornale che editiamo, pubblichiamo e distribuiamo con sacrifici enormi, ora che le risorse si assottigliano sempre più, ha sempre fatto opera di informazione e svolto servizi culturali per le comunità a cui si riferisce, quella siciliana specialmente, e lo ha fatto senza secondi scopi, senza secondi fini, ma solo per ridare alle comunità siciliane l’orgoglio dell’appartenenza, la consapevolezza di appartenere ad un vero popolo, ad un effettivo territorio, ad un unico ceppo linguistico, in poche parole la dignità di essere popolo, il segnale che da qualche parte, certo non da quella istituzionale, qualcuno lavorava per le rivendicazioni sociali e per denunziare le condizioni in cui versa la nostra emigrazione, una specie di cassa di risonanza di temi critici che non venivano riportati dai soliti giornaletti che oggi sono pure premiati da questa Presidenza del Consiglio dei ministri che oggi, attraverso l’addetto dell’ambasciata, ci informa che siamo stati esclusi dalle sovvenzioni che lo Stato centrale riserva alla stampa italiana all’estero.
Lo sapevamo, l’allora ministro Tremaglia era riuscito, in combutta con i suoi truci portaborse a escluderci, sola testata tra quelle invece ammesse al finanziamento, con la scusa di non svolgere temi propri dell’emigrazione, come se , articoli alla mano, non avessimo mai cercato di informare e educare – tanto almeno speravamo – la nostra comunità all’estero.
Poi la posizione critica sulla legge del voto all’estero, aperta a imbrogli e artifizi che si ripetono, le rivendicazioni di autonomia, la sottolineatura di una dignità siciliana da ricatturare a dispetto del livellamento centralista, ha sicuramente determinato la nostra esclusione dalle sovvenzioni.
Lo sapevamo, ce ne doliamo sicuramente per la poca considerazione che ci offende, ma continuiamo nella nostra crociata che sicuramente l’elargizione di 40 vili denari non riuscirà a bloccare né mai a fermare.
Eugenio Preta