Le fate esistono. E io oggi ne ho incontrata una
h.13… Bar sotto casa mia. Entro trafelata, fa freddissimo, ma come al solito mi siedo fuori al tavolo che scelgo sempre. Metto la borsa sulla sedia di fianco alla mia, prendo il pacchetto di sigarette, ne sfilo una e, sovrappensiero l’accendo. Non faccio in tempo a fare la prima boccata che, alla mia destra, compare una figura infagottata in un cappotto di panno liso e molto, molto, anzi più che molto, sporco. E’ una vecchietta. Avrà sì e no 75 anni, il volto segnato da solchi profondi. Gli occhi azzurri, spenti, mi fissano immobili. Non sorride. Non parla. Mi fissa. E basta. Io la guardo con aria interrogativa, ma lei non smette di fissarmi. Resto così qualche secondo, mi guardo intorno per capire se stia cercando qualcuno ma ci sono solo io e due tavolate di uomini d’affari che chiacchierano animatamente.
La signora non si muove. Continua a guardarmi.
Allora sposto la borsa e le dico “Signora, vuole sedersi? Ha bisogno di qualcosa?” e lei, finalmente parla.
“No. Non voglio sedermi… Non lo so. Sono solo triste, signorina. Ma ora l’ho vista e penso che lei, forse, mi può ascoltare.”
“Certo signora che l’ascolto. Si sieda.” Lei mi guarda come se fosse atterrata una navicella spaziale fuori dal bar. Sbigottita. E dice “Davvero?” E io “Certo!” E dentro di me penso… “Oddio questa signora ha l’aria di non star bene. Sembra che stia per svenire. E ora cosa faccio? Se si sente male?”.
Non faccio in tempo a finire di formulare il pensiero che due camerieri balzano in corsa fuori dal bar, uno dei due fa “Francesca! Ci sono problemi?” E l’altro già si avvicina alla signora con uno sguardo, come dire, non del tutto comprensivo.
Io con un gesto lo fermo. E dico “La signora è con me. Non c’è nessun problema.” (Che qui avrei da aprire una postilla. A Milano ti rubano in casa e “Nessuno ha sentito”. Ti rompono i vetri della macchina in pieno centro e “Non passava nessuno”. Ti scippano e fai prima a rifare tutti i documenti che a sperare che qualcuno fermi il ladro. Ti violentano in stazione centrale e a voglia urlare, possono squartarti e appenderti al Pirellone che nessuno muove un dito.
Però attenzione… Perchè se entra una vecchietta con i vestiti strappati e zozzi in un bar allora tempo 4 secondi netti arriva tutto lo staff, la polizia, i pompieri, la finanza, la guardia reale e anche i gendarmi di Pinocchio. Perchè non sia mai che la clientela debba sentire la “puzza di stracciona” della signora. Che noi siamo gente perbene. Magari non facciamo la doccia da settimane. Ma abbiamo il cappotto di cachemire e l’Iphone5)
I due camerieri da dietro le spalle della signora mimano un silenzioso “Sei sicuraaaaaa?” E io “Sì. Sono sicura.”
Mi giro verso la signora, che si è seduta. Sorride. E non è più pallida come prima. Le gote ora sono rossastre, come dopo una corsa, e gli occhi non sembrano più vuoti. Ordino un’insalata e una Coca Cola e le chiedo “Signora, lei cosa prende?” E lei dice “Io niente, grazie. Non voglio niente!”
Per cinque minuti circa cerco di convincerla a prendere almeno un caffè. Ma niente. Non c’è verso. Non vuole niente. E qui, senza bisogno di aggiungere altro, vi chiedo di pensare ad una parola.
Ogni giorno “i grandi” “i potenti” cercano di insegnarci cosa sia la DIGNITA’. Ecco cos’è. Questa è la dignità.
Io e la signora cominciamo a parlare. Le chiedo perchè è triste.
Lei non mi risponde. Dice solo “Signorina, lei cosa fa quando è triste.” E io dico “Certe volte piango. Ma poi sa cosa faccio? Cammino. Cammino tanto. E mi passa.”
Lei concorda che camminare sia una buona idea. E pian piano comincia a raccontarmi di lei. E’ napoletana, ma vive a Milano, anche se non sa spiegarmi dove. Il figlio è in ospedale. Ricoverato in psichiatria. La causa principale di tutto quel dolore credo proprio sia questo figlio. Che è lì, nel suo letto d’ospedale. Ma è perso dove lei non riesce a raggiungerlo.
Anche la signora a tratti si perde. Gli occhi si allontanano. Poi tornano. Mi sorride e si mette a spiegazzare la tovaglietta di carta che sta sul tavolo di fornte a lei. Ogni tanto smette di parlare e sbatte la testa oppure con le mani si colpisce piano la fronte, come se volesse cacciar via i pensieri.
Parliamo a lungo. Una mezz’ora circa. Mi chiede che lavoro faccio e glielo spiego. E’ molto acuta e, da come parla, giurerei abbia studiato o quantomeno letto molto.
Sto ancora parlando quando, d’improvviso, salta in piedi e dice “Devo andare!” Io cerco di fermarla, le chiedo ancora se ha bisogno di qualcosa. Ma lei ha di nuovo lo sguardo vuoto di quando è arrivata. Non mi sente più. Ed è allora che la vedo.
Una busta di plastica. La signora la stringe in mano e all’interno ci sono pezzi di frutta e verdura. Raccattati da terra, immagino, al mercato di Via Eustachi.
Resto così, immobile e muta, metre lei si allontana. Poi d’un tratto si ferma, si gira, torna indietro. Mi guarda di nuovo dritta negli occhi e si mette una mano alla bocca, come se volesse dirmi un segreto. E pian piano le parole escono e raggiungono il mio orecchio.
” Grazie Signorina. Ora sono un po’ meno triste. Non ce li vogliono, al mondo, quelli come me. Ma io l’ho visto subito che lei non è come gli altri. Lei è una fata, non se lo dimentichi.
Ah… L’imbecille che l’ha persa. Se ne pentirà. Stia tranquilla!”
E così, se n’è andata. Lasciandomi lì.
Mi ha lasciata lì pensare che non credo ci sia un imbecille che mi ha persa. Non che io ricordi, perlomeno. Non credo neanche di essere una fata.
Ma una cosa la so per certo.
Le fate esitono. E io oggi ne ho incontrata una.
Iaia Francesca De Rose
(26 marzo 2013)