SOGNI DI SOGNI
Bruxelles, 19 Gennaio 2004
Raccattati così controvoglia i sogni e riposte in sacche sempre più capienti le voglie di mare insoddisfatte, tentazioni di sole lasciamo ai sapori di dolce stagione al declino, mentre rallenta il passo la frenesia del ritorno, nei cambi inaspettati della luce, all’incedere della sera, quando stranito carraggiano cerchi disegna nel cielo di fuggenti ombre.
E mi accorgo di settembre nelle ansie inascoltate, negli affanni che mi trovano con le sabbie abbandonate, mentre si colora il lido negli ombrelloni di variopinte tele e nello scafo azzurro e lucente di docile imbarcazione alla fonda nel pontile.
Ecco si ferma il tempo in quella striscia di colline che degradano verso il mare, tra terrazze di saraceni ulivi e legni di viola eucalipti e cancelli di rami e foglie e grappoli punteggiati da agrumi, e bianchi casolari, e muri a secco e perdute masserie nel vento.
Acqua chiede ora il canto della cicala sfinita dai sospiri dell’estate e ancora brillano bianche le lucciole all’ombra dei gerani.
Allora sogni di sogni, chiusi ormai ai sospiri, distanti nell’orizzonte di luce, sospetti di età avanzano e spruzzi di mare e resti di viaggio sparsi nella mente e raccattati controvoglia.
Sogni di sogni le onde di Vulcano, i fondali di bianca pomice, la voce dell’uomo nel labirinto di rovine e i silenzi di antichi anfiteatri.
Dalla mia casa al nord lontano ci sono mille cammini e mille strade di luce e di nostalgia e mille bocche di trepidanti amanti, e le angoscie del cuore all’allontanarsi del traghetto che allunga la pena e abbandona Cariddi e lascia le malie di Morgana mentre Colapesce con i pesciluna ancora danza sullo stretto, il breve mare ora grande come la vita.
Porto con me la memoria delle cose, con l’orgoglio vittorioso nel balzo di siracusano volante che allinea snelli vichinghi e portentosi sul filo di dorata medaglia, con gli occhi colore del bosco di fiera figlia del Longano alla cui bellezza si inchinano gli uomini, ma pure con la fatica di orgoglioso artigiano che gioca con le scalpello e modella la pietra, con I profumi del limone, con le mandorlate della sera, con il nettare di orgogliosa vite.
Tutto mi dice Sicilia, e quando si fa lontana l’Isola, e svaniscono i peloritani nei riflessi della memoria, scende allora da nuvole sparse la sera, insieme all’ombra dei nostri cari partiti per il viaggio misterioso e i loro sorrisi perduti per sempre che non ci accompagnano più per la via con nuovi consigli e nuove ammonizioni, ombre di una vita, fantasmi di un’immaginazione che ormai solo uno sguardo, un profumo può riportarci, per un attimo, ma che svaniscono nella realtà, e ci lasciano, disperatamente, soli.
Ma all’improvviso ecco lieve spirare di vento zittire le cicale, quando danzano nelle cime i pini all’attesa della pioggia dall’arrivare sottile per spesso velo di calore mentre si colora fantasia nella magia del passato.
Scompare nella linea dell’orizzonte la casa di Acitrezza e il pilone di Torre Faro e l’incanto di Morgana e la memoria lontana del portento e le cave di Cusa e il mistero degli Elimi antichi e le isole blu spuntate dal mare e la sacra Hiera e l’arcipelago del vento e Monreale dove sorriso di ignoto marinaio, quasi vento spira, come scirocco incollato ai tetti delle case di bianca pomice e cristallo.
E mi riprende allora consueto il cammino che aggiunge distanza al tempo e se conosco infinite lingue, pur uomo confuso, ora presbite della mente, guardo solo al passato e vecchio e scontento si ritraggo dal presente che atterrisce e sconsola.
Alla fine, rimpianto di un’Isola ora terribile, sconvolta dal cemento e dai beoti; terra di scempio, paese sprofondato nella notte, ventottodicembre di Messina, Val di Noto e Gibilmanna disperse sempre da nuovo cataclisma.
Sogni di sogni sono ora le ombre che credevo scomparse per sempre.
Sogni di sogni mentre incede impietosa la mente e riporta, il gorgoglio dell’onda, memorie che ormai più non sospettavo.
Eugenio PRETA