Report sull’uso del contante. Abolire le banconote per fare felici le banche?
L’altra sera ho appreso in TV che la Sig.a Gabanelli intende procedere imperterrita nella sua crociata contro il contante. Ed è in buona compagnia. In Svezia stanno studiando come eliminarlo del tutto.
Ho detto e ripeto che il progresso non si ferma. Se in passato le banconote hanno sostituito le monete metalliche e queste hanno sostituito le pecore, non c’è ragione per frenare questa evoluzione. Ci sono anche buone motivazioni, quale quella della lotta all’evasione fiscale, anche se – ai livelli attuali della pressione fiscale – in alcuni casi parlerei di legittima difesa o di diritto alla sopravvivenza. Ma diamo per buono tutto.
Quello che trovo irritante è che una trasmissione che si accredita come quella che “scopre gli altarini” dei poteri forti si asserva poi agli stessi senza dare diritto di replica a chi la pensa diversamente.
Questo articolo lo spedirò alla redazione di Report, ma – vedrete – sarà completamente ignorato.
Se mi facessero parlare a Report direi soltanto le seguenti cose.
Prima alcuni dettagli, poi il pezzo forte.
Primo: dove finisce la lotta all’evasione fiscale e comincia l’oppressione fiscale e la confisca di redditi e patrimoni di famiglie e imprese? Mi spiego meglio. Se mio nipote, che ha 13 anni, mi aggiusta la serranda e io gli do una mancetta, la “trasparenza” invocata raffigura in capo a quel ragazzo intanto una forma di sfruttamento minorile e poi – perché no – una vera evasione fiscale, dato che questo reddito non lo dichiara? Chi ci garantisce dal fatto che il fisco, una volta avuto accesso a tutte le transazioni davvero minime, non ne faccia uso per tassare pure l’aria? Ma chi l’ha detto che se pagassimo tutti le tasse, ne pagheremmo veramente meno? Non potrebbe succedere che, presoci gusto, ne pagheremmo tutti di più?
Secondo: non è che, imponendo a tutti un POS, “faremmo fuori” tutti i mendicanti, renderemmo difficilissima la vita a povere parrocchie etc.? Va bene, l’elemosina in sé è una brutta cosa che non dovrebbe esistere, confina con l’accattonaggio, ma… un po’ di tolleranza non può alleviare alcuni mali sociali per i quali lo Stato è praticamente latitante?
Terzo: ma un po’ di privacy, nelle cose minime almeno, non era nei valori dell’Occidente libero e democratico? Se io fossi un consumatore – poniamo – di materiale pornografico, lo deve sapere il “grande fratello”, e così deve sapere se al bar preferisco il cornetto o l’arancina? Non è che stiamo esagerando un po’?
Quarto: su chi ricade il costo della tenuta dei c/c che sostituiscono il circolante? Ovviamente sui consumatori. Coi tempi che corrono davvero una bella mossa! Le banche ringraziano!
Come si vede si va a cuor leggero a toccare elementi della vita di tutti i giorni senza valutarne bene l’effetto. Ma io stesso dico che, sin qui, con un po’ di buona volontà e se i problemi sono correttamente avvistati da un punto di vista politico, si potrebbero tutti superare. Immaginiamo per esempio incentivi per distribuire macchinette POS “al portatore” in cui si ricarica a vista la propria carta di credito come fosse un telefonino. Le potrebbero dare i genitori ai figli come mancetta, senza aprire per forza un conto corrente, e le potrebbero usare pure i mendicanti. Sui costi dei c/c in un’altra Italia e in un’altra Europa si potrebbero imporre condizioni ai cartelli bancari. Per garantire un minimo di privacy si potrebbero istituire delle carte ricaricabili “al portatore”, veri e propri borsellini elettronici, con le dovute segnalazioni al fisco o ad altra autorità competente quando le transazioni che avvengono sulle stesse per entità e natura potrebbero divenire sospette per ogni ragione. Insomma, se si volesse, ma è chiaro che non si vuole, gli “effetti collaterali” potrebbero essere neutralizzati.
Ma il problema dei problemi è un altro, e non mi stancherò mai di ripeterlo.
Vi prego di seguirmi in un passaggio contabile. In Ragioneria nella sezione di “avere” si mettono due cose molto diverse fra loro: i ricavi e i debiti. In realtà, nonostante l’apparente differenza, la comune sorte nell’essere “accreditati” anziché “addebitati” in un conto nasce dal fatto che queste due cose (positivi i primi, negativi i secondi) a ben vedere ce l’hanno. Essi sono entrambi “fonti” di capitale, cioè modi per procurarsi denaro. E in effetti, se ci pensate, ci sono due modi per procurarsi il denaro: vendere qualcosa e guadagnarci, oppure farselo prestare.
Ora, quando un’azienda “emette moneta” (in teoria solo lo Stato potrebbe e dovrebbe farlo) sta ottenendo una fonte di denaro. Questa fonte è un ricavo o un debito? Se, a fronte di questa moneta emessa, l’emittente deve qualcosa al portatore, allora è un debito, se invece non deve proprio nulla e la moneta è soltanto un mezzo di scambio che deve essere comunemente accettato, allora la sua emissione rappresenta un ricavo.
Oggi, per lo Stato, funziona così solo per le monetine metalliche. Lo Stato le conia, le mette in circolazione (secondo le quantità che decide la BCE, per carità), ci guadagna e non deve più nulla.
La scomparsa di queste monetine, intanto, significa la scomparsa di questa fonte di reddito per lo Stato, che in cambio dovrà invece INDEBITARSI. Ma si tratta ormai di una voce minima. I tempi della moneta metallica sono andati da tempo.
Nel caso delle banconote, l’azienda emittente non è lo Stato, ma la Banca d’Italia (più correttamente il “concerto” di tutte le banche centrali europee, il SEBC). Direte “fa lo stesso” perché la Banca d’Italia è un ente statale. Non è del tutto vero, ma non ci addentriamo in questa questione. La Banca d’Italia emette banconote ed ha, come con le monete, una fonte di risorse monetarie. Ripetiamo la domanda: è un ricavo o è un debito? La risposta dipende dal fatto che la Banca d’Italia debba dare o no in cambio qualcosa al portatore di banconote. Un tempo, ormai lontano, le banconote davano diritto alla dazione di monete d’oro e d’argento. ALLORA erano un debito. Poi questa convertibilità è stata tolta, prima sul piano interno e poi anche su quello estero. DA ALLORA esse sono un ricavo per chi le emette, sebbene questo ricavo non sia distribuibile direttamente ma debba restare investito nell’azienda che lo emette. Purtroppo le banche centrali fanno finta di niente e, anziché mettere correttamente nel conto economico questo ricavo, lo mettono ancora nello stato patrimoniale come se fosse ancora un debito. Ma lasciamo perdere anche questo dettaglio. Oggi le banconote sono emesse dalle banche centrali, immesse sul mercato ricevendo in cambio dei titoli che fruttano interesse. L’interesse su questi titoli, tuttavia, viene retrocesso allo Stato. La scomparsa delle banconote, anch’esse trascurabili ma meno delle irrilevanti monetine, farà cessare questa fonte di interessi per lo Stato, che in cambio dovrà INDEBITARSI. Ma facciamo ancora finta di niente.
Riepiloghiamo quanto accade sul circolante prima di passare al terzo stadio, quello della moneta bancaria. Sulla prima forma lo Stato si appropria del “signoraggio primario”, cioè in sostanza del valore facciale delle monete dedotto il costo di produzione. Sulla seconda si deve accontentare, chissà perché, del solo “signoraggio secondario”, cioè degli interessi che derivano dalla collocazione sul mercato delle banconote, mentre quello primario resta investito nel patrimonio delle banche centrali, solo in parte realmente pubbliche. Per inciso si noti che se le banche centrali dessero agli stati il compito di battere la moneta cartacea, come si fa con quella metallica, quel signoraggio primario andrebbe direttamente allo Stato, che avrebbe bisogno di “meno tasse e meno tagli”. Ma facciamo finta di niente.
Veniamo all’ultima forma di denaro, quella bancaria, cioè i depositi a vista, le carte ricaricabili, gli assegni, etc. Questo denaro è emesso in piccola parte ancora una volta dalla banca centrale (le cosiddette riserve monetarie o “Moneta ad alto potenziale”) e, per la quasi totalità, dalle banche private.
Come mai le banche private “battono moneta”, sia pur elettronica? Non dovrebbe spettare questo compito allo Stato, o al più alla banca centrale? Residuo del passato. Ma in ogni caso, sino ad oggi, sia pure ormai solo in via puramente teorica, tale delega di emissione di moneta ai privati ha una giustificazione formale. Torniamo al dilemma ricavo/debito. Quando la banca “emette” un c/c ha certamente una fonte. Questa fonte è ricavo o debito? Ecco, sia pure formalmente, FINO A CHE ESISTE IL CONTANTE, esso è teoricamente un debito. Il correntista, infatti, può mettere in difficoltà la banca presentandosi allo sportello e pretendendo il contante, esattamente come 80 anni fa il detentore di banconote si poteva presentare all’istituto di emissione e pretendere l’oro in cambio. Quindi è un debito. OK.
Ma – QUESTO E’ IL PUNTO CRUCIALE – che succede se il contante sparisce?
Succede che si sta dando “corso legale” alla moneta bancaria, esattamente come prima della II guerra mondiale si diede “corso legale” alla moneta cartacea. Questo equivale a trasformare l’emissione di moneta bancaria da debito a “debito irredimibile”, cioè sostanzialmente a ricavo. Ed è ancora giusto che questo ricavo non passi dal conto economico e le banche non ci paghino alcun tributo? E’ ancora giusto che questa moneta sia emessa, peraltro a interesse, da banche private e non dallo Stato come sarebbe equo? Questo la Gabanelli, spero di sbagliarmi, ma non ve lo dirà mai.
Anche la piccola quota di moneta bancaria emessa dalle banche centrali presenta un’incredibile iniquità. Mentre per le banconote il 100 % degli interessi sulla loro collocazione viene ufficialmente definita “signoraggio” (in realtà è solo quello “secondario”) e retrocessa allo Stato, gli utili derivanti alla Banca centrale dall’emissione della moneta bancaria, chissà perché, sono completamente liberi. E quindi parte di essi è accumulato nel patrimonio della banca, parte di essi, sotto varie forme, viene dato allo Stato, parte di essi viene dato ai “partecipanti” (?!), cioè a banche private che non si sa a quale titolo stanno nel capitale di un istituto di credito che si vorrebbe “di diritto pubblico”. E’ vero che si tratta di poca roba. Ma, poca o tanta che sia, questi utili su emissione di moneta bancaria retrocessi a banche private, se fossero dati più correttamente allo Stato non sarebbero un “minore indebitamento”? No, a quanto pare lo Stato DEVE indebitarsi, per poi dirci che “siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità”. E si badi che la moneta bancaria emessa dalla Banca centrale è già “legale” in quanto è già inconvertibile in banconote.
Ma si tratta di una piccola frazione.
Il vero scandalo è quel 90 % e passsa di moneta che oggi è emessa da banche private che lucrano interesse su di una funzione eminentemente pubblica. Ecco, la tanto invocata riforma della Gabanelli vuole portare questo 90 al 100 % con tanti saluti all’equità e alla finanza pubblica.
Ma c’è un ultimo conto che non torna. Se il 100 % della moneta emessa in futuro sarà emessa da banche private, che la emettono, la prestano e contrattualmente poi chiedono in cambio il 105 % (il capitale più l’interesse), dove prenderà il sistema tutti quei soldi per restituirli? Se l’emissione di moneta bancaria la facesse lo Stato, intanto non avrebbe bisogno di prestarla a interesse ma potrebbe spenderla direttamente, ridistribuendola. Ma, in questo modo, è MATEMATICO che i soldi, a breve o lungo andare, non ci saranno mai. E giù con tagli e tasse senza fine, in una spirale che strutturalmente non può avere mai fine.
Da qui la mia proposta. Va bene, facciamo sparire il circolante, magari con le avvertenze di cui sopra. Ma, allora, affidiamo l’emissione di moneta al solo Stato (o all’Unione Europea, se volete, o alle Regioni, ai Comuni,…) e diamo alle banche la sola funzione che compete loro: prendere soldi a prestito e prestarli a chi ne ha bisogno. Mai più emissione monetaria e mai più speculazioni (ma quella è un’altra storia). Come? O portando al 100 % la riserva frazionaria da tenere presso la Banca d’Italia (i trattati in teoria lo consentono), ovvero – più semplicemente – autorizzando l’emissione monetaria alle sole banche “nazionalizzate”, cioè di proprietà dello Stato.
Siccome sono un irrecuperabile liberale, pretendo che lo Stato non possa mai decidere il “quantum” della moneta da mettere in circolazione. Questo lo decidano le austere “banche centrali”, indipendenti dal potere politico. Ma, una volta deciso il quantum, questo deve essere messo a disposizione direttamente dello Stato, con un crollo verticale del debito e con il fallimento, per mancanza di oggetto, delle agenzie di rating e del maledetto spread che ci lanciano contro.
Sig.a Gabanelli, me le fa dire queste cose in TV? O vuole solo contribuire a metterci nel laccio delle banche con il pretesto della lotta all’evasione?
Massimo Costa