La pesca del buddace
Messina non esiste, abbiamo sempre scritto, parafrasando le visioni sullo stretto di Vincenzo Consolo, e oggi più’ che mai questa non sembra affermazione gratuita ma constatazione di fatto, conseguenza dell’analisi di sprazzi di vita sociale e politica attraverso i quali si dovrebbe verificare il grado di responsabilità e consapevolezza collettiva raggiunte da una comunità.
Quella messinese , alla luce delle ultime vicende appunto, è e rimane sempre buddaci.
Immaginate la posizione geografica della città, il taglio delle sue strade, la mitezza del suo clima, il suo mare e le chiese e i monumenti che, da un’altra parte del mondo verrebbero sicuramente valorizzati e ben messi in evidenza per accrescerne sviluppo civile, economico, turistico e architettonico ma che a Messina restano bloccati da incuria e menefreghismo, dal lasciarsi andare tipico del messinese, che così tanto appropriatamente viene paragonato al pesce dello Stretto dalla grande bocca, facile da catturare ma poi di nessun interesse commestibile, tanto che viene rigettato in acqua.
Che poi la classe dirigente di Messina rifletta lo sfascio della città, è suffragato dall’ attualità di un Sindaco ad esempio, che continua ad occupare due poltrone nonostante il pronunciamento del tribunale, del rettore dell’Università, una volta magnifica, che cerca con ogni escamotage, pure lecito, per carità, di allontanare il momento del rinnovo del senato accademico, per non parlare poi della magistratura i cui vertici sono indagati per oscuri affari politico-amministrativi.
Così sembra legittima la perentoria affermazione del prof. Consolo trasposta dal piano letterario a quello civile: Messina non esiste.
Nella situazione di grave carenza industriale e di conseguente elevata disoccupazione, una classe politica dirigente farebbe di tutto per accrescere le potenzialità imprenditoriali, per crearne di nuove o almeno per garantire quelle poche esistenti. Ma a Messina non è così.
Sventrate le colline dei Peloritani da palazzine di cemento, sgraziate peraltro e architettonicamente improprie, stravolti i viali cittadini disegnati da Filippo Juvarra con la costruzione di un improponibile tranvai, Messina è continuamente messa sottosopra da improvvide decisioni amministrative, da confuse norme del piano regolatore artefatto a convenienza, che confondono sempre più le caratteristiche originali della città, un ventottodicembre continuo e che si protrae nel tempo.
Adesso il consiglio comunale, ritardatario (volutamente?) tanto da legittimare il ricorso al Tar e il conseguente parere favorevole dato ai gruppi di privati ricorrenti, vota due delibere che riaffossano Messina ancora più nell’abisso della pavidità, dell’incompetenza, dell’ignavia e della recessione occupazionale.
La prima delibera riguarda una variante urbanistica del confuso Piano regolatore cittadino che, sollecitata da un ricorso al Tar di affaristi privati , di fatto taglierà l’ultima zona verde rimasta nel centro città, il famoso agrumeto di san Licandro, per costruirci una mega stazione di distribuzione di benzina in un’area dove peraltro, nello spazio di poco più di un chilometro, di distributori di benzina ne abbiamo contati più di nove….
Un affare di interessi dei privati favoriti dall’incapacità di una giunta comunale che ha preferito rinviare, prendere tempo e poi farsi sanzionare dal tribunale amministrativo piuttosto che riunire gli interessati intorno ad un tavolo e negoziare una soluzione alternativa che avrebbe potuto almeno tutelare la città , gli interessi collettivi piuttosto che “calarsi letteralmente le braghe” e lasciare che pochi potessero sfruttare a danno dei molti.
La seconda delibera invece riguarda una questione che questo giornale ha già seguito nel tempo: la battaglia per il mantenimento della produzione della Birra Messina, lo storico stabilimento messinese, svenduto in un primo tempo agli olandesi , poi ricomprato da una cordata di imprenditori locali che dopo aver dimostrato la propria incompetenza nel fallimento delle doverose politiche manageriali, di produzione e di distribuzione, aveva praticamente ricattato l’amministrazione comunale chiedendo una licenza edilizia per l’intera area in cambio della salvaguardia del posto di lavoro dei 42 addetti.
Ora è cosa fatta, quello che paventavamo si è avverato, grazie all’ignavia ( o compiacenza? il confine in questo caso appare molto labile…) della giunta comunale costretta, anche in questo caso dal Tar, a cambiare la destinazione d’uso dell’area in cui insiste lo stabilimento dell’ex Birra Messina, oggi Triscele, i proprietari del marchio avranno la facoltà di costruire una decina di palazzine a fronte dell’impegno, a parole, di spostare lo stabilimento in un’altra zona e garantire così i 42 posti di lavoro…. Ma come che, come portinai?
Debiti fuori bilancio, società partecipate e materie urbanistiche sono i paradossi della cattiva amministrazione, della mala politica di Messina che, in un altro Paese avrebbero senz’altro messo in allarme magistratura e carabinieri ma che, nella città dei buddaci, costituiscono la conferma della regola corrente.
La politica messinese offre solo arroganza, cattivo esempio, incompetenza e mancanza di regole etiche mentre molti messinesi si trascinano nelle difficoltà quotidiane, i giovani sono costretti ad emigrare in cerca di fortuna o vengono assoldati dalla criminalità come manovalanza per lo spaccio, mentre il ceto medio non esiste più e commercianti, piccoli imprenditori e famiglie si mantengono solo attraverso i prestiti ad usura e la proliferazione del “vendo oro” , mentre i servizi sociali sono inesistenti, i 200 sfollati a causa dell’alluvione di Scaletta e Giampilieri, ad esempio, non ricevono più nemmeno i sussidi per l’affitto mentre in Liguria o in Veneto amministrazioni efficienti già hanno costruito nuove abitazioni e nuove possibilità di sviluppo per i loro cittadini più sfortunati.
Messina continua a non esistere, il suo ventottodicembre si protrarrà ancora nel tempo se non si riuscirà a rifondare la città prima nel senso di collettività umana poi di disinteressata amministrazione della cosa pubblica. Nel frattempo il cittadino messinese continua a pescare l’inutile pesce…. buddace.
Eugenio Preta