Identità e Costituzione
Dopo aver cercato di mettere in esergo le difficoltà e l’incapacità – oggi ancora più evidenti – della classe dirigente dello Stato regionale di Sicilia (Regione siciliana) di creare, attraverso la necessaria applicazione del prezioso Statuto di Autonomia, strumenti e metodi di sviluppo economico e di crescita sociale che avrebbero permesso in Sicilia la creazione di un’area di opportunità occupazionali e di progresso per i cittadini e per le imprese siciliani, imputiamo alle furbizie e al tornacontismo della classe politica che ci governa anche la deriva che oggi vive la stessa interpretazione dello Statuto di Autonomia.
Furbescamente i “maggiorenti” siciliani si sono impadroniti dell’Autonomia e, vista l’accresciuta sensibilità dei siciliani al tema, cercano di utilizzarla secondo il loro tornaconto politico ed elettorale, con la conseguenza di aver oggi banalizzato il dibattito e ristretto i margini di manovra dei veri Autonomisti.
L’ALTRA SICILIA, nel corso di articoli apparsi su questo suo stesso sito, partendo dall’analisi degli attori e delle vicende legate alla mancata applicazione dello Statuto di Autonomia, ha disegnato una parabola interpretativa che ha portato alla convinzione di dover attualizzare quella originale domanda disattesa di Autonomia trasformandola in una richiesta, ormai improcastinabile, di Indipendenza, pur se dettata non da rivendicazioni separatiste o da datato nazionalismo, ma dalla percezione del fallimento di ogni tentativo, finora purtroppo soltanto accennato, di valorizzare l’autonomia regionale.
I lettori più attenti avranno osservato che L’ALTRA SICILIA mutua dall’Autonomia questo concetto di Indipendenza, ma non ne vedono spiegati né i motivi né le estrinsecazioni pratiche; se prefiguriamo cioé una svolta verso l’Indipendenza, le cui ragioni sono ampiamente nei fatti e pienamente condivisibili, non ne indichiamo poi il modello di riferimento e sembriamo poi rimanere esclusivamente sul piano di una protesta formale senza prospettive.
Con questo articolo tentiamo di fare un balzo in avanti e trasformare la protesta in proposta, cercando di spiegare il modello cui tendiamo, allo scopo di creare un “habitus” giuridico di riferimento e per non lasciare nel vago questo nostro ragionare continuo sulla richiesta di una possibile Indipendenza dello Stato Siciliano.
Prologo necessario al discorso sull’indipendenza è il dibattito sull’identità e sull’appartenenza originale come si è sviluppato in questi utlimi anni ( e che L’ALTRA SICILIA ha messo al centro della sua azione politica ) dopo essere stato ignorato persino dalle normative vigenti, senza altra ragione che quella della necessaria demonizzazione di un concetto che, essendo esattamente l’antitesi della tanto decantata costruzione europea di istituzioni liberiste e federaliste, veniva giudicato politicamente sconveniente.
Soltanto da pochi anni il dibattito sull’identità si è depurato dalle scorie negative che lo accompagnavano e lo limitavano alla sola sfera individuale e personale ed ha iniziato a trovare rilievo nei testi giuridici e soprattutto in quelli costituzionali.
Distratti finora da tematiche contingenti come la lotta di classe, le grandi ideologie del ‘900, le battaglie per i diritti sociali e il consolidamento del welfare, i legislatori avevano volutamente lasciato il tema dell’identità fuori dall’ambito costituzionale, giudicandolo quasi distante, trascendente il dibattito e ritenendo semplicemente che la sfera dei diritti fondamentali ne soddisfacesse appieno le applicazioni.
Oggi i discorsi sullo Stato nazione, la inevitabilità delle piccole patrie nella globalizzazione imperante, la società mondializzata, hanno portato al grande ritorno del tema dell’identità, inteso proprio come tutela delle diverse particolarità nazionali e regionali, necessaria per non diluire nel calderone del multiculturalsmo concetti come appartenenza, storia, tradizioni, patrimonio linguistico e culturale.
In quest’ottica anche le regioni di molti Stati che oggi si possono definire composti, vista la loro variegata composizione etnica e sociale, hanno ridato valore al concetto identitario, talvolta anche in contrapposizione ad un’identità nazionale dalla quale cercano sempre e comunque di distinguersi.
In definitiva L’ALTRA SICILIA non ha fatto certo opera di estremismo concettuale quando ha portato avanti il discorso dell’identità e dell’appartenenza, anzi pare evidente oggi che si sia allineata alle teorie avanzate dagli Stati composti, senza entrare in conflitto con le stesse, ma cercando di sviluppare una definizione comune e condivisa.
A questo punto, si è sentita l’esigenza di dover affinare una necessaria protezione normativa, nel senso che la dottrina costituzionalista, ferma ai diritti fondamentali dei Preamboli, è stata obbligata ad occuparsi di questa identità e per fare questo ha sviluppato una serie di norme per poterla proteggere come identità collettiva ( le radici dell’io non sono solamente individuali ma anche quelle che derivano dal fatto di essere membri di un gruppo ) che a questo punto è diventata diritto individuale fondamentale e in questo senso necessario di dovuta protezione
Al di là della classica dicotomia che da una parte ha demonizzato l’identità come potenziale veicolo di seprazione, dall’altra la ha esaltata come tassello indispensabile per completare il quadro sistematico dei diritti fondamentali, il ritorno dell’identità rappresenta il tentativo ormai dichiarato, da parte dei sistemi costituzionali scossi dalla crisi della politica contemporanea, di dotarsi di un proprio apparato simbolico, (inni, bandiere, lingua) necessario a questo punto dal momento che gli stati occidentali vivono una sorta di era post-costituente che richiede però di reperire nuove narrazioni che immettano linfa vitale alla parte simbolica dei testi costituzionali non più in grado di costituire punti di riferimento.
Arriviamo perciò al punto: i sistemi costituzionali hanno capito di doversi attualizzare, dare una nuova veste, e perciò hanno pensato di sostituire al sistema dei valori, il sistema dell’identità, a questo punto vero “must” post moderno che possono concedersi solo le società giuridiche più progredite perchè, dopo aver risolto le problematiche dello Stato moderno, possono poi guardare al recupero di tradizioni, storia, lingua , cultura e appartenza identitaria per sublimare e arricchire la loro sistemica normativa .
Così L’ALTRA SICILIA, che per anni ha operato per convincere i siciliani al tema identitario, sottolineandone la validità aggregativa e disinnescandone gli aspetti ritenuti negativi, vede con soddisfazione che la moderna dottrina costituzionale ha dato importanza al tema dell’appartenenza e rilievo proprio al concetto identitario elevandolo a valore costituzionale, anche se non può passare sotto silenzio alcuni risvolti problematici che l’osservazione dell’attualità regionale ci presenta, primo fra tutti la strumentalizzazione politica.
Osservando perciò l’operato della classe politica siciliana, colpevole di essersi convinta al tema identitario solo tardivamente, e in sospetto di strumentalizzazione elettorale, non può ignorare alcuni atteggiamenti che sono indicativi della crisi della classe poltica siciliana che si è come “rifugiata” nella rivalorizzazione delle tematiche identitarie, non con ferma convinzione ma solo perchè, fiutata l’aria che tira, le ritiene una nuova fonte di legittimazione politica e, come sta facendo il Ministro Presidente Sig. Raffaele Lombardo, le indica come programma di un’agenda politica che dovrebbe avere ben altre priorità ed occuparsi invece di occupazione, di giovani, di lavoro, di economia e di sviluppo.
Volendo trovare riferimenti compiuti per una valorizzazione costituzionale del nostro Statuto di Autonomia prefigurato ormai da L’ALTRA SICILIA come Statuto di Indipendenza, absint iniura verbis (non ce ne vogliano i siciliani unionisti), dobbiamo considerare quello che da qualche anno avviene in Spagna, dove il processo statutario – sono ben 5 gli Statuti di autonomia approvati – viene presentato come un sistema di importanti novità in ambito di competenze regionali, di fiscalità, di giustizia, di identità, soprattuto prendendo in considerazione i processi statutari in attoattualmnete nei Paesi Baschi e nella Catalogna, le cui sistematiche normative se prefigurano, al limite, la co-sovranità, più compiutamente invocano l’Indipendenza.
A questo punto dobbiamo ricordare che il nostro Statuto, queste competenze, presentate oggi come significative “novità”, le porta scritte (e disattese) già da oltre 65 anni, a dimostrazione della nostra stoltezza e della colpevole incapacità di diventare modello di riferimento e, cosa più importante, di non aver saputo mettere in opera misure che, soltanto oggi analizzate dai moderni costituzionalisti statutari, vengono indicate come la panacea per creare sviluppo, occupazione e nuove potenzialità economiche.
L’insegnamento ci viene già dal Preambolo di apertura dello statuto catalano che, partendo da avvenimenti storici propri svincolati da quelli del resto della Spagna, definisce la Catalogna come Nazione caratterizzata da una costante vocazione all’autogoverno, versione che pur osteggiata dal parlamento nazionale, è passata poi nello Satuto con un sotterfugio terminologico: si parla di nazionalità catalana, come dizione costituzionalmente corretta, invece di nazione, ma riferendosi alle relazioni tra Generalità e Stato si afferma poi che la Generalità è Stato.
Noi siciliani non abbiamo mai saputo parlare di Nazione Siciliana, siamo rimasti “zavorrati” alla regione autonoma siciliana pur se, non dal 1359 come la Catalogna, ma dal regno di Kokalos, dinastia dei Sicani, 2650 annni avanti Cristo, esistiamo come entità storica.
Nello schema dei valori fondamentali poi, lo Statuto catalano annovera la lingua come vertice della gerarchia dei valori culturali fondanti; la lingua catalana non come solo strumento di comunicazione ma come diritto di relazione con gli organi giurisdizionali in ambito statale che riconoscono validità giuridica agi atti scritti in catalano elevandolo di fatto a lingua propria, veicolare e di insegnamento.
Noi siciliani non siamo riusciti a vedere iscritta la nostra lingua siciliana nemmeno tra le lingue minoritarie o i dialetti europei, nonostante la scuola poetica siciliana abbia anticipato la lingua italiana…
Che dire poi della proposta dei diritti storici rivendicati dai catalani come elemento identitario di un autogoveno che si fonda anche sulle sue istituzioni secolari e sulla sua tradizione giuridica che mettono la Nazione catalana in una posizione privilegiata rispetto al diritto civile, alla lingua e alla cultura iberica, se noi siciliani siamo stati capaci soltanto il 4 gennaio 2000; attraverso la battaglia che L’ALTRA SICILIA ha condotto contro ignoranza e malafede, di vedere esposta negli edifici pubblici la nostra bandiera giallorossa, non da sola (troppa grazia) ma accompagnata dal drappo tricolore e da quello insignificante con le 12 stelle?
Certamente il ritorno del principio identitario nell’assunto di autonomia costituzionale, ricompreso sotto l’egida della Costituzione originaria, garantisce una certa fedeltà delle autonomie al ceppo centrale, anche se può aprire al dibattito tanti aspetti dell’autonomia.
In Sicilia questo non potremmo neanche pensarlo, perché se lo facessimo, rischieremmo di aprire la discussione della necessità di una riforma dello Statuto di Autonomia esistente con il pericolo che i nostri figuranti politici siciliani, con la scusa delle riforma, sarebbero capaci di svendere queste nostre accennate guarentigie e, obbendendo alle sempre ostili direttive continentali, proporre con la riforma , norme abrogative che annullerebbero alla fine le lotte compiute e il sangue versato dai nostri martiri.
Resta, nel quadro dottrinario europeo, che il nostro Statuto di autonomia non sembra essere secondo proprio a nessuno ed anzi porti in essere elementi di indubbio valore tanto che, giudicati oggi di estrema novità, giova ricordare che essi sono stati pensati ben 65 anni or sono, tanto da dimostrare la lungimiranza del legislatore siciliano del tempo e la validità formale del progetto statutario siciliano di autonomia (indipendenza) che se avesse potuto essere effettivamente applicato, avrebbe costituito non soltanto un quadro di riferimento normativo, anche un primato dottrinario nell’ambito delle norme di diritto costituzionale, ma soprattutto in ambito economico e sociale, una opportunità di sviluppo e di occupazione.
Eugenio Preta
L’ALTRA SICILIA