GIP Catania: archiviati i PM di Palermo di Virginia di Leo
Ragionevoli dubbi sull’amministrazione della giustizia a Catania.
In atto al tribunale di Catania si stà consumando il dramma della spaccatura tra il procuratore capo facente funzione : Dr. Patanè ( già decennale vice del capo Dr. D’Agata andato in pensione il 26 febbraio 2011) e i suoi sostituti : il PM Antonino Fanara in testa. Il pomo della discordia è il trattamento giudiziario del Presidente della Regione Siciliana: On.le Raffaele Lombardo. In questo caso la Procura, con in testa il suo procuratore capo lo vuole salvo e possibilmente archiviato; i Sostituti la pensano diversamente e secondo l’adagio per cui la giustizia dovrebbe essere uguale per tutti senza privilegi di casta lo vogliono rinviato a giudizio per mafia.
Mentre che si consuma questo tormentoso dilemma e braccio di forza giudiziario, in tutto silenzio, nelle stanze di questo stesso Tribunale di Catania si era già, a un di presso, consumato uno scempio giudiziario giudiziario che vedeva trionfare il principio inverso a quello che i Sostituti vorrebbero applicato per Lombardo.
Infatti questa che vogliamo raccontarvi è la storia di un provvedimento giudiziario, molto particolare e molto favorevole alla casta, emesso da un giudice di Catania su richiesta di un PM. di Catania che fa parte anche del pool investigativo del procedimento penale riguardante il Presidente Lombardo. Come diciamo sempre i provvedimenti dei giudici si eseguono, alcune volte si impugnano ed è buona norma civile commentarli, sempre. Il provvedimento, per altro recente (1 giugno 2011), è uno di quei pasticci giudiziari che la stessa Corte costituzionale e la Cassazione a sezioni unite hanno tentato, con i loro pronunciamenti, di scongiurare. Un provvedimento a metà tra decreto e ordinanza.
Un provvedimento “imbastardito” frutto, a ben leggere, di voglia di giudicare ultra petita. Semplici, quanto accessibili, nozioni di diritto ci ricordano come il decreto e l’Ordinanza sono due provvedimenti diversi. Quindi la storia che ci accingiamo a raccontare è quella di un decreto che nella penultima pagina diventa Ordinanza (e vedremo più in là perché), con cui il GIP di Catania Giuliana Sammartino, il 30 maggio 2011, a seguito di una affollata e particolare udienza, ha accolto, riformandola però in meglio, la incerta richiesta di archiviazione del PM di Catania: Dr. Antonino Fanara, assurto a notorietà in questi giorni per essere uno dei 4 pm. dell’indagine penale di mafia denominata “ Iblis “ che ha coinvolto il Presidente della Regione Siciliana: Raffaele Lombardo e il fratello Angelo Lombardo e che li voleva rinviati a giudizio. La richiesta del PM A. Fanara, riguardava un particolare procedimento penale nato da una serie di esposti della palermitana avvocato Giovanna Livreri (già legale di fiducia del gruppo GAS – gasdotti azienda siciliana – dei soci Lapis /Brancato e che la Procura di Palermo ha ricondotto all’ex sindaco di Palermo Don Vito Ciancimino quale effettivo proprietario). A seguire gli esposti denuncia della avvocatessa palermitana si sono susseguiti gli altri esposti denuncia (anche se per fatti diversi) del Prof. Gianni lapis e di Ciancimino Massimo. Comunque qui non vogliamo raccontarvi la storia della GAS che malgrado interessantissima è incidentale rispetto al provvedimento giudiziario anomalo di cui vogliamo ivi occuparci. Ritornando, quindi, all’indagine catanese denominata, senza grande fantasia, “D’Anna Maria Brancato + 20” dal nome del principale indagato, la stessa riguardava imprenditori, magistrati (Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Sergio Lari, Lia Sava e Roberta Buzzolani: tutti ex Procuratori di Palermo applicati alla DDA e fino al 2007 e le due donne anche a seguire), giornalisti, avvocati e gli ex soci – effettivi e di fatto – della GAS D’Anna Maria Brancato, Monia Brancato, Gianni lapis e Massimo Ciancimino.
Il Procedimento penale, datato originariamente 2006, pendente per competenza funzionale prima a Caltanissetta e poi dal 2007 a Catania (dove fu trasferito essendo uno dei magistrati indagati divenuto, nel frattempo, procuratore capo di Caltanissetta), nel tempo, era stato “infarcito” e “stratificato” di tutta una serie di altri procedimenti penali, che non riguardavano la denunciante avvocato Livreri, ma provenivano anche dalla Procura di Palermo – Procuratori Messineo, Di Matteo e Ingroia – e che, via via che le indagini da questi compiute presentavano attinenza con quelle pendenti a Catania, per competenza venivano rimesse al collega di questa ultima procura: Dr. Fanara. Per via di tutte queste aggiunte e stratificazioni, Il procedimento penale, ai primi del 2011, si presentava come un “caravanserraglio”, una specie di ibrida ammucchiata in cui c’era di tutto e di più e dove addirittura alcune posizioni risultavano contemporaneamente di parte offesa (perché denunciante) e indagato come quelle di Gianni lapis e Massimo Ciancimino. Insomma una grande confusione con fatti su cui si era indagato e altri del tutto lasciati intonzi e che non pacificava nessuno sulla comprensione di chi e cosa dovesse eventualmente rispondere penalmente. Comunque già dal peso dei nomi dei magistrati indagati si comprende che il procedimento penale era già segnato da incerto destino, almeno per quanto riguardava l’esercizio dell’azione penale. Il Procedimento penale, per altro, riguardava i reati di omissioni di atti d’ufficio in relazione alle indagini sul Tesoro di Ciancimino e per la sperequazione investigativa tra il gruppo Lapis (ritenuto da costoro l’unico fittizio intestatario della quota di Vito Ciancimino nella Gas, la più grande società di metanizzazione e di erogazione di servizi di fornitura del gas in Sicilia dagli anni 80) e il gruppo Brancato (alias Ezio Brancato/D’Anna Maria/Monia Brancato/Antonella Brancato – gruppo allora rimasto indenne dalle indagini – e che lo stesso Ciancimino Massimo ha più volte confessato dal luglio 2008, in plurimi verbali di interrogatorio dinanzi ai P.M. di Palermo, di Catania e di Caltanissetta e in sede di testimonianza nel processo Mori, essere anche questo gruppo societario prestanome e fittizio intestatario di suo padre Don Vito).
Il ragionevole dubbio, che qualcosa non avesse comunque funzionato come doveva nelle indagini sulla GAS, il P.M. Fanara lo aveva avanzato, addirittura nella stessa richiesta di archiviazione scrivendo a chiare lettere (pag 24/25 della richiesta di archiviazione): ” Si deve iniziare a evidenziare ciò che appare provato: è certamente vero che le indagini del procedimento penale per la ricostruzione del cosiddetto tesoro di Vito Ciancimino sono state indirizzate nei confronti di Gianni Lapis e non di Ezio Brancato o delle sue eredi; è certamente vero che come avviene in ogni indagine penale e ancor più in indagini che durano anni e che appaiono complesse (sia per la quantità di fonti di prova raccolte, che per le persone coinvolte che per il fatto di avere ad oggetto operazioni finanziarie di difficile comprensione e spesso compiute anche all’estero) sicuramente i Pubblici Ministeri hanno omesso di approfondire degli elementi di prova che avevano raccolto e che non sempre vi è stato pieno accordo tra alcuni ufficiali della P.G. delegata, i loro superiori e i magistrati titolari dell’ indagine; è certamente vero che Ezio Brancato prima e Monia Brancato poi erano persone che il magistrato Giusto Sciacchitano ben conosceva e frequentava, come ammesso dallo stesso nella memoria in atti; appare, poi, verosimile che le eredi Brancato. fossero a conoscenza di un’indagine in corso che coinvolgeva società di cui le stesse avevano rilevanti partecipazioni azionarie; basti pensare che le stesse Brancato venivano assunte a sommarie informazioni proprio in relazione a tali fatti. Ma oltre a questo Vi è ben poco d’altro”.
Inoltre, nella stessa richiesta di archiviazione, venivano affrontati due diversi temi probatori relativi a due effettive possibili responsabilità, per abuso di ufficio e violazione del segreto istruttorio, riconducibili ad alcuni dei magistrati indagati, in relazione a due particolari circostanze fattuali, per altro ben documentate, verificatesi nel corso dell’anno 2006. Infatti nell’agosto 2006 alcuni dei magistrati indagati anziché notificare (secondo norma e procedura), a due soggetti: D’Anna Maria e Monia Brancato, qualificate ai sensi di legge come testimoni e quindi da sentirsi a sommarie informazioni testimoniali, il rituale avviso di convocazione in Procura, provvedevano a fare consegnare dalla loro segreteria, due avvisi per due testimoni, a mani dell’avvocato di fiducia dei testimoni (!?), il quale firmava per ricevuta nella qualità. Ora chiunque abbia dimestichezza con il diritto processuale penale e con le costumanze tribunalizie sa che non esiste l’istituto del difensore del testimone (se non in particolarissimi casi di teste assistito ovvero di teste indagato di reato connesso; ma non è questo il caso dei due testimoni tali sic et simpliciter) e pertanto a tale anomalo difensore non possono essere riconosciuti diritti di notifica o di rappresentanza del suo cliente per altro in una indagine delicatissima, come quella per cui si procedeva all’escussione dei testimoni. Ma tant’è che è stato tollerato dal PM. Dr. Fanara e addirittura giustificato poi dal GIP Sammartino come consuetudine tribunalizia ( Sigh! : e la legge e i diritti delle parti?). Altra anomalo fatto si riproponeva, sempre nella stessa indagine del 2006, ad opera degli stessi magistrati, e precisamente nel mese di novembre, laddove, convocate due testimoni D’Anna Maria e Antonella Brancato (di cui una identica a quella dell’episodio dell’agosto 2006), nella stessa data ma a pochi minuti di differenza l’una dall’altra e sentite dagli stessi magistrati, i relativi verbali a sommarie informazioni testimoniali risulteranno firmati al contrario dalle due testimoni, per cui documentalmente una testimone ha sottoscritto il verbale dell’altra e viceversa. Il fatto verrà giustificato dal GIP come semplice errore materiale (per carità umano e possibile ma quali sono le circostanze materiali che lo hanno determinato? I due testimoni erano nella stessa stanza allo stesso tavolo? Non è dato sapere perché agli atti d’indagine non risulta alcuna indagini in tale senso).
Inoltre come se ciò non bastasse rimarrà comunque ingiustificato (tanto dal PM prima che dal GIP poi) il perché il contenuto di uno dei due verbali, anzicchè riportare le classiche domande e risposte che di solito si riscontrano nei verbali di esame dei testimoni, riporta la dichiarazione dei procuratori che “informano il teste” dell’esito di alcune indagini che a seguito del disvelamento “invitano” il teste a denunciare il soggetto che loro ritengono colpevole dall’esito dell’indagine. Viene da chiedersi, ma giuridicamente cosa è questa procedura? Certo soprende! Ma a quanto pare per il Tribunale di Catania è tutto regolare. Addirittura per il GIP è un banale errore materiale senza conseguenza alcuna; anzi. L’elenco poi dei ragionevoli dubbi e dei legittimi sospetti, discendente dalla lettura delle circa 40 pagine della richiesta di archiviazione, si sprecherebbe. Sta di fatto che dopo tutto ciò il PM. Dr. Fanara richiede l’archiviazione per tutti gli indagati e per tutti i fatti di reato, ovvero per l’intero caravanserraglio, come abbiamo preferito denominarlo, formulando però la richiesta per impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio e quindi per insufficienza di prove ( laddove il responsabile dell’omessa fornitura delle prove certe il PM indica essere lo stesso Ciancimino Massimo). Sia mai?. Le parti offese, a cui viene comunicata la richiesta di archiviazione, formalmente non si oppongono anche se presentano istanze e memorie e chiedono di partecipare all’eventuale udienza camerale. Così si arriva al giorno dell’udienza, prevista per il 30 maggio 2011, senza che si siano convocate le parti offese ma solo gli indagati, malgrado il Gip poi abbia sostenuto in epigrafe del decreto che, essendo stata l’udienza camerale fissata non in base ad opposizione ma per propria determinazione, la stessa ha voluto convocare dinanzi a se tutte le parti integrando il contraddittorio. Di talché all’udienza camerale del GIP la parte offesa avvocato Livreri non viene invitata e quindi è assente, invero rappresenterà, come vedremo più avanti nella storia, il convitato di pietra se non l’agnello sacrificale. Diciamolo: costei ha osato veramente l’impossibile! Ha chiesto di indagare non uno, non due, ma addirittura ben sei magistrati!
Il troppo è troppo per la casta. All’udienza gli avvocati difensori dei 21 indagati si presentano in ordine sparso, qualcuno ha detto loro che l’udienza si terrà nella tarda mattinata, invero l’udienza viene chiamata dal GIP puntualmente ed è presente solo il PM. e l’avvocato unico dei 6 magistrati che ha prodotto, in aggiunta a quelle del PM. proprie richieste di archiviazione per i suoi assistiti e garbatamente si intrattiene con il GIP. Dopo un’ora circa inizia l’udienza (alle ore 10,25) alcuni avvocati, tra cui quelli dei giornalisti, arriveranno anche dopo. L’udienza è breve e spedita. Il PM insiste nella sua richiesta così come dubitativamente formulata. Il giudice a detta di alcuni legali appare scocciato. Tutti tacciono. Tutti non vedono l’ora che finisca. Dopo un isolato tentativo del difensore di Lapis di insistere sulla richiesta di ulteriori indagini l’udienza si chiude e tutti rinunciano ad avere notificato il provvedimento: della serie chi vuole vada chi non vuole mandi. Apparentemente nessuna formale richiesta riconvenzionale di incriminazione è stata avanzata dagli indagati nei confronti dei denuncianti. Dopo 24 ore il GIP deposita il mulatto provvedimento. 31 pagine. Decreto motivato di archiviazione per tutti gli indagati e per qualunque reato, un’ammucchiata. Però già dalle prime pagine si intuisce come il GIP si sia sentita obbligata a giudicare la parte offesa avvocato Livreri la quale non convocata e non presente all’udienza diventa l’unica protagonista dell’intero provvedimento, quasi ogni pagina contiene il suo nome in risvolti negativi per la stessa. Di fatto il Gip nelle sue 31 pagine di motivazione si occupa di sbugiardare la parte offesa avvocato Giovanna Livreri per giungere, nelle ultime righe, al risultato di modificare la stessa richiesta del PM che da dubitativa diventa, nel decreto del GIP, per infondatezza della notizia di reato. Il GIP a tal punto ha emesso il suo decreto; ha offerto agli indagati il massimo che si potevano aspettare cambiando di fatto e di diritto la richiesta del PM a vantaggio della posizione degli stessi archiviandi. Il dado è tratto. IL GIP ha accolto quindi la richiesta del PM in pieno e tutto dovrebbe finire qui. Il GIP ha esaurito il suo potere di vaglio del mancato esercizio penale del PM. E invece il GIP non si accontenta e negli ultimi due righi lancia la sfida al convitato di pietra: “ Ordina al PM l’iscrizione a mod 21 (noti) di Livreri Giovanna per calunnia in ordine ai punti 6c) e 6d) della motivazione”.
Ecco l’Ordinanza innestarsi, come una mala pianta, come un perfido e insidioso intruso nel Decreto di archiviazione, viziandolo di abnormità e ibridandolo. I frettolosi cronisti dei maggiorenti quotidiani l’1 giugno hanno riportato la notizia dell’archiviazione sottolineando il contraccolpo giudiziario per l’avvocato della GAS, Giovanna Livreri, dandola per calunniatrice di tutto e di più e quindi senza specificare come il contraccolpo, nell’intenzione del Gip, invero e molto sottilmente, riguarda solo ed esclusivamente due singoli fatti , guarda caso i più fastidiosi e pericolosi per i magistrati archiviandi. Fatti documentali che forse avrebbero potuto determinare e potrebbero anche successivamente determinate qualche problema ai magistrati indagati e che, invece , così ordinando dal GIP al PM sono stati trasformati in un problema per la denunciante parte offesa. Ora cosa sono per il GIP questi fatti che integrerebbero il reato di calunnia, reato che presuppone la volontà intenzionale (dolo intenzionale) dell’agente di accusare qualcuno di un fatto di reato sapendolo innocente. Proprio quelli di cui riportavamo le doglianze del PM. in richiesta di archiviazione; ovvero i due fatti, per altro ben documentati, avvenuti nel corso dell’anno 2006, in agosto in relazione alle notifiche ai testimoni consegnati all’avvocato di fiducia dei testimoni e in novembre in relazione ai due verbali dei testimoni con le firme in calce ai verbali scambiate e dal contenuto informativo sullo stato delle indagini per i testimoni. Il Giudice nel suo decreto, strada facendo divenuto ordinanza, ai punti 6c) e 6d) oltre a decidere in assoluta autonomia, e senza bisogno delle indagini del PM, stabilisce che si tratta di sicure ipotesi calunniose del legale verso gli autori dei documenti (i magistrati archiviati che invero sulla formazione di tali documenti processuali dovevano essere indagati e interrogati e – in atti – non risultano esserlo mai stati) predispone anche le linee di difesa dei magistrati stessi. Infatti Il Gip va oltre e afferma nel suo provvedimento che il fatto della notifica al difensore del testimone è certamente una consuetudine tribunalizia e quindi l’avvocato è stato calunnioso nel chiedere al PM di indagare per l’accertamento di eventuali abusi d’ufficio e per l’altro fatto dei verbali con le firme scambiate è certamente un errore materiale e l’avvocato doveva capirlo da sola senza bisogno di calunniare chiedendo al pm. di indagare per sapere come e in che modo quelle firme fossero state scambiate e perché i pm. informavano un testimone sull’esito delle indagini invitando a formulare denunce. Questi sarebbero i fatti di calunnia contestati al legale avv.to Livreri.
L’avvocato avrebbe calunniato al dunque perché ha espresso ragionevoli dubbi e legittimi sospetti su alcune condotte di alcuni magistrati, documentalmente anomale, ed ha chiesto, correttamente, all’organo preposto: alla Procura competente, di indagare sulla natura dei comportamenti sottostanti ai documenti prodotti quali prove. Sembra di stare in un paese del terzo mondo. Certo è sorprendente come evidenti errori documentali e procedurali attribuibili per prova documentale ai magistrati indagati si possano trasformare in azioni calunniose dell’avvocato Livreri che a quanto pare non avrebbe mai dovuto chiedere di indagare su tali circostanze ne minimamente farsi venire ragionevoli dubbi ovvero legittimi sospetti sul comportamenti di tali adamantini e integerrimi magistrati. Il Gip ha presentato il conto all’avvocato Livreri. La casta è salva. Poco importa come si comporterà il legale che ha già fatto sapere di avere presentato ricorso in cassazione per nullità e abnormità del provvedimento ibrido del decreto/ordinanza. L’importante è avere messo a partito chi ha osato chiedere che davanti alla giustizia tutti i cittadini siano trattati senza due pesi e due misure. Un vero coup de theatre laddove, la stessa Gip di Catania, per rafforzare il suo diritto all’esercizio del potere di punire, accolta in toto la richiesta di archiviazione del P.M., si lancia ad Ordinare al P.M. di procedere contro la parte offesa denunciante, forte di una autorevole sentenza della Corte Costituzionale, poi confermata dalla Cassazione a sezioni unite, che il GIP riporta in corsivo e virgolettato e prevede l’esatto contrario di quanto operato dalla stessa .
Infatti il GIP riporta nel decreto: “ non può in alcun modo revocarsi in dubbio che, a prescindere del tipo di archiviazione richiesta dal pubblico ministero, spetti in ogni caso al giudice il potere – ove nel procedimento non figurino persone formalmente sottoposte alle indagini – di disporre, nella ipotesi in cui NON ritenga di potere accogliere la richiesta di archiviazione, l’iscrizione nel registro della notizia di reato, del nominativo del soggetto cui il reato sia a quel momento da attribuire” . Pertanto a ben leggere il GIP di Catania aveva il potere di chiedere al PM di iscrivere l’avvocato Giovanna Livreri per calunnia nel registro degli indagati solo a condizione che non avesse ritenuto di accogliere la richiesta di archiviazione. Insomma, in parole povere, secondo la Corte Costituzionale e le sezioni unite della Cassazione, il GIP non può tenersi l’acqua sporca (che addirittura ha trasformata in pura) e buttare via il bambino ma deve tenersi entrambi, ovvero buttare via entrambi. Ecco servita la mostruosità del provvedimento del 1 giugno 2011. Il Gip di Catania ha voluto salvare i colleghi, giungendo, in un impeto garantista della casta di appartenenza, a modificare in melius il tipo di richiesta del PM. Fanara e, in un eguale impeto giustizialista ha ordinato al PM quello che non era suo potere ordinare: mettere all’agogna colei che aveva osato l’inosabile. Che altro aggiungere a tale desolante esempio di vicenda giudiziaria. Vedremo se la Cassazione, che non è un giudice di Berlino ma potrebbe sentircisi, farà ordine e giustizia. Nel frattempo vorremmo suggerire agli amministratori della giustizia a Catania di farsi un bell’esame di coscienza giuridica.
Virginia di Leo