17 marzo, riferimento sbagliato
E’ opinione corrente, suffragata dalla decisione di dare avvio alle celebrazioni ufficiali proprio il prossimo 17 marzo, che questa data sancisca l’Unità d’Italia.
Pur con tutta l’idiosincrasia che la definizione suscita nei siciliani “buoni”, rinfrescando la nostra memoria con i ricordi di qualche nozione di Storia patria ufficiale, quella che ci hanno imposto da sempre nelle scuole, ignorando scientemente fatti (e misfatti) che testimoniano invece le date di una vera e propria annessione forzata dei territori meridionali duosiciliani, proprio al 17 marzo del 1861 si riconduce la data della proclamazione del Regno d’Italia, non certo quella che ricorda l’Unità, che era ancora da venire perché mancava Roma e lo Stato Pontificio, finito a baionettate, da la’ a poco, dai bersaglieri piemontesi, e anche il Lazio, il Veneto, il Trentino Alto Adige, il Friuli, l’Istria e la Dalmazia. Ma tant’è, trattandosi di festa…
E invece no, il presidente della provincia autonoma dell’Alto Adige/Sudtirolo, Luis Durnwalder ricorda che la loro annessione all’Italia è avvenuta con la forza e che non intende partecipare quindi alle celebrazioni per l’Unità. A questo punto, niente stand tirolese all’altare della Patria né a Castel sant’Angelo e neanche i 200 mila euro richiesti alle Presidenze regionali come contributo alle celebrazioni.
Una regione a statuto speciale, creata fittiziamente in conseguenza della sconfitta austriaca nel 1919 e di quella tedesca nel 1945, che vive grazie alle concessioni della benevola Italia, può concedersi di boicottare e di contestare la festa e di giustificare la sua appartenenza allo Stato centrale come fosse un favore concesso e non come una scelta cosciente e soprattutto economicamente conveniente. Poi diranno pure che le strade e gli asili li costruisce la regione autonoma, ma con le rimesse dello Stato centrale, pero’ ricordiamo noi.
Ma gli altoatesini sono stati capaci di farsi pagare l’annessione, al pari dei trentini, associati nello statuto di autonomia speciale da un lungimirante De Gasperi, con la dignità di un popolo e non nascondendosi nelle segreterie dell’assistenzialismo statale come hanno fatto i siciliani, tanto che ora viene loro difficile pure contestare una data che in realtà non li concerne.
Rincresce che i siciliani, senza scomodare storia e antistoria, non riescano a liberarsi dalle spire di uno Stato centrale che riesce persino a violare norme costituzionali pur di tenere sotto scacco l’Isola, anche e nonostante una classe politica siciliana che riesce ad accaparrarsi posizioni di prestigio nel governo romano al solo scopo di soddisfare la propria ambizione personale e come esercizio di amor proprio, senza, alla fine, portare alcuna ricaduta positiva sul quotidiano dei cittadini siciliani in termini di posti di lavoro, scelte economiche, difesa pura e semplice dei dettami dello Statuto di Autonomia.
Ma l’isola, a livello politico, conta meno di niente, nonostante l’aumento esponenziale di qualche posto di governo, ad esempio quello che come ultima concessione il Berlusca farà a Storace e a Musumeci, alla faccia di nobili e alti ideali, traditi oggi dal miraggio di uno strapuntino nella portineria di palazzo Grazioli, ora che Fini ne ha lasciato la garitta. Che pena…
Il nostro federalismo automatico, dicevamo, e ante litteram , è stato spogliato delle sue norme essenziali senza che i politicanti siciliani avanzassero la benché minima protesta.
Roma ha tagliato per esempio l’Alta Corte, la sola competente nelle controversie giurisdizionali tra lo Stato regionale di Sicilia (Regione siciliana) e Stato centrale, mantiene prefetture, polizia e carabinieri, laddove il ministro presidente, per statuto, dovrebbe provvedere alla sicurezza attraverso un corpo di polizia regionale, ha distrutto il sistema bancario siciliano impedendo al Banco di Sicilia, non più istituto bancario ma ridotto a semplice, pur se importante, Fondazione di Unicredit, di battere moneta.
Ripetiamo fino alla nausea che questa classe politica siciliana, schiava dei partiti romani, ha da sempre costituito l’ostacolo più grande sulla via dell’attuazione dello Statuto di Autonomia.
I partiti romani infatti hanno sempre affidato in Sicilia, l’appalto locale del loro partito a referenti senza scrupoli che hanno oggi rinunziato persino a curarsi del territorio, sia per una legge elettorale che con il listino bloccato li libera dalla necessità di cercarsi il suffragio e li obbliga soltanto a leccare le scarpe del capo, sia perché sono diventati deputati nazionali, sottosegretari o ministri e, come fece Francesco Crispi, vendono i siciliani, lo Statuto e la bella terra al capo di turno.
“Nessuno profeta in patria” , così Lombardo, che si dice provvisorio e che vuole servire soltanto a determinare il sentimento autonomistico nel prossimo venturo Presidente, continua a non incantarci.
Non si può sempre e comunque evocare una sola persona capace di determinare il futuro dell’Isola quando invece ci sarebbe bisogno di una mentalità divenuta generale e condivisa, di una classe dirigente che abbia a cuore il futuro dell’Isola, non del suo portafoglio.
Abbiamo bisogno di una generazione nuova di politici e di tecnici che reclami all’unisono l’attuazione dello Statuto e che riesca ad unire tutti i siciliani in questa legittima richiesta.
Un movimento al di là delle ideologie, né destra né sinistra, siciliano autentico, che riesca a riunire sotto un’unica rivendicazione le aspirazioni del popolo, finalmente conscio del suo potere e agisca da protagonista senza lasciare alla Lega il primato dell’Autonomia, specialmente ora che il processo di disgregazione di questa falsa e finta nazione italiana sembra essersi innescato, togliendo l’animo del popolo siciliano dalla naftalina in cui l’ha cacciato indigenza, disoccupazione e diaspora. Un movimento politico di tutta l’isola che faccia pulizia della sporcizia attuale e possa riconvertire tutti i siciliani al senso dell’appartenenza e ricondurre loro la dignità perduta e l’orgoglio troppo spesso calpestato.
Eugenio Preta
L’ALTRA SICILIA – Antudo