Condannato Totò Cuffaro ma non il ”cuffarismo”
Ormai i media sono impazziti per la vicenda delle feste a casa Berlusconi e, nella logica abietta del sensazionismo e del “chi la spara più grossa”, riferiscono gossip ma riescono a tacitare tutto quello che di serio accade nel Paese, in Sicilia e nel mondo intero.
Nei ritorni della storia – i giri e rigiri di vichiana memoria – che, nonostante tutto, restano di estrema attualità, i regimi comunisti sono stati soppiantati da quelli liberali, o meglio la caduta del muro di Berlino aveva scatenato voglie e bisogni rimasti a lungo soffocati e sfociati quindi nel liberismo più assoluto, una voglia di riprendersi quel libero arbitrio che la caduta di quei sassi aveva compresso da tempo.
Nei ritorni vichiani, dicevamo, oggi si cambia ed arriva il turno dei regimi liberali e capitalisti che vengono a loro volta rivoltati come un calzino dalla fame e dalle paure della gente.
Così mentre si spia ad Arcore e sotto il letto del Presidente del Consiglio, ci sfugge che la Tunisia caccia a cannonate Ben Aì’, il sodale degli ex-allegri socialisti italici, che l’Algeria è scossa da manifestazioni di piazza, che il Cairo e Beirut si svegliano nella paura e nelle spire di un nuovo fondamentalismo talebano, che l’Albania sfoga il suo disordine contro la Polizia, tutti fatti di una violenza estrema e che avvengono non in emisferi lontani, ma nel “Mare nostro”, alle porte stesse di casa nostra, alle porte dell’Isola.
La società occidentale invece, sempre più moderata e lontana dalle manifestazioni violente di piazza, vive i disagi di una seconda post-industrializzazione meditando su debiti e prestiti, a vantaggio dei furbi marpioni dell’economia globalizzata che, nel caso ad esempio di Unicredit, vedova di Profumo, nonostante gli allarmi leghisti sul pericolo tedesco e, peggio, libico, si vede oggi preda delle mire francesi che se una volta maggioritari, dirigerebbero i fondi Unicredit, i soldi italiani, su progetti transalpini.
Ma alla nostra stampa e alle nostre tv tutto questo passa sotto il naso, perduti dietro gli string di Ruby o il viagra mentale (le pippe) di Berlusconi, e passano sotto il naso, in sordina fatti eclatanti come, ad esempio la condanna definitiva a 7 anni di carcere per mafia comminata all’ex ministro Presidente dello Stato Regionale di Sicilia (Regione Siciliana), Salvatore Cuffaro, conosciuto come “Toto’ vasa vasa”.
Una stagione di connivenze politico mafiose, di posti di lavoro inventati in Regione e negli enti partecipati, di precarietà quindi di voti di scambio e di assistenzialismo “politico”, in poche parole il Cuffarismo, l’intero sistema di potere tipico della Sicilia di oggi, sottolineato da una condanna che pero’ lascia sgomenti i commentatori, quasi si fosse condannato un innocente, e non per le inconfutabili prove raccolte ma per la severità del verdetto. Si evoca un malinteso senso di umanità, una improponibile simpatia che dovrebbe legare giudice e imputato, soltanto per le manifestazioni esteriori del suo patire in preghiera tra i banchi di S. Maria della Minerva, di fronte alla sua abitazione, in pieno centro storico a Roma.
Secondo noi si è o non si è, e Cuffaro, dopo i tre gradi previsti di giudizio è risultato essere Mafioso.
Ma chi è senza peccato scagli la prima pietra: non lo farà Andreotti che per 7 anni ha menato i giudici per il naso e alla fine, con un verdetto degno della più conclamata tradizione gorgiana, enigmatica e sofista, è stato giudicato mafioso solo fino al 1980 e poi, all’epoca in cui si sono svolti i processi, prescritto e giudicato fervente praticante antimafioso.
Certo balza evidente la discrepanza del verdetto su Cuffaro con l’assoluzione di Andreotti; saltano in mente ad esempio le assoluzioni di Masotto, e pure la condanna di Drago, e i 180 milionispesi per beneficenza dai fondi destinati alla presidenza, la condanna di Cesa per i fondi Anas, annullata perchè il magistrato inquirente aveva agito prima da PM e poi da giudice, non per non aver intascato quei soldi.
Ma non possiamo avanzare sospetti su una sentenza che pur profila una serie di dubbi che alla fine sono di natura giuridica, di interpretazione e di riferimenti di dottrina né si possono evocare esigenze di umanità ad una vicenda che è prettamente giudiziaria e penale. Se poi la sentenza toglie di scena inesorabilmente un protagonista importante della politica siciliana, e lo fa sul calcolo di una possibile decadenza del reato di mafia e per evitare una possibile prossima prescrizione, non ci lascia senza fiato né ci fa strappare i capelli..
Uomini che giudicano uomini devono valutare i fatti, non possono farsi ingannare dalle atmosfere create dai media, da quel senso di simpatia accennato prima che ha pervaso la vicenda Andreotti e che ha consentito loro di abbandonarsi a quegli esercizi retorici, veri e propri sofismi gorgiani (il filosofo di Lentini) che hanno portato poi alla prevista assoluzione di Andreotti.
Uomini oggi hanno giudicato senza umanità né simpatia Toto’ Cuffaro e lo hanno ritenuto colpevole di favoreggiamento alla Mafia. E in Sicilia è cosa grave.
Con la pena per la solitudine dell’uomo e per la sua vicenda umana, l’unico nostro rincrescimento è che la scure della Giustizia si sia abbattuta soltanto su un uomo, ma continui a sopportare e lasciare impuniti molti altri politicanti colpevoli della crisi della nostra Sicilia e ben meritevoli, come fa Cuffaro, di uscire dalla scena e dai giochi di potere che hanno costruito e dietro i quali ancora si nascondono ingannando i cittadini e la giustizia degli uomini.
Ufficio Stampa
L’Altra Sicilia – Antudo