Quindici gennaio. Ore nove
Eccomi sul treno per venire a salutarti per l’ultima volta.
Stamattina non hai aspettato il caffè nè l’ultima sigaretta per andare via, e l’ora troppo mattutina per le tue abitudini, mi fa capire che avevi una certa fretta di chiudere questa tua parentesi: eri atteso da qualche parte, in cielo.
Poi sono iniziate le solite procedure che ci illudiamo di non dover mai affrontare ma che regolarmente ci toccano tutti.
Potrei riempire pagine di inchiostro per far capire quanto tempo e quante storie abbiamo diviso negli anni, ma sai bene ora che non riesco ad agire a comando. Però ricordo…
Al mattino ci riunivamo sotto le tue finestre di Via Cola Camuglia al suono di “passa la gioventù” motivo fischiato di primo mattino, dopo notti di risate e di abbuffate di anguria finite a battaglia con le bucce.
Poi i lidi di Mortelle con l’odore della sabbia, quindi lo struscio
alla passaggiata a mare o sul viale San Martino, e le avventure
a Taormina, i viaggi, il lavoro al PE, i dolori della lontananza ma
anche la gioia per i figli, il tuo impegno per tutti, l’amicizia che
elargivi a quantità industriali.
E intanto il nosto tempo scorreva
via, nelle estati di Falcone o sulle rocce di Filicudi, il tuo buen
retiro, in attesa di avere più tempo più avanti, in vecchiaia…
Questa vecchiaia però non ti interesserà più nè ti invaderanno i
suoi acciacchi, il cambiare colore dei capelli, la voglia di
tranquillità, tutto insomma quello che interessa gli uomini vecchi.
Non ti sarà dato confrontarti con
l’eta anziana…quante bruttezze potrai evitare!
Lo so, la mia è una tesi poco sostenibile. Davvero è meglio
andarsene prima che sopraggiunga la vecchiaia?
E i figli? Le responsabilita dei figli? Il loro avvenire, la tua
isola del vento, Filicudi… Davvero è meglio andarsene anzicchè
invecchiare?
Quanto superfluo sembra oggi tutto, però, oggi che ti sei
addormentato, hai socchiuso gli occhi e con un sorriso (che io so
beffardo) ci guardi tutti affannarci per accarezzarti e dirti le
ultime frasi che suonano sempre uguali e sempre le stesse.
Ho osservato il tuo salone, la tua televisione, i tuoi giornali
accatastati sul tavolino ed ho pensato al tempo che vi passavi, alle
telefonate che ci scambiavamo fino a tarda notte e un dolore mi
strugge, ci strugge: a chi ci rivolgeremo nelle nostre notti quando
un groppo ci stringerà la gola?
Ivano, sembra che tu sia partito per un giro alle tue isole, quando ci
convinceremo invece che è per sempre?
Questo giornale ti deve molto: le tue analisi puntuali, la tua
convinzione di una terra impareggiabile e la disillusione per il
popolo siciliano che ti aveva corteggiato e poi scaricato. Per
questo la tua discesa in campo al momento delle elezioni comunali
di Lipari come rappresentante de L’Altra Sicilia, la prima volta
dell’esperienza politica dell’associazione.Tradito però da tutti
quelli che avevano invocato la tua candidatura per poi negarti il loro
voto; un classico di un’attitudine tutta siciliana.
La disponibilità con la quale offrivi il tuo aiuto a tutti, senza
alcuno scopo nascosto ma per quel senso della solidarietà e del
rispetto che avevi innato, dimostra chiaramente la natura del tuo
animo buono, onesto, generoso.
Ora rimane davanti agli occhi miei quell’auto funebre che scivola nel
traffico di Roma in una giornata di sole : la normalità di un
sabato mattina mentre si era consumata troppo velocemente una
esistenza straordinaria.
Soltanto adesso, smarriti nei cammini del mondo, ci accorgiamo di
averti perduto per sempre e ci scopriamo più soli e sempre più
poveri, dentro.
Eugenio Preta
Lampeggiano piccoli fiori di luce come lucciole elettriche
aggrovigliate a perduti abeti, decorazioni di un freddo Natale nei
portici che rossi tappeti stendono sotto i nostri stanchi passi.
Nella sera la calma piatta di un’attesa,come filo sospeso nell’aria
di festa che pervade i viali, le strade addobbate, i regali perduti
negli angoli delle vetrine.
Aspettare.
E come il tempo e’ ridotto all’essenziale, sfrondato dai
dettagli , crudo e nudo delle sue paure e di quanto c’è scritto nel
leggio del futuro, tutto diviene superfluo, ininfluente, relativo, e
l’animo si chiude come petalo all’arrivare di brina nell’annunziare
di notte senza sogni.
L’aria avanza sospetti di neve, piena di un freddo vibrare delle
ore sotto nebbie basse sui cortili della case, anche se cerchiamo di
decifrare suoni e voci tra il fischio del vento che pare scivolare
dalle guglie imbiancate di San Babila.
Ora, come il reduce dei sogni, perdute le arie di un tempo,
abbandonato nella nostalgia finalmente comprende.
Era arduo l’andare
tra la stretta giovinezza e la tenace maturità, che chissà se
esiste, chissà se ci ha ingannato tra le urla e gli schiamazzi del
cortile.
Disarmato, disegno ora specchi senza parole mentre ascolto i tuoi
passi ormai più leggeri perdersi vacillanti di fronte ad una sottile
ombra di luce.
EP